A quanti studi sperimentali pensi di avere partecipato nell’ultimo anno?”
Comincia così, con una domanda diretta al lettore, il libro The power of experiments di Michael Luca e Max H Bazerman, docenti di economia ad Harward. La risposta che ci viene data nelle righe successive è piuttosto sorprendente: “A meno che tu non sia vissuto in un bunker senza accesso a internet, hai partecipato a molti trial”. Perché leggendo, scopriamo che chiunque di noi abbia una pagina di Facebook, compri su Amazon, venda su eBay o sia abbonato a Netflix è stato probabilmente soggetto inconsapevole di più di uno studio controllato.
Le mega aziende hi-tech hanno compreso la forza del trial randomizzato, che la medicina usa (o dovrebbe usare) per stabilire se un trattamento funziona, e hanno iniziato a utilizzarlo per influenzare le nostre scelte, testando le caratteristiche di un sito capaci di catturare la nostra attenzione o il modo migliore per informarci sul prezzo di ciò che stiamo comprando. Non ci sono comitati etici, i partecipanti sono decine di migliaia, i dati abbondantissimi e di conseguenza i risultati molto affidabili. Considerando che spesso ciò si traduce in un incremento dei profitti, non c’è da stupirsi che Google abbia condotto più di 10.000 trial nel 2018. E non ci sono solo le aziende del web: il fisco inglese, grazie a uno studio sul testo di una lettera indirizzata agli evasori, ha aumentato significativamente le proprie entrate.
Condurre trial è diventato anche POP. Proprio mentre stavo preparando questo editoriale (sarà un caso?), Netflix mi ha proposto una serie dal titolo 100 Humans in cui tre ricercatori rispondono a domande sui comportamenti umani servendosi di cento volontari. Se avete un po’ di tempo da perdere guardatela, è piuttosto divertente, sebbene il disegno degli studi non sia sempre rigoroso.
Efficace, ubiquitario, utile, redditizio, POP, è il trial randomizzato. Eppure, proprio tra chi si occupa di salute, sono ancora in molti a preferire esperienza personale, intuito e consuetudine.
Buona lettura.
Giovanni Lodi, Direttore Scientifico di Dental Cadmos
doi: https://doi.org/10.19256/d.cadmos.08.2020.01
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