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29 Ottobre 2012

Asportazione dei tessuti cariosi: quanto e come?

Come è cambiata la tecnica in merito alla gestione delle carie

di Cosma Capobianco


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Fin dalle origini della moderna medicina dentale la cura della carie prevedeva l'asportazione del tessuto dentale rammollito fino a raggiungere un tessuto di consistenza dura e l'otturazione della cavità con un materiale idoneo. Tuttavia, negli ultimi decenni, con l'avvento dei sigillanti, alcuni esperti hanno cominciato ufficialmente a domandarsi quale profondità debba raggiungere la bonifica dentinale.

La teoria
Nel 1991, per esempio, uscì un articolo in cui si affermava: "Recenti studi hanno dimostrato che la carie può fermarsi o regredire al di sotto dei sigillanti. Bisogna cominciare a cercare trattamenti alternativi per le carie occlusali iniziali" (Handelman SL. Therapeutic use of sealants for incipient or early carious lesions in children and young adults. Proc Finn Dent Soc. 1991;87(4):463-75.).
Alla base di questa affermazione stavano le ricerche sui sigillanti iniziate negli anni '70 che miravano a isolare i batteri dal rifornimento di substrati e quindi a renderli metabolicamente inattivi mentre avveniva la riparazione del tessuto dentinale.
In alternativa all'impostazione classica, che dettava di arrivare su un tessuto non rammollito (dove il grado variava in base all'autore), hanno così ripreso vigore tre opzioni: la prima, la più minimalista, è quella di non rimuovere il tessuto e sigillarlo con l'otturazione, la seconda è di rimuoverne solo una minima parte, la terza (risalente agli anni '30 quando fu proposta da C. Bodecker) è di dividere il trattamento in due tempi a distanza di alcune settimane per consentire la riparazione tissutale.

Scavi storici
La diatriba sulla quantità di tessuto da rimuovere per fermare la carie ha l'età della moderna odontoiatria. Nel 1859 J. Tomes (che aveva dimostrato la presenza dei prolungamenti degli odontoblasti nei tubuli dentinali) scriveva: "È meglio lasciare uno strato di dentina discromica piuttosto che rischiare di sacrificare il dente". Mezzo secolo dopo, G.V. Black affermava il contrario: "È meglio esporre la polpa piuttosto che lasciarla coperta di dentina rammollita".Nel 1988 T. Fusayama propose un colorante per distinguere la dentina infetta da quella rammollita ma sana; purtroppo, fu una buona idea che non superò la verifica sul campo.
Come spesso capita, non vi sono certezze definitive e, per tentare di aiutare i professionisti, qualche anno fa è stata eseguita dalla Cochrane Collaboration una revisione della letteratura.
L'indicazione conclusiva è che dalle (poche) ricerche non emergono differenze nelle progressione della carie e nella durata dei restauri collegabili alla profondità di asportazione del tessuto carioso nei denti senza sintomi di pulpite.

La rimozione parziale
La rimozione parziale appare quindi preferibile nelle cavità profonde allo scopo di ridurre il rischio di esposizione pulpare; tuttavia, non è ancora chiaro se sia necessario operare in due tempi e asportare ulteriore tessuto al momento del rientro. Nelle ricerche dove si è operato in un unico tempo non sono state riportate conseguenze indesiderate. Nelle ricerche svolte in due tempi, come quella di Bjorndal (Caries Research 1999;33:314 Abstract 98), il tasso di successo supera il 90% a tre anni; in questo caso il metodo prevedeva otturazione iniziale con idrossido di calcio e ossido di zinco-eugenolo dopo rimozione parziale della dentina e rientro a distanza di sei mesi.

Meglio poco
Su un totale di 529 articoli potenzialmente utili, solo quattro hanno superato le rigide norme di affidabilità metodologica previste dalla Cochrane Collaboration; tutti gli altri sono stati scartati principalmente per mancanza di un gruppo di controllo. Nel complesso le quattro ricerche formavano un campione di 339 pazienti e 604 denti, per i quali si sono considerati l'esposizione pulpare durante la rimozione del tessuto carioso, la progressione della carie, la comparsa di pulpite o di necrosi, la durata del restauro. Due ricerche sono state svolte su denti decidui in soggetti fino a 11 anni, le altre due riguardavano denti permanenti in pazienti tra sei e 52 anni.

Metodo split-mouth
Una sola ricerca si è svolta con metodo split-mouth (nelle due emiarcate vengono eseguiti interventi diversi dallo stesso operatore, assegnandoli casualmente al lato destro o sinistro). Purtroppo, tra una ricerca e l'altra vi è molta variabilità nel concetto di "asportazione parziale". Nella più datata, risalente al 1977, l'asportazione è definita "parziale" e viene seguita da otturazione provvisoria con idrossido di calcio e ossido di zinco+eugenolo lasciata in situ per quattro - sei settimane.
Nelle successive, datate 1987, 1996 e 1999, si parla di "asportazione della maggior parte del tessuto carioso" e si procede poi variamente: in una si usano idrossido di calcio e ossido di zinco+eugenolo e si completa il restauro entro otto - 24 settimane; in un'altra si rimuove "poco" tessuto carioso e si usa materiale composito in un solo tempo; nell'altra si asporta "molto poco" senza pulire completamente la giunzione smalto-cemento e si chiude con amalgama. Una certa variabilità si ritrova anche nel tipo di cavità: tre ricerche sono state svolte solo su carie occlusali mentre l'altra ha preso in esame un numero uguale di cavità occlusali e interprossimali.
Rimane il risultato che la rimozione parziale non è dannosa mentre è vero il contrario, dato che la rimozione totale aumenta molto il rischio di esposizione pulpare. Resta nel dubbio la necessità di rientrare nei denti giovani con grandi cavità (una esauriente analisi si trova in How Clean Must a Cavity Be before Restoration? di E.A.M. Kidd (Caries Res 2004;38:305-313).

I sigillosi anni Settanta
Erano gli anni in cui i primi materiali compositi incominciavano a facilitare il lavoro dei dentisti e rendevano più soddisfatti i pazienti quando Handelmam, Washburn e Wopperer pubblicarono i risultati di una ricerca durata due anni su un impiego non estetico di questi materiali. Dopo aver scelto un campione di denti con solchi già colpiti dalla carie, gli autori li avevano ricoperti con un sigillante fotopolimerizzante lasciandolo in situ per due anni. A intervalli stabiliti, venivano prelevati campioni di tessuto per misurare la conta batterica nei solchi. I risultati mostrarono che questo valore si riduceva fino a duemila volte rispetto al campione di denti non sigillati. In seguito, la ricerca fu completata con valutazioni cliniche e radiografiche che esclusero la progressione della carie sotto il sigillante. (Handelman SL, Washburn F, Wopperer P. Two-year report of sealant effect on bacteria in dental caries. JADA 1976;93:967-70).

Leggi anche l'articolo di Dental Cadmos sulla prevenzione delle carie:
- Prevenzione della carie: strategie basate sull'evidenza

GdO 2012;10:11

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