Quanto a me, conosco solo individui più o meno affetti da malattie più o meno disparate e con esiti più o meno rapidi. Naturalmente, se dite loro che stanno benissimo, non chiedono di meglio che credervi.
“Knock o Il trionfio della medicina” Jules Romains
Durante una recente lezione con gli studenti del secondo anno di odontoiatria è nata una discussione sul concetto di malattia, e più precisamente se un soggetto con infezione da coronavirus assolutamente asintomatico fosse da considerare un malato. Voci diverse, motivate, appassionate, sincere, che affrontavano un argomento tutt’altro che banale. Molto meglio della gran parte dei dibattiti tra espertoni un po’ narcisi, che in questi mesi discettano in streaming seduti davanti a fornitissime librerie.
Definire quale condizione sia da considerare o meno malattia è questione estremamente complessa, che non può essere risolta solo con strumenti scientifici, perché ha implicazioni etiche, sociali ed economiche. Un caso esemplare è quello dell’obesità. Voi la considerate una malattia? L’American Medical Association sì, dal 2013. Posizione tutt’altro che condivisa in modo unanime, sulla quale si sono a lungo confrontati medici, filosofi, sociologi, obesi, assicuratori e via elencando.
Qualche anno fa venne pubblicato uno studio in cui a quattro categorie – medici, infermieri, parlamentari e cittadini comuni – venne chiesto di esprimersi su un gruppo di 60 condizioni. Alcuni dei risultati furono sorprendenti. Perché se tutti concordavano che il tumore al seno fosse una malattia e le rughe no, in altri casi i giudizi erano più sfumati, qualche volta addirittura contrastanti, con il campione diviso a metà. Accadde per infertilità, tossicodipendenza, eiaculazione precoce, obesità (appunto) e carie. Avete capito bene, per metà degli intervistati la carie non era una malattia.
Ma che medici sono, quelli che curano non-malattie? E non sarà che opinioni come queste siano all’origine della nota della FNOMCeO che esprimeva perplessità nel legittimare gli odontoiatri a compiere un atto medico (nella fattispecie un tampone nasofaringeo) o della poca attenzione verso la nostra categoria nella pianificazione del piano vaccinale?
Nell’attesa che ci si chiarisca le idee, direi che possiamo continuare a curare persone piuttosto che malattie.
Buona lettura.
Giovanni Lodi, Direttore Scientifico di Dental Cadmos
doi: https://doi.org/10.19256/d.cadmos.02.2021.01
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