Con la pubblicazione sulla GU N°25 del 31 gennaio della legge 3/2018 (in vigore dal 15 febbraio 2018), oltre al riordino delle professioni sanitarie, ha apportato, nell’art.12, comma 1 importanti modifiche all’art. 348 del Codice Penale, per scongiurare l’esercizio abusivo di professioni sanitarie.Il senso dell’inasprimento delle pene si deve ricercare nella tutela della salute del cittadino/paziente.L’art. 348 modificato ora recita:
“Chiunque abusivamente esercita una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato è punito con la reclusione da 6 mesi a 3 anni e con la multa da euro 10000 a euro 50000. La condanna comporta la pubblicazione della sentenza e la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e, nel caso in cui il soggetto che ha commesso il reato eserciti regolarmente una professione o attività. La trasmissione della sentenza al competente Ordine, albo o registro ai fini dell’applicazione dell’interdizione da uno a 3 anni dalla professione o attività regolarmente esercitata. Si applica la pena della reclusione da 1 a 5 anni e della multa da euro 15000 a euro 75000 nei confronti del professionista che ha determinato altri a commettere il reato di cui al primo comma ovvero ha diretto l’attività delle persone che sono concorse nel reato medesimo” Di seguito al comma 7 viene descritta la destinazione dei beni confiscati, prevedendo l’introduzione dell’art. 86 ter nel D.Lgs. 271 del 28 luglio 1989, che recita: “Nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’art 444 del codice per l’esercizio abusivo di una professione sanitaria, i beni immobili confiscati sono trasferiti al patrimonio del comune ove l’immobile è sito, per essere destinati a finalità sociali e assistenziali”
Se la destinazione degli immobili confiscati appare chiara, chiare non sono le modalità di destinazione delle “cose che servirono a commettere il reato”.
In caso di disposizioni giudiziarie, le autorità inquirenti si trovano a dover gestire del materiale biologicamente pericoloso, soggetto a deperimento o scadenza, senza aver chiare indicazioni su come comportarsi.
Questo potrebbe portare ad un “ingorgo gestionale” che di fatto potrebbe bloccare l’attività di controllo e contrasto dell’esercizio abusivo di professioni sanitarie non tutelando la salute dei cittadini. In tal senso si suggerisce un modello gestionale.
Vediamo cosa può succeder in un modello pratico:
Il primo problema sorge al momento dello smantellamento della struttura odontoiatrica.Per riconoscere e montare correttamente le attrezzature necessita un tecnico specializzato, che ovviamente ha un costo. (forse potrebbe essere addebitato alla struttura)Successivamente necessita lo stoccaggio del materiale biologicamente pericoloso e soggetto a deperimento, nonché soggetto a tutte le normative igienico sanitarie.Se si decidesse di smaltire il materiale, ciò dovrà essere fatto seguendo le normative sanitarie.Il ricollocamento delle attrezzature in strutture sociali o assistenziali prevede che le stesse siano a norma (ulteriori spese)Infine, le possibili destinazioni (poche) verrebbero presto saturate ed il problema si ripresenterebbe a breve. A questo punto si avrebbe il blocco degli accertamenti.
Modello applicativo proposto:
1) Confisca dei beni
2) Cascata decisionale per il ricollocamento di attrezzature e materiali
2.a Destinazione ad attività pubbliche, o sociali non a scopo di lucro che ne abbiano fatto richiesta e che siano state validate dagli Ordini Provinciali competenti ai fini di evitare il riutilizzo in situazioni dubbie
2.b Suggerito dal dr. Sandro Sanvenero (Presidente CAO SP) : Creazione da parte dei Comuni, con l’egida degli Ordini, di strutture site negli stessi immobili deputate unicamente alla cura di soggetti fragili su base ISEE e LEA essenziali su base volontaria, comprendete un incentivo per gli odontoiatri volontari (ed esempio uno sconto delle tasse comunali per gli immobili) e/o borse di lavoro sia per gli odontoiatri che per il personale operante.
Tale modello interessante, tuttavia porta con se alcune problematiche interessanti il costo dei materiali di consumo necessari all’attività e la necessità di dotarsi di un direttore sanitario ovviamente retribuito. Ma, anche con questi modelli, dopo breve tempo potremmo avere un’ulteriore ridondanza di attrezzature ed il problema si porrebbe nuovamente.
Si propone quindi un sistema di aste gestite dai Comuni in forma diretta o indiretta, destinate unicamente a soggetti aventi diritto e quindi iscritti all’albo, e mai prima coinvolti, nemmeno marginalmente, in attività relative all’esercizio abusivo della professione, che prevedano quindi un’attività di controllo da parte degli Ordini in tal senso. Potrebbe essere ipotizzabile anche un’attività una promotiva/pubblicitaria delle aste, da parte degli Ordini coordinati regionalmente o interregionalmente, in modo da aumentare i possibili partecipanti.
I proventi di tali aste potrebbero essere utilizzati per:
1) Sostegno degli ambulatori sociali succitati;
2) Copertura delle spese di stoccaggio e smaltimento delle sostanze scadute o non ricollocabili;
3) Rientro in attività sociali e/o assistenziali. Il modello proposto dovrebbe essere studiato per rispettare tutte le normative vigenti, ma avrebbe l’indubbio valore di:
A cura di: Jean Louis Cairoli: Presidente CAO Varese, Presidente componente Odontoiatrica FROMCeO Lombardia
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