Diventa sempre più difficile trovare argomenti da approfondire che non riguardino la questione Covid, da quasi nove mesi non si parla d’altro, sia sui media che nei palazzi della politica.
Indubbiamente c’è in atto una straordinaria emergenza sanitaria e sociale, ma quando finalmente si riuscirà a gestire il Covid come un qualsiasi virus dell’influenza, ci troveremo con un paese devastato economicamente e socialmente, rimasto fermo al febbraio 2020 perché nel frattempo non si è saputo, oltre a gestire l’emergenza, gettare le basi per il dopo. Peraltro già prima di quella data non è che stavamo messi poi bene.
Nei giorni scorsi Il Sole 24 Ore ha indicato in oltre 200 i provvedimenti fermi che il Parlamento dovrebbe discutere ed approvare. Se vogliamo citare questioni odontoiatriche ferme la più attuale è la modifica del Decreto sul profilo ASO, di cui tanto si è discusso, che salvo ulteriori proroghe entrerà a regime definitivo il prossimo aprile. Poi si dovrebbe cominciare a lavorare sui decreti attuativi sul nuovo Ddl che riguarda la radioprotezione, ma l’elenco sarebbe infinito. Certo l’attenzione del Ministero della Salute è su questioni molto più impellenti, ma veramente non c’è lo spazio per lavorare anche su altro?
Un tema di riflessione che può accomunare Covid, cronaca e mondo odontoiatrico, credo però di averlo trovato: il Titolo V della Costituzione ed in particolare alcuni articoli che lo compongono.
Tema fondamentale in sanità ma sul quale nessuno sembra più interessarsi, soprattutto dopo la bocciatura del referendum Costituzionale, strumentalizzato in un voto pro e contro Renzi che invece l’avrebbe modificato riportando molte competenze oggi in mano alle Regioni allo Stato, come era un tempo.
Per i distratti, il Titolo V della Costituzione (quello sulle autonomie locali) era stato modificato attraverso il referendum costituzionale nel 2001, mantenendo allo Stato il potere legislativo ma su alcuni temi, come sanità e istruzione, la legislazione statale diventa di esclusivo indirizzo affidando poi alle Regioni la possibilità di “legiferare nelle materie di competenza concorrente, nel rispetto dei principi fondamentali definiti dallo Stato”.
Sulla carta l’idea di dare più autonomia alle Regioni su temi specifici come quello della sanità poteva essere corretta ed utile. Lo Stato dà le regole generali -gli obiettivi, i principi da seguire- e poi le Regioni “ci mettono del loro” adattando quelle regole alle esigenze territoriali.
Ma negli anni il concetto di “competenza concorrente” si è trasformato in scontro tra Stato e Regioni, e lo dimostra la “marea” di ricorsi alla Corte Costituzionale. Secondo alcuni organi d’informazione, dalla modifica del Titolo V sarebbero stati presentati quasi 2 mila ricorsi: un atto su due prodotto dalla Consulta interesserebbe lo scontro su temi di competenza legislativa.
La modifica del Titolo V della Costituzione ha permesso, in sanità, di creare 21 differenti sistemi sanitari dove l’accesso a servizi e prestazioni sanitarie è profondamente diversificato e iniquo, così come le regole connesse.
La questione delle autorizzazioni sanitarie che coinvolge voi odontoiatri ne è forse l’esempio più eclatante dove, in quasi ogni Regione, vi sono regole diverse.
E tra i problemi creati da questo federalismo legislativo, c’è anche quello dell’interpretazione delle norme. Il Parlamento legifera le linee di indirizzo e siccome le norme non sono mai chiare ma interpretabili, ogni Regione le interpreta a modo suo creando caos su caos a chi, poi, le regole le deve rispettare: i cittadini, i professionisti, gli imprenditori. Ecco qualche, potenziale, esempio odontoiatrico estremamente attuale (ma se ne potrebbero fare a decine di già in essere). La nuova normativa sulla radioprotezione (al link il nostro approfondimento sul DDL) consente di detenere un apparecchio radiografico o CBTC solo se l’Esercente, ovvero il soggetto giuridico titolare dello studio, è autorizzato all’esercizio dell’attività sanitaria (a questo link un approfondimento sul tema specifico). Quindi, considerando letteralmente la norma, la discriminante per avere in studio un radiografico, non è chi è il soggetto giuridico titolare dello studio (per esempio dentista titolare o società), ma l’autorizzazione sanitaria.
Come faranno gli studi monoprofessionali del Piemonte e della Liguria per i quali non è prevista l’autorizzazione sanitaria (non perché esclusi dal richiederla, ma perché la Regione non ha mai legiferato in merito)?
Direte voi, ma se possono esercitare sono di fatto autorizzati. Condivisibile. Ma sarà la stessa interpretazione che darà l’ispettore dell’ASL o del NAS se mai verrà a controllare? Certo, nella malaugurata ipotesi che chi verifica ritenga di applicare la norma letteralmente, potrete fare ricorso, appellarvi, con buone probabilità di spuntarla. Ma serve un avvocato e tempo da perdere.
E lo stesso discorso si può fare, sempre sulla stessa normativa, per quanto riguarda la questione RIR per gli studi associati o per le STP. A questo link le interpretazioni degli esperti, ma i funzionari chiamati localmente ad interpretare, la penseranno come gli esperti interpellati da Odontoiatria33? Come dicevo, l’esempio è su una questione potenziale, sul Ddl radioprotezione su alcuni temi dovranno arrivare chiarimenti, ma da chi? Stato o Regioni, oppure entrambi? E se le Regioni daranno comunque interpretazioni disomogenee?
Sovrapposizioni normative che ovviamente toccano tutte le questioni sulle quali le Regioni possono intervenire. Già dai primi DCPM emanati a seguito della pandemia, il conflitto tra Stato e Regioni a causa del Titolo V della Costituzione si è manifestato in ogni sua forma. Ricordate i Decreti della Lombardia, del Veneto, della Campania in contrasto con quanto deciso dal Governo?
La stessa situazione la si vive in queste ore con la polemica sulla chiusura delle scuole in Campania, per fare un esempio. Persino il calcio è stato “colpito” dalla voglia delle Regioni di “metterci il becco” e creare distinguo su qualsiasi tema, se poi la questione ha un potenziale mediatico è ancora più appetibile.
E mi riferisco al rinvio della partita Juventus Napoli per via della decisione dell’ASL di impedire lo spostamento della squadra per ragioni di salute pubblica (nonostante viaggiassero su autobus privato, con volo charter dedicato e si recassero in uno stadio di fatto chiuso). Situazione veramente più rischiosa di prendere la circumvesuviana al mattino per andare al lavoro?
Ma neppure Juve Napoli ha sollevato la questione del dover o meno rivedere le competenze delle Regioni su questi temi.
In realtà, in questi mesi 5 Stelle e PD hanno indicato la necessità di ridare centralità al SSN, modificando l'articolo 117 (all’interno del Titolo V) della Costituzione prevedendo che spetti alla legge dello Stato non più stabilire i soli princìpi fondamentali, bensì “porre la disciplina funzionale”.
Vedremo l’evolversi e se si guarderà il problema nella sua complessità o solamente a comparti stagni come troppo spesso la nostra politica ci ha abituati a fare.
Un tempo si utilizzava un luogo comune per sottolineare l’incapacità della politica di saper guardare oltre, programmare il futuro e non gestire l’immediato. Si diceva che i parlamentari guardavano solo il dito invece della luna. L’impressione è che oggi non riescano a vedere neppure oltre la propria mascherina; e se poi portano gli occhiali, vedono pure tutto appannato.
Photo Credit: Fotoracconti.it (la foto ritrae il parcheggio degli autobus delle squadre all’interno dello stadio della Juventus sabato 3 ottobre)
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