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20 Settembre 2010

Determinare il genere attraverso l’autopsia

di Debora Bellinzani


Chi si è iscritto al corso sperando che l’ambito forense fosse esplorato in profondità sarà rimasto soddisfatto quando gli insegnanti hanno condotto i corsisti nella sala anatomica dell’Università, ossia la stanza dove vengono svolte le autopsie. è il caso per esempio di Luca Pugliese, odontoiatra di 27 anni che si occupa principalmente di odontoiatria conservativa ed estetica additiva in uno studio di Perugia, che ha affermato: “Mi sono iscritto al corso perché sono appassionato di criminologia e cercavo qualcosa che potesse unire la mia passione con il mio lavoro. Ciò che ho visto e imparato è stato molto interessante e ben oltre le mie aspettative; inoltre ho avuto modo di notare che gli insegnanti lavorano con passione e professionalità seppur tra mille difficoltà, come per esempio la mancanza di fondi del Labanof”. Il Laboratorio di antropologia e odontologia forense (Labanof), che fa capo alla sezione di Medicina legale del dipartimento di Morfologia umana dell’Università, è la struttura che organizza il corso. Nella sala anatomica i corsisti hanno avuto modo di conoscere il suo direttore, la patologa forense Cristina Cattaneo, che dopo avere sistemato sui tavoli i resti ossei di alcune persone non identificate, ossia i “casi irrisolti” del Labanof, ha raccontato alcune delle loro storie. Passando un dito sulla parte interna superiore dell’orbita di un cranio ha chiesto ai corsisti: “Secondo voi è maschio o femmina?”, invitando i presenti a ripetere il gesto. Durante le lezioni infatti era stato spiegato, insieme alle indicazioni riguardo al sesso che si possono dedurre da altre ossa, come per esempio quelle del bacino, che la parte superiore dell’orbita è in generale più sottile nelle donne rispetto agli uomini. Così, cercando di applicare “nella pratica” le nozioni imparate a lezione, i corsisti hanno conosciuto il caso di una donna rinvenuta cadavere in un parco di Bologna e delle sue ferite al cranio, testimoniate da segni sulle ossa, e quello di un ragazzo nordafricano, ferito e poi incatenato in una cantina, a cui non è stato possibile dare un nome.
Analisi di denti... invisibili
Può essere utile tutto ciò all’odontoiatra? Lo può essere certamente nel caso in cui il corsista abbia intenzione di iscriversi nell’elenco dei consulenti presso il tribunale (Ctu, consulenti tecnici d’ufficio) ma, secondo Michela Melchiorre, può servire anche come stimolo e come bagaglio di conoscenze anche all’odontoiatra che non abbia intenzione di uscire dal proprio studio. Michela, 36 anni, ha rinunciato a qualche venerdì di lavoro nel suo studio a Genova, dove si occupa di endodonzia e conservativa e a qualche sabato con i suoi bambini perché voleva “acquisire nuove conoscenze su argomenti che secondo me servono anche nel lavoro di tutti i giorni e che allo stesso tempo, per la connotazione etica e speculativa che hanno, possono dare modo di ‘elevare’ la quotidianità della professione. Mi aspettavo nuovi stimoli e li ho trovati”. Tra le nozioni che forse Michela non si aspettava di trovare vi è anche la valutazione che si svolge in “assenza” di denti anche se la lesione proprio dai denti è provocata: l’analisi dei segni di morsicatura. Al consulente, in questo caso però esperto di odontologia forense, può essere infatti richiesto di valutare se una lesione possa essere stata provocata da un morso e se l’impronta dei denti corrisponda a quella di un determinato soggetto. Attraverso la descrizione di casi reali è stato spiegato come riconoscere una lesione, come fotografarla documentandone le dimensioni reali, come analizzarne la forma e, nel caso di confronto con la dentatura del sospettato, come focalizzare l’attenzione su anomalie del contorno riconducibili alla presenza per esempio di piccole fratture o segni distintivi della dentatura dell’aggressore. “Il più famoso tra i primi casi processuali in cui l’impronta della dentatura è stata utilizzata come prova è quello di Ted Bundy, il serial killer statunitense ritenuto colpevole dell’uccisione di 36 donne che fu incriminato nel 1980 anche grazie all’analisi di una lesione da morsicatura rilevata sulla natica di una delle vittime” ha spiegato Danilo De Angelis. “Nonostante siano ormai passati alcuni decenni dall’epoca in cui l’analisi dei segni di morsicatura era una novità, vi è ancora oggi poca cultura su questo tipo di lesioni che spesso non vengono sottoposte all’esperto e quindi rischiano di non essere riconosciute; imparare quale forma possono avere e dove più spesso vengono rinvenute, ossia su seno, gambe, natiche, genitali e sugli arti superiori utilizzati per difesa, è indispensabile per chi si voglia avvicinare a questa professione.”

GdO 2010;12

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