In questa settimana che ha preceduto questa ultima (ma forse no) domenica del #iorestoacasaopossouscire, il tema è ancora stato quello della possibile ripresa della attività negli studi.
Già perché come per noi italiani, sembrerebbe che anche il dentista cerchi il “conforto” di una istituzione che indichi, nel dettaglio, come comportarsi. Dopo la conferenza stampa del presidente del Consiglio Conte, il dibattito politico è stato su chi dobbiamo considerare come “congiunti” da poter tornare a trovare da lunedì.
Che invece manchi un progetto sulla ripresa sembra essere passato in secondo piano. Poco interessa che non ci sono scuole con abbastanza aule ed insegnanti che possano garantire ai nostri ragazzi il rispetto della distanza sociale, che non ci sono soldi per assumerne personale ed acquistare più autobus e vagoni dei treni per garantire ai lavoratori di viaggiare sicurezza, che non ci sono piste ciclabili per una mobilità alternativa e che non c’è neppure lo spazio sulle strade (e nei parcheggi), già intasate prima, per accogliere le auto di tutti quei pendolari che non trovando posto sui mezzi saranno costretti a muoversi con i mezzi propri. Per non parlare delle questioni economiche, degli 8 milioni di lavoratori in cassa integrazione, di quelle che stanno perdendo il lavoro, di chi non riaprirà.
A noi italiani piace avere l’elenco delle cose da fare e non fare, scritto in politichese per poi giocare a cercare di trovare le pieghe della norma per poterla aggirare.
In questa fase sarebbe bastato dire: attenzione l’emergenza sanitaria non è finita, l’indicazione è quella di stare a casa il più possibile ma se si vuole uscire lo si faccia con la mascherina e rispettando la distanza sociale. Un po’ come si sta cercando di dire agli odontoiatri: non siete mai stati obbligati a chiudere, l’invito fino ad oggi è stato quello di limitare gli spostamenti e quindi limitarsi a curare i pazienti con problemi indifferibili, da domani che i cittadini potranno uscire di casa con un po’ più libertà, valutate se aprire o meno ricordandovi che se riprendete, dovete garantire che operate in sicurezza. Ovviamente anche sulla sicurezza si è aperto la polemica: “ma non ci sono linee guida ministeriale per i dentisti”. Vero non ci sono ancora, ma ci sono quelle per le strutture sanitarie (tra le quali rientrano anche gli ambulatori odontoiatrici, altrimenti sarebbero chiusi come i parrucchieri) che impongono protocolli e sistemi di protezione per trattare pazienti affetti da Covid-19.
Già, perché anche quando saranno svelate le indicazioni ministeriali specifiche per lo studio odontoiatrico, ed in attesa che si trovi un test affidabile ed immediato che indichi se il paziente è positivo o meno, voi non dovrete trattare pazienti con i sintomi da coronavirus e trattare tutti gli altri come se fossero degli asintomatici, come ha spiegato il presidente CAO Raffaele Iandolo al Congresso virtuale AIOP.
Ed anche sui DPI necessari mi sembra che oramai ci sia poco da aspettare: a diretto contatto con il paziente servono guanti, cuffia, sovracamice impermeabile, maschera protettiva e mascherina almeno FFp2 senza valvola. Per quanto riguarda la gestione del paziente rimane quella indicata in fase di emergenza così come l’accoglienza e l’attesa dovrà rispettare quella semplice regola di fondo che da quando abbiamo imparato a conoscere il virus ci dicono: distanza sociale di almeno un metro, evitare il contatto e fare utilizzare al paziente la mascherina che male non fa.
Quindi ora la scelta spetta solo al dentista: se si sente sicuro, se ha i DPI necessari, ha predisposto i protocolli operativi, aggiornato il Dvr, addestrato e informato il personale e, soprattutto, ha pazienti disposti ad uscire di casa, può riprendere l’attività.
Ma il tema di questo DiDomenica è un altro, sempre legato alla Fase 2 ma che tocca un aspetto più formale che sostanziale come apro o non apro.
Lo spunto me lo ha fornito una lettera del presidente della FNOMCeO Filippo Anelli inviata al Ministro della Salute Roberto Speranza con la proposta/invito avanzata dal Comitato Centrale per evitare che l’epidemia possa riprendere in questa fase in cui dovremo convivere con il virus chissà ancora per quanto. La proposta di Anelli è quella forse tanto ovvia quanto efficacie: “prevenzione e monitoraggio del territorio per individuare tempestivamente nuovi focolai”.
E per fare questo Anelli sottolinea che si deve “imparare dagli errori per evitare di ripeterli”. Questa attività di monitoraggio, dice Anelli, “deve essere svolta grazie ad una capillare ed efficiente rete di Medici di Medicina Generale e di Pediatri di libera scelta che insieme agli specialisti ambulatoriali, interni ed esterni, coprono efficacemente tutto il territorio nazionale e costituiscono la prima linea in termini sanitari. Sono questi i cosiddetti “medici sentinella” che in un contesto come l’attuale, in piena sinergia, potrebbero e, ad avviso della FNOMCeO, dovrebbero costituire il primo fattore strategico di difesa contro il ritorno e la ripresa del virus, in collaborazione con il dipartimento di prevenzione e coadiuvando i medici ospedalieri nella loro attività di assistenza, decongestionando le strutture ospedaliere”.
E poi aggiunge: “È il medico di medicina generale o il pediatra di libera scelta che per primo è interpellato dal paziente e che per primo ha modo di accertare con il medico specialista l’evidenziarsi dei sintomi di un probabile focolaio, evitando anche l’accesso improprio al pronto soccorso – afferma ancora Anelli -. Questo importantissimo dato dovrebbe attivare, a cascata, tutto un percorso che è in realtà già definito ma che è opportuno perfezionare per migliorare le necessarie interazioni, partendo dal tempestivo ricorso a test virologici e sierologici, e passando procedimenti autorizzatori sburocratizzati, snelli e rapidi, libera prescrittibilità di farmaci che a oggi hanno mostrato evidenze di efficacia. In tal senso il supporto delle USCA costituisce già un solido riferimento come si sta registrando in questo periodo”.
Lasciando da parte la questione prescrizione di farmaci e cura specifica del malato Covid-19, non certo di pertinenza odontoiatrica, potremmo dire la stessa cosa sul ruolo di sentinella dei dentisti italiani verso l’individuazione di potenziali affetti da Covid-19, ma anche della possibilità che i loro studi possano essere uno dei presidi che possano, non solo quando ci saranno test immediati affidabili, svolgere i prelievi per il test?
Partiamo proprio dai test.
Oggi, almeno in Piemonte capita così, se un paziente deve effettuare una prestazione in un ospedale pubblico a rischio aerosol, come una oculistica per non citare quelle odontoiatriche, deve sottoporsi al tampone (effettuato gratuitamente dall’Asl), se negativo può effettuarla altrimenti no.
Perché, invece, al paziente che si rivolge ad un oculista privato o ad un dentista non viene fatto il tampone?
Non ho trovato una motivazione ufficiale, ma non credo che possa essere perché il tampone costa e quelle prestazioni sono svolte in regime privatistico, anche perchè se l’odontoiatra che vuole “certificare” la sua negatività prima di tornare a curare le persone, non credo possa neppure farlo pagando.
Ma capisco che quello dei test ed un argomento delicato con mille variabili ed incognite.
Giustamente mi farete notare che non si riesce a fare i tamponi ai medici in ospedale, figuriamoci i professionisti “esterni”. Anche se tutti curano persone a prescindere se a pagarli è il cittadino attraverso le tasse versate allo Stato o direttamente al professionista privato.
La considerazione che vorrei invece fare con voi è sul passaggio del presidente Anelli sul “medico sentinella” indicato come fondamentale per intercettare e monitorare i pazienti potenzialmente infetti, quelli a rischio.
So bene che sottolineare come Anelli non abbia citato gli odontoiatri tra le sentinelle può sembrare un esercizio autoreferenziale per un settore che, a volte, si considera “il centro” del mondo sanitario, ma in questo caso è così?Leggendo la nota di Anelli la questione prevenzione e monitoraggio sembra essere una cosa “esclusiva” del SSN. Certo che può fare sorridere (ma siamo sicuri?) criticare il presidente Anelli perché non ha citato il ruolo che non solo i dentisti, ma anche gli altri medici liberi professionisti possono e devono avere, nel monitorare e prevenire ed impedire la ripresa del contagio.
La mia impressione è che purtroppo, invece, ai dentisti si continui a pensare come quelli del mal di denti e patologie correlate, ma non come sanitari che curano pazienti, e nemmeno pochi.
Qualche numero approssimativo raccolto in fretta grazie ai colleghi di Doctor33 e una persona vicina al segretario FIMMG Silvestro Scotti. I medici di medicina generale sono 43mila, gli studi odontoiatrici intorno ai 44mila. Un medico di medicina generale vede 30 pazienti al giorno, un dentista secondo una statistica di Key-Stone 8 al giorno, ovvero il 27% circa di quelli visti dal medico di famiglia.
Ma sono pazienti sovrapponibili oppure una tipologia di pazienti differenti? E’ errato pensare che i dentisti vedano prevalentemente e con più frequenza alcuni pazienti rispetto a quelli che solitamente frequentano i medici di medicina generale?
Da domani i 44mila studi dentistici italiani, per riprendere l’attività, cominceranno a telefonare ai loro pazienti chiedendo chiare informazioni sul loro stato di salute, e così si comporteranno con quelli che chiameranno per prendere un appuntamento. In ottica di sanità pubblica non sarebbe utile al nostro SSN sapere quali pazienti indicano sintomi da Covid-19, oppure dicono di aver, nelle settimane precedenti, incontrato persone che poi si sono ammalate?
Certo che il dentista dirà al paziente con i sintomi da Covid-19 di farsi visitare dal suo medico, ma se poi quel paziente non lo fa? Non sarebbe meglio attivare una procedura per la segnalazione all’Asl? Quindi quella rete necessaria ed indispensabile di sentinelle per prevenire il riaccendersi dei focolai non dovrebbe comprendere anche i dentisti, e non solo per il Covid-19?
Certo, poi ci sono tutti i distinguo che potrebbero avanzare gli stessi dentisti su responsabilità, privacy ed altro ancora oltre al legittimo: “ma perché devo farlo”.
Io credo che se volete e vi interessa vincere la battaglia per essere realmente riconosciuti e considerati come parte del sistema sanitario del Paese, questa possa essere l’occasione da cogliere.
Altrimenti hanno ragione i Governatori di quelle regioni che non vi considerano come categoria da monitorare con i test diagnostici, da agevolare per la consegna dei DPI o quei Prefetti che nella prima fase emergenziale, vi avevano considerato al pari dei parrucchieri.
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