La notizia arriva dagli Stati Uniti e porta buone speranze per le persone affette da malattia parodontale: nel Centro di ricerca per la salute orale della University of Michigan sono stati curati animali con la terapia genica, ottenendo un arresto nello sviluppo della patologia. I risultati, per quanto sperimentali e realizzati su animali, corroborano dati soddisfacenti ottenuti dalla terapia genica nell’ambito di altre malattie di tipo in fiammatorio e indicano una strada innovativa e percorribile per la cura di una patologia orale che peggiora notevolmente la qualità di vita dei pazienti.
“L’utilizzo della terapia genica per la cura di malattie che mettono a rischio la vita non è nuova, mentre la ricerca nell’ambito delle malattie croniche è ancora agli inizi. In particolare siamo il primo gruppo di ricerca ad avere provato la strada del trasferimento di materiale genetico per cercare di arrestare lo sviluppo della malattia parodontale” spiega Joni Augusto Cirelli, coautore dello studio e ricercatore presso il Dipartimento di parodontologia e medicina orale della University of Michigan di Ann Arbor, negli Stati Uniti.
La ricerca, al momento pubblicata online (www.nature.com/gt) e in attesa di trovare spazio sulle pagine della rivista Gene Therapy, ha sperimentato la terapia genica per stimolare la produzione di molecole antagoniste del fattore di necrosi tumorale alfa (TNF-alfa). “Riuscire a stimolare la produzione di antagonisti del TNFalfa significa inibire la perdita di tessuto osseo alveolare dovuta alla patologia, poiché è assodato che elevati livelli di TNF-alfa sono associati alla presenza di malattie infiammatorie come l’artrite reumatoide, il deterioramento delle articolazioni e, appunto, la malattia parodontale” prosegue il ricercatore; “il procedimento, ridotto in termini essenziali, consiste nel somministrare ai topi per via intramuscolare il gene di fusione chiamato TNF receptorimmunoglobulin Fc (TNFR:Fc) attraverso un vettore, in questo caso uno pseudotipo di adenovirus.
Quando TNFR:Fc raggiunge le cellule bersaglio, le stimola a produrre le sostanze antagoniste del TNF-alfa, i cui livelli vengono ridotti provocando un immediato beneficio: nei topi utilizzati per gli esperimenti, il 60-80 per cento dei tessuti ossei è stato risparmiato dalla distruzione rispetto alla prevedibile progressione della malattia se non fosse stata utilizzata la terapia genica.”
Lo stesso approccio terapeutico è stato recentemente sperimentato da un’azienda statunitense, Targeted Genetics, nella cura dell’artrite reumatoide. “Anche i loro risultati sono stati incoraggianti, in particolare considerando il fatto che la sperimentazione è avvenuta su pazienti: nei 127 soggetti che si sono sottoposti alla terapia genica, infatti, sono stati riscontrati una riduzione del dolore del 30 per cento e un deciso miglioramento della mobilità” conclude il ricercatore; “il nostro e gli altri studi, dunque, spingono a considerare la terapia genica una reale possibilità futura per la cura delle malattie infiammatorie, da un lato grazie ai risultati positivi che si stanno ottenendo, e dall’altro per il fatto che una volta introdotto il gene nell’organismo, questo continuerà a produrre le molecole utili per un lungo periodo e, potenzialmente, per tutta la vita del paziente.”
GdO 2009; 2
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