Uno dei criteri con cui si valuta la possibilità di realizzare un impianto dentale è il timore che nel tempo esso possa “consumare” la struttura ossea esistente e modificare i tessuti gengivali circostanti; questa paura può oggi essere messa da parte secondo uno studio recentemente pubblicato dal Journal of Peridontology. Dalla ricerca è risultato, infatti, che, dopo le prime modificazioni dovute alla preparazione dei tessuti e all’inserimento dell’impianto, non si sono verificate ulteriori perdite ossee nei cinque anni successivi all’intervento. “E questo rende gli impianti dentali una soluzione affidabile nel tempo per restituire al paziente la funzionalità e l’aspetto estetico della sua dentatura” ha commentato David Cochran, coautore dello studio, direttore del Dipartimento di parodontologia dello University of Texas Health Science Center di San Antonio (USA) e presidente dell’American Academy of Periodontology.
La ricerca è stata basata sull’osservazione di 192 pazienti di età compresa tra 19 e 78 anni (età media 51) sui quali erano stati realizzati in totale 596 impianti dentali non sommersi (trattamento titanium-plasma sprayed): 231 impianti a cilindro cavo realizzati nella mascella (38,8%) e 365 a vite piena realizzati nella mandibola (61,2%); gli interventi erano stati naturalmente realizzati secondo i bisogni di ciascun paziente e spaziavano da impianti singoli nel 28 per cento dei casi a impianti multipli di cinque o sei elementi nel 31 per cento dei pazienti.
“Le uniche modificazioni significative dei tessuti ossei si sono verificate nei primi sei mesi, ossia nel tempo intercorso tra l’inserimento dell’impianto e il posizionamento delle protesi definitive, durante i quali è stata registrata una perdita media dell’osso marginale compresa tra 1,20 e 2,44 millimetri” ha spiegato l’autore dello studio; “questo è dovuto ai processi che seguono la preparazione dei tessuti e l’inserimento dei materiali estranei all’organismo, che causano in un primo tempo un’interruzione nella continuità della struttura ossea e della vascolarizzazione dei tessuti. La risposta infiammatoria acuta che ne segue dà inizio a un processo di guarigione e rimodellamento in realtà relativamente veloce che accoglie con successo gli elementi “estranei”, dal momento che nell’anno successivo la perdita media dell’osso marginale era di entità non significativa e compresa tra 0,22 e 0,42 millimetri. Questo significa, inoltre, che anche il posizionamento delle protesi non ha causato modificazioni nei tessuti circostanti nei mesi seguenti.”
Se la preoccupazione riguardo alle possibili conseguenze dell’inserimento dell’impianto era riferita invece al lungo periodo, anche in questo caso essa è stata del tutto ridimensionata dai risultati dello studio. “I pazienti sono poi stati seguiti per altri quattro anni e, tramite radiografie annuali, è stato possibile stabilire che le modificazioni in questo lungo periodo di “utilizzo” dell’impianto era del tutto insignificante: la perdita dell’osso marginale era infatti compresa tra 0,18 e 0,88 millimetri per tutti i tipi di impianti testati, ossia quelli a cilindro cavo e a vite piena, quelli singoli e quelli multipli, quelli con una lunghezza di 8 piuttosto che di 16 millimetri” conclude Cochran. “Ciò significa che, perlomeno relativamente ai tipi di impianti utilizzati nello studio, i buoni risultati sono indipendenti dall’età della persona e dall’estensione dell’impianto: in un paziente sano i materiali e le tecniche oggi utilizzati per realizzare un impianto dentale assicurano non solo l’integrazione con i tessuti del cavo orale, ma anche una funzionalità e un’estetica che lo rendono un sostituto soddisfacente della dentatura naturale.”
“A prospective multicenter 5-year radiographic evaluation of crestal bone levels over time in 596 dental implants placed in 192 patients”
J Periodontol 2009;80(5):725-33.
GdO 2009;13
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