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30 Settembre 2011

Osteonecrosi dei mascellari: come gestire il paziente

di Norberto Maccagno


“Indubbiamente l’o-steonecrosi mascellare (Onj) in soggetti in terapia con bifosfonati (Bnf) è divenuto un problema preoccupante per l’odontoiatria, non tanto in termini di incidenza, che rimane contenuta, ma soprattutto per la drammaticità di taluni casi. Del resto, ormai molteplici consessi clinici, anche multidisciplinari, si occupano di tale problema al fine di individuare i migliori approcci preventivi, terapeutici e di diagnosi precoce.”
A fare il quadro Vilma Pinchi, odontoiatra e professore associato presso il dipartimento di Medicina legale dell’Università di Firenze, che abbiamo intervistato. “La formazione dell’odontoiatra sulla materia è fondamentale” spiega Pinchi. “Il soggetto in trattamento con Bnf è affetto da patologie sistemiche, talora neoplastiche, che richiedono un approccio multidisciplinare e speciali cautele diagnostiche e terapeutiche, ma anche peculiare attenzione alla informazione sui rischi e alla documentazione dell’iter clinico eseguito. Questo anche al fine di una migliore tutela del professionista, che con prudenza e diligenza si accosti a un trattamento indubitabilmente complesso, perché a rischio di lesioni anche gravi, e a elevato rischio di contenzioso”.

Recentemente un paziente affetto da osteonecrosi mascellare ha chiamato in causa il proprio dentista per non averlo informato sui rischi. Alla base del trattamento ci deve essere sempre un corretto dialogo tra paziente e dentista?
L’informazione e la partecipazione del paziente all’iter diagnostico-terapeutico è essenziale per ogni atto sanitario: tanto maggiori sono i rischi di un intervento, tanto più efficace dovrebbe essere l’atto informativo. Il colloquio è indubbiamente il momento di reale informazione/partecipazione del paziente e l’occasione per l’assistito di formare la propria scelta terapeutica insieme al medico. Va ricordato però che l’informa-zione non deve solo essere esposta, ma eventualmente anche dimostrata, soprattutto in caso di contenzioso. Va da sé che quanto più un intervento è rischioso, tanto maggiore deve essere il quantum informativo da dare al paziente e l’atten-zione da porre alla eventuale prova da fornire. Cosa che può essere ottenuta mediante eventuali moduli scritti che sintetizzino e richiamino quanto il professionista ha espresso nel colloquio.

Quali sono i rischi per il paziente che possono portare a un contenzioso medico-legale?
Il contenzioso odontoiatrico non sempre è correlabile con la percezione/dimostrazione dell’errore professionale. Sovente l’assistito, magari preliminarmente non ben informato né dall’odontoiatra né dagli specialisti che abbiano prescritto la terapia con Bfn (oncologi, ortopedici e via di seguito), potrebbe non capire e accettare che un atto di entità chirurgica così modesta, quale l’estrazione di una radice, abbia potuto provocare una estesa necrosi ossea, con quadri sintomatologici importanti. In situazioni simili, se l’assistito non è stato convenientemente ed esaustivamente informato potrebbe erroneamente attribuire il danno osseo a una mala gestione dell’odontoiatra, più che a un rischio connesso con la terapia farmacologica sistemica.

Quali sono le linee di indirizzo per trattare i pazienti che fanno uso di questi farmaci?
Le linee diagnostico-terapeutiche del paziente in trattamento con Bfn sono piuttosto articolate: anzitutto sono correlate con la tipologia, il dosaggio e la via di somministrazione del farmaco, oltre che con la patologia sistemica per cui la terapia è stata prescritta (oncologica, non-oncologica). Le indicazioni comportamentali, sia di tipo clinico sia medico-legale, non possono che essere dedotte dalla ricca letteratura scientifica di riferimento.

Come può tutelarsi il professionista che tratta questi pazienti?
Il buon professionista deve essere attento nei confronti dell’assistito, limitando al minimo i rischi e ottimizzando le prospettive di successo, ma anche nei confronti di sé stesso e del proprio operato, ponendosi nella condizione di poter formire, all’occorrenza, adeguata prova del percorso assistenziale, tramite una puntuale compilazione e conservazione della documentazione (cartella, esami e così via).

Può rifiutarsi di trattarlo?
Se dal punto di vista etico il rifiuto del medico può sembrare riprovevole, dal punto di vista giuridico e medico-legale è possibile, laddove si tratti di libero-professionista e fatta salva la condizione che il sanitario non deve abbandonare il paziente in una situazione di emergenza o di pericolo per la vita o per l’integrità. Il medico odontoiatra che non voglia o non possa gestire il paziente in trattamento con Bfn o affetto da osteonecrosi. per carenze strumentali/strut-turali o per mancanza di competenza specifica, può rifiutare la prestazione, adoperandosi però per indirizzare e avviare l’assi-stito verso un appropriato percorso diagnostico terapeutico.

Nel caso il paziente non indichi la terapia che sta svolgendo, il dentista può comunque essere considerato responsabile ?
È una evenienza frequente: durante l’anamnesi, soprattutto nel caso multitrattamento, il paziente può dimenticare di segnalare l’assunzione di Bfn che, peraltro, spesso considera farmaci blandi, innocui, quasi assimilabili a integratori.
Ove il medico odontoiatra dia dimostrazione di essere stato attento nell’indagare non solo le terapie in essere, ma anche quelle pregresse, e l’esistenza di patologie per cui poteva richiedersi la terapia con Bfn, la responsabilità del rischio dovuta ad anamnesi errata teoricamente ricade sul paziente. Del resto, al contrario rispetto ad altre patologie (come l’epilessia per esempio), non è comune che un paziente nasconda volontariamente uno stato osteoporotico o neoplastico; è molto più frequente, come già detto, che ignori e sottovaluti il rilievo e i rischi connessi con la terapia.

Ci sono indicatori che possono indurre il clinico a supporne l’utilizzo?
Solo un’anamnesi accurata, focalizzata sulle terapie, ma anche sulle patologie sistemiche che possono richiede un trattamento Bfn, eventualmente integrata con il consulto con il medico di medicina generale, può rivelare l’utilizzo e la effettiva portata della terapia, in modo da poter impostare la valutazione del bilanciamento rischio.

GdO 2011;10

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