Il dott. Mele interviene sull’ipotesi di adottare procedure ulteriori per la sicurezza negli studi odontoiatrici: “sono già sicuri
Gentile Direttore,
vorrei con questa mia lettera esprimere il mio completo dissenso sull’intervento del collega ed amico Coloccia pubblicato su Odontoiatria33 il 25 marzo. Il motivo è duplice.
Innanzitutto faccio presente che non siamo solo iscritti all’ENPAM, ma siamo anche cittadini italiani e, per la maggior parte degli odontoiatri, liberi professionisti. Insieme agli iscritti ad altri Ordini e Collegi siamo quasi due milioni, con un indotto di personale dipendente, di affari e di contributo all’economia del paese facilmente intuibile. In più, nelle avversità della vita e della professione ce le siamo sempre sbrigati da soli. In tempo di pace, seppure con sempre più crescenti difficoltà, ce l’abbiamo fatta, ma in tempo di guerra no.
E’ lo Stato che deve prendersi cura di noi, come di tutti i suoi figli, seppure compatibilmente con le sue disponibilità non certo infinite e proporzionalmente alle condizioni di partenza di ognuno.Sostenere che sia l’ENPAM, forte di un consenso statale, a pensare in tutto e per tutto alle nostre difficoltà, è pura utopia: non può fare leggi, non può stampare moneta, potrà rinunciare a contributi o dilazionarli, facilitare il credito, creare nuove formule assistenziali.
Ma non più di tanto.
Chiedere soltanto di essere autorizzati ad utilizzare i nostri risparmi previdenziali significa bypassare completamente il doveroso e primario ruolo di sostegno dello Stato ed accettare definitivamente di essere considerati cittadini di serie "b". E questa volta, in tempo di guerra, non ce la possiamo fare.
Il secondo punto che non condivido è quello di auspicare autonome ed ulteriori misure igienico sanitarie per i nostri studi odontoiatrici, presumendo, secondo me ingenuamente, che in questo modo non ci verranno “sommariamente imposte dalle autorità governative”. Senza nulla levare alle effettive criticità igienico sanitarie di questa nuova situazione, osservo che attualmente gli studi odontoiatrici sono i più sicuri in tutto il panorama degli studi sanitari italiani in quanto, oltre alle numerose regole nazionali, osservano una serie di norme regionali sovrapposte alle prime che da tempi ormai remoti rispettano pedissequamente. Anche perchè sono gli unici ad essere controllati.
Potrei parlare del defibrillatore in Toscana, dei controlli sul radon in Puglia, sui filtri per la legionella in Emilia Romagna e tanto altro. Norme sovrabbondanti, quando va bene utili in un numero ridottissimo di situazioni, ma che oggi ci danno il diritto di vantare un bollino di qualità che gli altri non hanno. Siccome, come sostiene il collega Burioni, con il quale condivido l’insofferenza verso il “sentito dire”, in medicina conta l’evidenza scientifica, faccio presente che una recente malattia, proprio la legionellosi, ha messo alla prova la capacità della comunità scientifica di documentarsi in maniera precisa e la nostra attività di domandarsi quanto può essere pericolosa per i nostri pazienti. In situazioni di contagio non del tutto simili ma certo indicative.
Ebbene il Rapporto annuale del Registro Nazionale della legionellosi in Italia, redatto dall’Istituto Superiore di Sanità, riporta che su circa 2.000 casi accertati nel 2017 risultano solo 20 pazienti che riferiscono di aver avuto cure dentistiche nei 15 giorni precedenti alla comparsa della malattia. E negli anni precedenti i dati sono del tutto simili. Tutti gli altri ammalati alla solita domanda hanno risposto “No”. Evidenza scientifica della possibilità di contagio in uno studio dentistico: “zero”.
Questi sono i dati su cui ci dobbiamo confrontare, non altri.
Non possiamo avanzare “teorie”, come ad esempio in campo economico, dobbiamo analizzare i dati raccolti in maniera seria, uniforme e certificata. Questa è la medicina, non altro. La verità è che, come sostiene il mai banale Ivan Cavicchi su Quotidianosanità del 25 marzo, noi abbiamo bisogno di riconquistare la “fiducia sociale” in gran parte persa negli ultimi anni, fiducia che non si recupera solo con “più scienza, più procedure, più algoritmi”, ma con l’affidabilità, cioè la “certezza che il medico faccia sempre del suo meglio, in qualsiasi circostanza”. E’ quello che stanno facendo in questi giorni migliaia di colleghi nelle corsie di ospedale.
Dottor Renato Mele: Rappresentante toscano nella Consulta ENPAM della libera professione
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