Le esigenze cliniche dei pazienti sono sempre più orientate verso la mini-invasività, affiancata da fattori quali l’attenzione per l’estetica, la riduzione dei tempi di trattamento e la contrazione dei costi. È chiaro che queste diverse esigenze, pur lecite, risultano tra loro difficilmente conciliabili.
Nel nostro lavoro, noi dentisti dobbiamo essere in grado di far fronte a tutte queste necessità, unitamente al rispetto di richieste di varia natura, delle sempre più numerose incombenze burocratiche e dell’aumento relativo di costi.
Vorrei però trattare il tema della così detta “prova specchio”, un momento che può essere foriero di elevato stress. La vita professionale del dentista, implantologo, ortodonzista, parodontologo, ma soprattutto del protesista, sperimenta forti momenti emozionali, nel bene e nel male, ma c’è un particolare momento in cui l’aspettativa fa davvero trattenere il fiato! Mesi di lavoro, di impegno e di studio troveranno soddisfazione o saranno frustrati in pochi secondi.
È il momento della verità, della sentenza, il momento in cui noi diciamo che abbiamo finito il nostro lavoro e il paziente chiede all’assistente… lo specchio!
Poco importa se hai fatto procedure chirurgiche complesse con ottimo risultato, o se le condizioni cliniche preesistenti non avrebbero permesso di raggiungere un risultato migliore: il paziente vede solo ciò che lo specchio riflette ai suoi occhi e lo paragona alle sue aspettative, più o meno realizzabili. E sulla base di questo giudicherà noi e il lavoro eseguito.
Questo può essere un momento di gioia, che si trasforma in appagamento e nella volontà di impegnarsi ancor di più, se il paziente esprime felicità e riconoscenza, o momento di delusione che si tramuta in assenza di motivazione o rabbia, se il paziente non apprezza il risultato finale.
Ecco perché noi professionisti dobbiamo parlare al paziente fin da subito, prima di iniziare un lavoro, e tarare le aspettative in modo realistico.
Come possiamo farlo se non abbiamo fatto un adeguato studio del caso?
Come possiamo rispondere circa la possibilità di realizzare le richieste del paziente se non abbiamo adeguatamente valutato la situazione clinica da affrontare?
Aggiungo un’ulteriore considerazione. Il contenzioso con i pazienti ha assunto proporzioni importanti. Come limitare problematiche, errori, insuccessi?
Come poter sempre essere in grado di difendere il nostro operato?
Possiamo correttamente affrontare tutte le problematiche sopra esposte dedicando molto più tempo, rispetto al passato, alla programmazione e alla pianificazione protesica pre-operatoria del caso e, nel caso di implanto-protesi, a una corretta progettazione di numero, dimensioni e posizionamento nei vari piani dello spazio delle fixture implantari, atte a fornire il migliore sostegno alla protesi programmata dal punto di vista bio meccanico.
È necessario, in ultima istanza, valutare i tessuti molli che devono assicurare il sigillo biologico, e quindi il successo clinico nel tempo, della nostra riabilitazione protesica. Non solo, di tutti questi passaggi risulta assolutamente necessario conservare idonea documentazione.
La protesi, infatti, ricopre il ruolo predominante in campo riabilitativo. Mentre anni fa il chirurgo inseriva impianti dove permesso dalla volumetria ossea, lasciando tutte le problematiche al collega che si occupava della protesi, oggi, tutti gli atti chirurgici devono essere eseguiti già con un preciso orientamento protesico, oltre che con uno sguardo rivolto alla biologia e alle diverse capacità di sopportare carichi delle strutture ossee dei mascellari, perché è in questo momento che viene deciso il risultato “della partita”. Ossia, molto prima di cominciare la nostra chirurgia.
Infine, le responsabilità della nostra categoria. Oggi viene pubblicizzato il carico immediato come se fosse la normalità, e vengono pubblicate sui social solo le foto di quel lavoro perfetto che riesce una volta all’anno e che non presenta compromessi di nessun tipo.
Pubblicizzare l’eccezione come se fosse la normalità non ci è certo di aiuto. Perché poi i pazienti chiedono, a ragione, la realizzazione costante di quell’eccezione!
In sintesi, i dentisti di oggi hanno grandi svantaggi rispetto ai colleghi del passato; hanno però anche due importantissimi vantaggi che gli odontoiatri di soli 15-20 anni fa non avevano.
In primis, tramite le moderne TCCB è possibile vedere l’anatomia del paziente come mai prima, in rapporto 1:1 e con una risoluzione incredibile. La nostra diagnosi, che rappresenta il primo e più importante atto medico, non è mai stata così accurata in ognuna delle varie branche dell’odontoiatria. Possiamo disporre del modello del mascellare del paziente stampato con anatomia in 3D (al posto del vecchio modello in gesso pieno) sulla nostra scrivania e valutare con calma ogni opzione prima di operare, provando anche diverse simulazioni. Solo pochi anni fa il chirurgo era quasi costretto a improvvisare sul momento, con risultati alterni.
Il secondo vantaggio che abbiamo oggi è legato all’avvento della tecnologia e, in particolare, del digitale, che ha davvero rivoluzionato tutto il nostro mondo e il nostro modo di lavorare.
Oggi possiamo visualizzare in anteprima il risultato finale. Non solo una visualizzazione del lavoro previsto “inserito” nell’arcata dentaria virtuale del paziente ma, grazie agli scanner facciali, possiamo anche vedere il nuovo sorriso del paziente inserito nel contesto del suo viso e ottenere consenso, prima di iniziare il nostro lavoro.
Non solo, l’avvento di software che simulano i movimenti mandibolari del singolo paziente permettono di ottenere protesi funzionalmente valide, non perché piace a noi una determinata posizione dentaria o dei rapporti cuspidi-fossa o intermascellari, ma perché quella conformazione dentaria, quel posizionamento, quelle guide sono quanto necessita al paziente per stare bene, per non avvertire interferenze, per mantenere il corretto free space, per non avere invasione dello spazio linguale.
Non sono vantaggi da poco. Si pensi ai “ritocchi” protesici che si usava fare: quanta frustrazione nel distruggere quella bellissima anatomia cuspidale che aveva costruito con fatica il nostro tecnico, nel seguire il soggettivo “feel good and confortable” del paziente che provava dinamicamente ad articolare le arcate dentarie tra di loro.
Purtroppo per noi, quei movimenti individuali non erano riproducibili su nessun articolatore; staticamente il lavoro sembrava perfetto, ma nel cavo orale di quel paziente quel lavoro bellissimo risultava “not functional”.
Quindi, una corretta diagnosi, una programmazione protesica e una progettazione implantare accurata, utilizzando tutta la tecnologia a nostra disposizione, sono le premesse per il nostro successo protesico, estetico e funzionale.
L’impatto costi, che esiste, deve essere gestito facendo vedere e spiegando al paziente il nostro studio del “suo” caso, dando la giusta importanza al fattore tempo dedicato, che è la cosa più preziosa che abbiamo, e la tecnologia che utilizzeremo, ma è fondamentale far vedere al paziente, almeno nelle riabilitazioni importanti, quello che potrà essere il risultato finale del nostro lavoro. In questo modo il paziente percepirà la qualità di quello che stiamo facendo per lui e comprenderà meglio anche i costi.
Soprattutto, otterremo dal paziente un consenso realmente informato e non avremo “sorprese negative” alla prova specchio, perché tutto sarà già praticamente noto e deciso fin dall’inizio del nostro lavoro.
Presentazione del caso clinico
Per meglio spiegare i concetti espressi valuteremo ora un caso relativamente semplice, ma già indicativo, con attenzione focalizzata, in questa prima parte del nostro lavoro, sulla progettazione implantare.
Il soggetto in cura è un paziente maschio di anni 61 che presenta perdita dei due premolari nel primo quadrante (storia abbastanza frequente per i 60-70enni di oggi, quando i premolari avevano presentato patologia cariosa da giovanissimi); prima otturati, in seguito devitalizzati e protesizzati e, infine, affetti da frattura radicolare/patologia apicale, comportante estrazione.
2015
2015
2022
Caso, come detto, non complesso, che tuttavia presenta criticità da non sottovalutare.
Ricordiamo:
È necessario, pertanto, dedicare il giusto tempo alla nostra progettazione valutando le differenti opzioni implantari dopo avere scartato, insieme al paziente, l’opzione protesi tradizionale. Questo perché risultano vitali gli elementi dentari adiacenti all’edentulia.
Le decisioni da prendere, dopo avere scelto un inserimento implantare precoce sono, nell’ordine, le seguenti.
1. Valutazione della fattibilità protesica con pre-visualizzazione di estetica, emergenza protesica, adeguate possibilità di mantenimento igienico e funzionalità delle corone su impianti, avvitate o cementate, avendo la possibilità di inserire sul software i diversi abutment dedicati. È intuitivo che tutte queste scelte non nascono da una nostra preferenza generica o di tipo pratico.
2. Scelta della tipologia implantare idonea atta a ridurre il rischio di insuccesso e volta a permettere una buona guarigione dei tessuti duri e molli.
3. Studio, progettazione e pianificazione accurata di tutte le fasi e delle modalità chirurgiche atte a realizzare il progetto elaborato.
È intuibile che il dogma decisionale-operativo risulta completamente capovolto. Solo pochi anni fa avremmo fatto due impianti, magari aspettando anche un anno dall’estrazione, e poi a guarigione avvenuta ci saremmo posti il problema protesico, assumendoci tutti i rischi del caso, soprattutto per il risultato estetico che oggi è imprescindibile.
La prima fase diagnostica consiste in un esame rx tridimensionale (TCCB) che permette un’accurata valutazione del sito da trattare. I file nativi DICOM 3.0 vengono importati su software dedicato alla progettazione implantare. Iniziano, quindi, tutte le nostre valutazioni nell’ordine sopra citato.
Il sito osseo deve essere considerato nella sua volumetria tridimensionale, ma anche dal punto di vista della qualità ossea, tenendo ben presente la mineralizzazione andata persa per l’infezione dovuta alla frattura verticale.
Vengono quindi allineate le scansioni intra-orali acquisite con scanner intra-orale con i file DICOM della TCCB.
Le informazioni in nostro possesso, a questo punto, risultano essere già rilevanti e molto più approfondite rispetto anche a un recente passato: spazio e rapporti inter-arcata, tipologia occlusale, possibilità di visualizzare usure, svincoli, guide, ma soprattutto possibilità di pre-visualizzare, esteticamente, la riabilitazione finale, con una semplicissima ceratura diagnostica virtuale fatta sul software.
La ceratura virtuale è fondamentale per progettare correttamente la posizione e l’inclinazione implantare, al fine di ottenere un’ottimale emergenza idonea ai nostri fini protesici.
Alla prima fase diagnostica segue la scelta della tipologia implantare che riteniamo ottimale per il successo della nostra terapia: quale impianto, quale spira, quale connessione, quale componentistica protesica?
Già all’inizio degli anni Novanta Carl E. Mish aveva ipotizzato 3 diverse tipologie di spire implantari (Biohorizons, Maestro System) al fine di ottenere la migliore performance biomeccanica nelle diverse qualità del tessuto osseo nelle varie zone dei mascellari.
Tutti i suoi studi e i suoi lavori sono stati sacrificati per la praticità richiesta dagli operatori e per una riduzione dei costi, voluta dalla spietata concorrenza del mercato. Ma un solo impianto, con una sola spira, buono per tutte le “stagioni” non è propriamente quello che il tessuto osseo richiede.
Gli studi successivi si sono così focalizzati soprattutto sul trattamento di superficie, a nostro avviso non così determinante. Alla fine, la possibilità di diminuire di 30 giorni il tempo necessario per ottenere l’osteointegrazione non ci sembra così importante per una terapia che deve durare anni.
Riteniamo molto più importante lo studio della connessione impianto/abutment. Questa è la vera zona critica, in cui nascono tutti i nostri problemi relativi alla patologia peri-implantare.
L’impianto italiano B1ONE, prodotto da IDI Evolution®, nasce per far fronte a queste reali necessità cliniche ed è stato in grado, a nostro avviso, di rivoluzionare l’approccio alle problematiche esposte.
L’impianto presenta la prima connessione intra-coronale al mondo composta da un “sistema antirotazionale tipo torx” combinato a un doppio cono. La parte sottostante presenta un collo concavo macchinato a ridotto ingombro crestale per la massima conservazione del tessuto osseo e per la stabilizzazione tissutale. Infine, esistono tre tipi di spire per le diverse qualità ossee “High, Medium e Low”.
Il chirurgo dispone, pertanto, della più ampia scelta di spira e dimensioni al fine di ottimizzare le capacità di gestione del carico, assieme al miglior design atto al mantenimento dell’osso crestale.
L’ultima fase del nostro studio del caso consiste nella progettazione implantare.
Uno dei fattori critici per il successo a lungo termine della nostra terapia è il rispetto di una corretta distanza inter-implantare. Questa distanza deve essere di almeno 3 mm (Tarnow, Cho e Wallace, 2000) al fine di mantenere la migliore vascolarizzazione del setto osseo inter-implantare, zona delicata dal punto di vista vascolare, per la perdita, in seguito all’estrazione dentaria, dei vasi parodontali e dell’arteriola settale.
Nei software di pianificazione implantare è impostabile la zona di rispetto inter-implantare. L’impostazione di 1,5 mm attorno a ogni impianto permette di rispettare quei fondamentali 3 mm. Il software segnala con colore rosso un’eventuale criticità di scelta.
Esempio con zona di rispetto inter-implantare non rispettata
Una volta decisa la tipologia implantare che ci sembra possa meglio garantire il mantenimento dell’osso crestale anche dopo il posizionamento protesico, questa tipologia implantare ci deve anche garantire la possibilità di scelta della spira implantare che riteniamo più appropriata a quella determinata qualità ossea. In questo caso, la scelta si è orientata sulla spira per osso “Low” dedicata all’osso D4.
Per la scelta della tipologia implantare e del tipo di spira è necessario progettare correttamente il posizionamento implantare. Un software di simulazione è indispensabile per fare varie prove di “posizionamento” valutando il potenziale risultato finale ottenibile in termini biomeccanici, di emergenza e quindi di estetica, di possibilità igieniche, di rapporti tra fixture implantari e tra impianti e radici dei denti adiacenti.
Di seguito, diverse simulazioni.
Con impianti angolati
Con impianti in asse protesico
L’asse implantare dovrebbe rispettare la biofunzionalità dell’asse coronale con un corretto equilibrio vestibolo palatino. Un posizionamento eccessivamente palatino può determinare problematiche “parodontali” per difficoltà igieniche; un posizionamento eccessivamente vestibolare può determinare difetti estetici per corone troppo lunghe.
Nel caso in esame la dimensione orizzontale della cresta in senso vestibolo palatino permette entrambe le soluzioni; sarà quindi necessario analizzare tutte le informazioni acquisite con la visita, tra cui le esigenze estetiche del paziente, e un colloquio con il protesista per valutare le sue preferenze.
In ogni caso, disponiamo di tutte le informazioni per avvalerci di un corretto iter decisionale e per pianificare adeguatamente il nostro posizionamento implantare, che verrà eseguito tramite dima chirurgica di perforazione, per trasferire quanto da noi deciso virtualmente nella realtà clinica, al fine di realizzare correttamente, con precisione ed estrema predicibilità quanto progettato.
Fine prima parte: seguirà completamento del caso in nuovo articolo dell’Osservatorio Innovazione.
Si ringrazia per il contributo clinico scientifico il dott. Massimo Fagnani
Con il contributo non condizionante di IDI Evolution
Sull'argomento leggi anche:
15 Febbraio 2024: Fase 2: esecuzione chirurgica e finalizzazione. Caso clinico del dott. Massimo Fagnani
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