Correva l’anno 1994; Ayrton Senna da Silva, leggendario pilota brasiliano di Formula Uno, cadeva da eroe, vittima di un destino beffardo, sul circuito di Imola.
Kurt Cobain, rivoluzionario “leader” dei Nirvana, si inseriva nel prestigioso club del 27; a ventisette anni poneva fine alla sua controversa esistenza come avevano fatto prima di lui Jim Morrison, Jimmy Hendrix, Janis Joplin, Brian Jones… “just to name a few”, direbbero oltre Manica.
L’Odontoiatria aveva da poco sdoganato l’adesione totale a smalto e dentina, si apriva un nuovo affascinante orizzonte per il trattamento della patologia più ricorrente, ovvero la carie dentale.
Da lì in avanti aderire non significava solo “incollare” qualcosa a un dente più o meno distrutto ma era l’espressione che caratterizzava un cambio di paradigma nell’affrontare le cure odontoiatriche.Venivano sconfessati i concetti di G.V. Black e dei suoi successori non tanto perché non fossero validi ma perché i mezzi a disposizione degli odontoiatri erano diversi, la sostituzione del tessuto perso non avrebbe più dovuto pesare sulla quantità di dente residuo, anzi, le terapie che non prevedessero interventi sulla struttura dentale residua cominciarono ad acquisire una certa dignità.
Certo, sino a quel momento tutto era stato un po’ sotterraneo, lo scetticismo era imperante e le delusioni non mancarono.
Per contro, lo testimonia una bella revisione pubblicata sul Journal Of Prosthetic Dentistry (la trovate cliccando qui), in quegli anni si iniziò a parlare di odontoiatria “minimamente invasiva”.
Non per spirito di contraddizione, ma trovo stridente che una pratica invasiva lo sia minimamente. Se penso a un’invasione trovo sempre una nota di drammaticità; mi viene difficile pensare a una invasione portata a termine con il fioretto e l’educazione.
Scorrendo l’articolo ho fatto alcune notazioni che mi piace esporvi, non per sterile dotta citazione, ma per evocare una riflessione sul tema del “minimamente invasivo”.
Leggendo l’articolo si evince che il “triangolo d'oro” della “Minimally Invasive Dentistry” (MID) sia rappresentato da una triade che comprenda una conoscenza approfondita delle interazioni tra elementi cardine, ovvero: una migliore comprensione degli aspetti istologici del substrato smalto-dentinale da trattare, l’identificazione dei biomateriali utilizzati per la procedura di restauro e una considerazione sulle tecniche operative pratiche disponibili per eliminare nel modo più efficace la carie.Lo dicono, in varie forme e misure, circa 1300 autori in quasi 400 pubblicazioni; essendo queste ultime aumentate in modo esponenziale negli anni dal 2010 a oggi.
Questi concetti sembrano guidare un processo eminentemente medico di trattamento delle lesioni cariose; non è un caso che una delle prime risorse di MID fu il cosiddetto ART, ovvero l’”Atraumatic Restorative Treatment”, proposto come terapia della carie nei paesi del cosiddetto terzo mondo, che pareva molto lontano dai concetti del mondo più evoluto ma che, in misura più o meno soddisfacente, risolse le problematiche di molte comunità.
Oggi penso si scambi troppo spesso la MID con la cosmesi odontoiatrica, diversa dai dettami di questa nobile modalità per affrontare problemi clinici reali in pazienti affetti da carie; tanto per esemplificare, il mondo delle “faccette minimamente invasive” mi pare altro da questo concetto. Ho il massimo rispetto per la cosmesi odontoiatrica che va a colmare bisogni estetici di pazienti portatori di disagi verso il proprio sorriso, ma quel territorio mi pare assai distante dal minimamente invasivo.
Così sono le sigillature sui denti decidui o le procedure di aggressione delle lesioni cariose minimali in pazienti a basso rischio di carie. Potrei proseguire con l’elenco ma convengo che questi potrebbero essere solo problemi lessicali che si pone un attempato cavadenti cresciuto tra i vapori del mercurio.
Nota: L'immagine di copertina non è reale, è stata creata con un programma di Intelligenza Artificiale
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