Può essere considerata una patologia psichiatrica e l’odontoiatra o l’ortodontista deve assecondare le richieste dei pazienti o opporsi se non c’è una esigenza clinica? Il parere della psicoterapeuta
La “Dismorfia” si riferisce a una percezione distorta del proprio corpo, spesso focalizzata su difetti fisici immaginari o esagerati. Questo può portare a disagio significativo e comportamenti compulsivi per cercare di correggere o nascondere questi difetti. Ad esserne più colpiti sono i giovani, in particolare gli adolescenti, con una prevalenza stimata intorno al 2%. I social media e la pressione per conformarsi a ideali di bellezza irrealistici contribuiscono significativamente a questo fenomeno. Inoltre, la Dismorfia corporea può portare a gravi conseguenze psicologiche, come ansia, depressione e comportamenti autolesionistici. Ragazzi ossessionati dai social, dai selfie e dai filtri che modificano la propria immagine reale proponendo modelli estetici irraggiungibili, e non reali, sta portando alla nascita di una “Dismorfia del sorriso”?
“Possiamo indicare con “Dismorfia del sorriso” una pertinenza patologica ma in realtà mancano alcune precisazioni per una definizione così tout-court”, dice ad Odontoiatria33, la dott.ssa Grazia Aloi (nella foto) psicoanalista milanese che ha costituito l’Associazione Culturale Officinadellapsiche.
Il disturbo da Dismorfismo (Dismorfia) è considerato una patologia psichiatrica diagnosticabile secondo i criteri stabiliti dal DSM 5 (Manuale Diagnostico e Statistico) nella classe del Disturbo Ossessivo-Compulsivo con comorbilità in altri disturbi, soprattutto in quelli d’ansia e depressivi.
“È una grave patologia da curare, a volte contro la volontà del soggetto che la nega”, spiega la dott.ssa Aloi. In concreto, dice, “la dismorfia è una soggettiva e motivata non accettazione del proprio corpo o parte di esso, oggettivamente immotivata ed è importante considerare che essa nasce da profonde esigenze e modelli interiori e parzialmente da quelli esterni”.
“Invece in ciò che è definito ‘Dismorfia del sorriso’ c’è soprattutto un’attrazione verso modelli esteriori senza che il soggetto si renda conto della manipolazione della propria libertà di scelta e della soggettiva capacità di resistere ai richiami cosiddetti culturali ma che sono più che altro “modaioli”.
Per questo motivo, la dott.ssa Aloi ritiene che non sia del tutto corretto affiancare la Dismorfia del sorriso a quella corporea, “perché è un difetto psicologico della capacità di processare e sottoporre a critica le situazioni senza osservazione corretta del proprio bisogno. Infatti non si è nel campo del bisogno bensì in quello del desiderio legato alla “mancanza” di quel qualcosa che rende desiderabili”.
Lasciando da parte le considerazioni dal punto di vista nosologico e della differente eziologia, la dott.ssa Aloi ritiene che la “Dismorfia del sorriso non è patologia psichiatrica e non lo è neppure in senso stretto perché non si rischia la vita, non ci sono alterazioni dei parametri vitali o del funzionamento fisiologico degli organi e questo perché il corpo non c’entra, ciò che c’entra è l’errata interpretazione della realtà. Certamente può essere curata ma per problematiche di disturbi di personalità i quali, però, non rientrano nel disturbo da Dismorfismo e non sono ad esso strettamente collegati”.
Ovviamente, precisa, non sono in discussione le reali problematiche cliniche odontoiatriche e ortodontiche, nel qual caso a maggior ragione non esiste Dismorfia.
“Indubbiamente –rileva la psicoanalista- a togliere ulteriormente la capacità critica ci pensa la pubblicità e ci pensano i social rendendo possibile l’impossibile, mostrando dentature perfette, splendenti e accattivanti come se non avere quella dentatura lì pregiudicasse la possibilità di farsi un selfie splendente da mostrare e, quindi, di appartenere ai desiderabili”.
E se le chiediamo come deve comportarsi l’odontoiatra o l’ortodontista a cui la giovane paziente chiede di intervenire su di un sorriso sano, solo perché non rispetta i canoni estetici dei social, ci risponde: “Non essendo una necessità oggettiva e tanto meno clinica, il dentista dovrebbe rifiutarsi di assecondare richieste inutili (soprattutto fatte dai giovani), senza però trascurare il desiderio di chiunque di migliorarsi nell’immagine di Sé a partire anche da una bella bocca sana e da un bel sorriso splendente”.
Ma come può fare per motivare il rifiuto, convincere il giovane paziente a cambiare idea?
“Rifiutare, o meglio non assecondare, un intervento esclusivamente a fini estetici dovrebbe essere giustificato innanzitutto dal ricorso mentale al codice deontologico e quindi alle eventuali conseguenze in caso di effetti avversi”, risponde la dott.ssa Aloi ricordando che in medicina, “noto è il motto per prima cosa, non nuocere”.
“Al di là di questa importante considerazione intima -continua-, occorre fare ricorso alle capacità di comprensione empatica comunicando che il desiderio di avere un sorriso accattivante è più che legittimo ma i rischi in ordine di conseguenze non è da sottovalutare al punto da portare a più miti consigli”.
“Far comprendere con poche e semplici parole che l’attrattività dipende anche da altri fattori, quali la simpatia, la capacità comunicativa, la sicurezza di sé, l’allegria, i bei modi di fare e anche se non se ne possiede qualcuno, va bene lo stesso perché ognuno è unico e bello alla sua maniera, anche se brutto o non tanto bello”.
Insomma, sembra dire la psicoanalista, si deve far passare il messaggio che si è dalla parte del paziente pure nel caso in cui non lo si accontenti e questo per motivi più che validi nel suo interesse perché, ricorda, “la perfezione dei divi o dei modelli proposti è ideale e, in quanto tale, non è reale nel senso che per essere come loro occorre avere una bocca perfetta e un sorriso smagliante. Non è proprio così”.
“Convincere il paziente a fare o non fare qualcosa dipende dalla buona alleanza terapeutica in nome della fiducia reciproca”, conclude la dott.ssa Aloi.
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