Oggi la convivenza tra gli organismi dei medici e degli odontoiatri è basata sulla disponibilità del presidente, unico legale rappresentante dell’ordine
Tra gli aspetti meno considerati della riforma degli Ordini ci sono quello deontologico e dei principi. Vale a dire il “senso” dell’Ordine o, almeno, secondo chi vede meno “materialmente” la riforma, riportandola sui principi e non sui metri quadri degli uffici a disposizione. Quel qualcuno è Valerio Brucoli, presidente dell’Albo degli odontoiatri di Milano, uno degli Ordini più rappresentativi d’Italia, e membro della Cao Nazionale. “L’Ordine non è un principio, ma lo strumento di un principio. Per questo va adeguato nel tempo” ricorda più volte, nel corso dell’intervista avuta a Cernobbio (Co), durante il Forum sull’Ecm.
Con lui abbiamo cercato di capire come, nella pratica, potrà avvenire la separazione tra medici e odontoiatri, oggi iscritti in due albi distinti, e federati nello stesso Ordine; ma poi siamo finiti per girare intorno sempre a un principio, l’etica, che nella società in cui stiamo vivendo, dove tutto sembra essere lecito di fronte al mercato e al business, si è perso, quando, al contrario, dovrebbe interessare tutti i professionisti: medici, dentisti, ma anche banchieri, avvocati notai. Non a caso Valerio Brucoli preferisce non separare la riforma delle professioni e quella degli ordini professionali. E proprio da questo punto cominciamo la nostra chiacchierata.
Oggi gli odontoiatri guardano con attenzione a due riforme, quella del ministro della Giustizia, Angelino Alfano, che punta a ridisegnare le professioni regolamentate, e quella del ministro della Salute, Ferruccio Fazio, che vuole riorganizzare gli Ordini sanitari. Perché?
Perché sono due riforme distinte, ma complementari. Impossibile sottovalutarne una o prediligerne un’altra; ma d’altra parte non sarebbe stato corretto portare avanti entrambe in un unico provvedimento, come si voleva fare in un primo tempo tagliando fuori il ministero della Salute. La riforma delle professioni stabilisce il quadro di riferimento delle libere professioni intellettuali, differenziandole da altre attività di lavoro autonomo, riportando al centro il diritto del cittadino (che per noi è il diritto a una cura, in cui importante è l’aspetto “umanizzazione”) rispetto a una linea di pensiero, più di tipo anglosassone, che vede al centro il servizio, la prestazione. Cosa che in sanità, ma non solo qui, è a mio parere molto negativa. La professione intellettuale assicura un diritto che, nel caso dei medici e degli odontoiatri, è quello alla salute. Nella riforma, così come è stata presentata, viene ribadita l’importanza della professione intellettuale esercitata da un operatore iscritto a un Ordine, garante del rispetto del codice deontologico, a tutela del fruitore della prestazione. All’interno di questo quadro di riferimento sono affrontati vari temi, quali la pubblicità - non più uno strumento di accaparramento di clienti ma di informazione - oppure la formazione, che diventa il meccanismo per garantire la qualità della cura. Non sono differenze banali: negli ultimi anni, il concetto di professione intellettuale è stato messo in discussione e a esso è collegata la proposta di abolizione degli Ordini. L’idea di fondo era che il libero professionista deve stare alle regole del mercato e non a quelle del codice deontologico. È impensabile voler applicare questo modello al sistema salute, come anche ad altri campi: si pensi al settore giurisprudenziale, o anche a quello bancario, con il ruolo che strutture prive di senso etico hanno avuto nel favorire l’attuale crisi economica.
E la riforma degli Ordini?
Gli Ordini sono lo strumento per assicurare la messa in pratica dei principi indicati nella riforma delle professioni. Riformare gli Ordini significa dare delle regole più attuali a questo istituto.
Possono essere portate avanti distintamente queste due riforme?
Di queste due riforme se ne occupano organismi diversi: non so se andranno avanti contemporaneamente. L’importante è, però, avere chiaro il quadro di riferimento; non avrebbe senso parlare di riforma degli Ordini senza sapere quale sia il fine della professione. Solo così possiamo definire i principi che lo strumento necessario governare le professioni, cioè l’Ordine, dovrà avere.
Quindi un Ordine distinto per ogni professione. Da questo principio nasce la richiesta di un Ordine autonomo per gli odontoiatri?
Innanzi tutto dobbiamo prendere atto dei mutamenti che la nostra società ha determinato nelle professioni, soprattutto in riferimento alle differenti modalità di esercizio (dipendenti, convenzionati o libero professionisti).
Si pensi agli odontoiatri e ai medici. La quasi totalità dei colleghi svolge l’attività come libero professionista, mentre i medici sono prevalentemente dipendenti del Ssn o in convenzione. Si tratta di un differente modo di svolgere la professione che incide indubbiamente anche sul modo di affrontarla, sia in termini di peculiarità sia di priorità da dare ai problemi.
Pensiamo, per quanto riguarda il primo punto, a tutta quella componente imprenditoriale che è parte della nostra professione, o, in termini di priorità, a come la questione abusivismo (ma anche pubblicità) tocchi di più noi dentisti rispetto a medici dipendenti; o, al contrario, come i dentisti siano meno sensibili a problematiche quali i conflitti che possono sorgere tra un ospedaliero e la propria direzione, in caso di direttive contrarie a quello che si ritiene giusto per il paziente. Anche se questo è un tema che nel tempo, con l’avvento dei fondi integrativi e del capitale, seppur con sfumature diverse, interesserà anche noi liberi professionisti. Sono solo esempi che fanno capire come sia necessaria un’autonomia che ci permetta di far fronte con agilità alle varie problematiche senza per questo avere necessariamente visioni diverse.
Ma separandovi dai medici non rischiate di perdere rappresentatività e anche identità?
Identità direi proprio di no, anzi. E neppure rappresentatività. Già trent’anni fa, con l’istituzione dell’Albo, gli odontoiatri sono diventati una categoria a sé, dal punto di vista legislativo e professionale. Insomma, una peculiarità precisa da coniugare con un’identità medica rimasta invece inalterata, perché è determinata dalla condivisione dello stesso codice deontologico.
Per quanto riguarda la rappresentatività, devo tornare a far riferimento al fatto che la condivisione dei problemi si ha tra chi esercita la professione con la stessa modalità.
Quindi la necessità, come ho detto prima, è di autonomia per affrontare con più efficacia i problemi. Ma questo non è da intendere come contrapposizione, così come non c’è contrapposizione tra genitori e figli diventati grandi. Anzi, si diventa ancora di più una risorsa l’uno per l’altro. Per esempio la possibilità di creare nuove sinergie di cui si potrà avvalere anche l’altro: pensiamo alle battaglie sulla difesa della libera professione e delle tariffe minime portate avanti dagli avvocati. Questioni che, pur nella condivisione di principio, non erano certamente, e giustamente, una priorità per la “dipendenza”. L’autonomia della professione è quindi una questione di regole più aderenti a una realtà sempre più articolata e che necessita di risposte immediate e non certamente una questione di metri-quadri da spartire, come oggi sento dire da qualcuno.
Però stabiliti i principi sui quali anche i medici mi sembrano concordare, verrà il tempo di parlare di organizzazione delle sedi, divisione dei beni a oggi in comune.
L’Ordine non è un principio, ma lo strumento di un principio e, quindi, va adeguato nel tempo. Noi oggi stiamo discutendo di questo. Stabilito come sarà lo strumento di riferimento per garantire il rispetto di questi principi, ci preoccuperemo di vedere quale organizzazione dovranno avere i vari Ordini provinciali o regionali.
Questo aspetto non è primario e sono sicuro, anche se finora non ne ho mai discusso, che nel regolamento saranno trovate le soluzioni ottimali: tra le altre, penso, anche quelle di mantenere, dal punto di vista logistico, la stessa situazione odierna.
Chi non gradisce un Ordine autonomo, separato da quello dei medici, sostiene che probabilmente bastava modificare l’attuale regolamento della Federazione per garantire agli odontoiatri una reale autonomia.
Chiariamo una cosa: noi chiediamo una piena autonomia, amministrativa, gestionale, previdenziale, che è diversa da altri tipi di autonomia.
Autonomie che qualche volta possono esserlo di fatto ma anche, al contrario, solo sulla carta. Detto questo, l’Ordine separato è una delle opzioni per ottenere questa autonomia. Tornando alla modifica del regolamento della Federazione, chi sostiene questo non conosce minimamente come funziona l’Ordine. Oggi la convivenza tra gli organismi dei medici e degli odontoiatri è basata sulla disponibilità del presidente dell’Ordine, che è l’unico legale rappresentante, l’unico responsabile. Se lui delega, il presidente Cao ha possibilità di azione, altrimenti non può fare nulla. Però, mi ripeto, noi stiamo parlando di principi, non stiamo parlando del giusto e condivisibile rispetto personale.
Oggi stiamo vivendo un’evoluzione della professione rispetto al libero mercato e stiamo cercando di rimodulare le regole del gioco per far sì che la libera professione (nello specifico la nostra) non sia spazzata via. L’aver inserito negli anni ‘80 i dentisti nello stesso albo dei medici è stata una scelta tutta italiana, che ho condiviso in pieno, ma oggi si devono cambiare alcune cose per rispondere adeguatamente a criticità che non ci siamo inventati noi, ma che ci sta ponendo la società.
Lei è presidente di una Cao importante. Si sente vincolato all’interno della sua Omceo?
L’ho già detto prima come stanno le cose: si è legati alla creazione di buoni rapporti personali. Il fatto che in questo specifico momento abbia dei buoni rapporti (ma non è sempre stato così) non cambia quello che è il nocciolo del problema. La legge, e quindi lo statuto e il regolamento dell’Ordine, conferisce al presidente Omceo la totale rappresentatività degli iscritti, medici e odontoiatri.
Se volesse (ed è già accaduto) potrebbe impugnare le decisioni della Commissione Odontoiatri anche in tema di sanzioni disciplinari. Si tratta di casi pratici, che poi in termini generali possono ridurre quella operatività che i cittadini, giustamente, pretendono per la tutela della propria salute. Senza andare troppo lontano, basta aprire il giornale per leggere ogni giorno nuovi casi di abusivismo.
C’è la necessità di uno strumento che sia il più efficace possibile, nella consapevolezza che le nostre responsabilità aumenteranno e non ci saranno più alibi se mai ce ne fossero mai stati.
Quanto pensa che il dibattito ordine sì-ordine no sia sentito dalla base, dal dentista medio?
Sicuramente il dentista ha oggi problemi che lo toccano molto di più, come il fatto che la crisi allontana i pazienti dagli studi. L’Ordine non può risolvere la crisi, ma può essere un valido strumento (con le necessarie messe a punto ed ecco il discorso dell’autonomia), per difendere quei principi cardine che fanno la differenza, per esempio, tra l’esistenza o meno dello studio monoprofessionale, così come lo concepiamo oggi.
È questa una battaglia fondamentale, perché lo studio monoprofessionale, con il suo essere “costruito” intorno al rapporto diretto medico/paziente, può essere una risposta a quella situazione schizofrenica, sotto gli occhi di tutti, in cui da una parte si richiede una maggiore umanizzazione del sistema e dall’altra si promuovono i singoli interessi egoistici. Un discorso che necessita, come si farà, di essere spiegato e approfondito con più colleghi possibili
GdO 2010;16
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