Anche l’evoluzione dell’odontoiatria al digitale, come tutte le evoluzioni di una professione, si divide tra chi vede il cambiamento con euforia tecnologica e chi lo vede come un dramma, la fine della propria attività.
Odontoiatria33 in questi giorni ha pubblicato le interviste a due “signore” dell’odontoiatria protesica che, con il pragmatismo tutto femminile, sono riuscite a sintetizzare perché l’odontoiatria digitale non è un obbligo, ma un’opportunità.
“Tutti i cambiamenti sono positivi altrimenti non ci sarebbe il progresso e saremmo rimasti all’età della pietra”, ci ha detto la neo presidente AIOP Costanza Micarelli in una interessante video intervista.
Una scelta e non obbligo perché l’odontoiatra può continuare a curare i pazienti come sempre ha fatto, spiega la presidente Micarelli, però l’odontoiatria al digitale oggi offre vantaggi per i pazienti sia dal punto di vista biologico che economico, grazie a tecnologie che permettono interventi meno invasivi, più veloci ed utilizzano nuovi materiali.
Sulla stessa linea, la dott.ssa Miriam Margvelashvili-Malament (Assistant Professor in the Department of Prosthodontics at Tufts University School of Dental Medicine) quando dice: “Non credo che dentisti e medici saranno mai sostituiti dai computer, penso che i dentisti che non usano le nuove tecnologie, saranno sostituiti dai dentisti che lo fanno”.
Lasciando da parte le considerazioni cliniche e quelle legate alla curva di apprendimento ed alla formazione -argomenti su cui non sono titolato ad intervenire- entrambe le protesiste toccano la vera questione che condiziona ogni evoluzione tecnologia: gli investimenti necessari. “Entrare nel mondo digitale significa cambiare lingua e prima si deve essere in grado di conoscerlo a fondo, continuare ad investire, è un gioco al rialzo”, dice la presidente Micarelli.
Le sembra fare eco la ricercatrice del Tufts quando ricorda che se è facile apprendere, conoscere e capire dove va la professione, ed imparare ad utilizzare le nuove tecnologie, più difficile è stare al passo con i tempi dal punto di vista dell’acquisto.
“Ogni volta che un nuovo strumento arriva sul mercato comporta costi estremamente elevati”, ricorda.
Da sempre il vero limite dell’evoluzione tecnologia non è tanto l’imparare ad utilizzare la tecnologia ma è quella della possibilità di accedere alle tecnologie. Lo vediamo anche in questa pandemia con la didattica a distanza, con la difficoltà per alcune famiglie di dotarsi degli strumenti informatici necessari per far seguire le lezioni ai propri figli. Il cosiddetto “divario digitale” che crea ancora più disparità tra chi ha le possibilità di spendere, di imparare e chi non lo può fare.
E questo sta avvenendo anche nel settore dentale.
Certo che è vero che si può fare a meno delle nuove tecnologie in odontoiatria, ma chi non potrà o vorrà accedervi impiegherà più tempo per curare (quindi le cure saranno più costose per il paziente oppure con profitti ridotti per lo studio) e potrà offrire ai pazienti soluzioni limitate rispetto agli studi “evoluti”, anche solo nel tempo necessario per terminare la riabilitazione. Che per il paziente vuole dire più appuntamenti quindi più spostamenti, più permessi sul lavoro, gestione dei figli piccoli, etc.
E lo stesso discorso vale per i laboratori odontotecnici che potranno continuare a realizzare le protesi prescritte dall’odontoiatra con le tecniche “analogiche”, ma dovranno fare i conti con i prezzi di vendita dei dispositivi fabbricati dai laboratori high tech, tempi di consegna e limiti sui materiali utilizzabili.
E nel settore dentale il divario sulla possibilità d’investire sembra essere più accentuato che in altre professioni.
Da una parte i circa 35mila studi monoprofessionali che in quanto professionisti sono esclusi da molti benefici fiscali riservati alle imprese, dall’alta parte le oltre 5mila società odontoiatriche che invece sono considerate imprese e possono godere di tutta una serie di agevolazioni che rendono meno dispendioso, o più conveniente (scegliete voi), non solo investire in nuove tecnologie ma anche sostituirle ogni volta che diventano obsolete.
Opportunità economiche differenti che spostano e di molto i bilanci degli studi, come bene hanno spiegato i commercialisti Alessandro ed Umberto Terzuolo durante un webinar organizzato da Odontoiatria33.
Un divario tra professionisti ed imprese (nel nostro settore intese come società odontoiatriche) che sarà sempre più netto soprattutto nel settore odontoiatrico, dove la gestione del proprio studio organizzato in forma libera professionale necessita di investimenti totalmente differenti, e molto più importanti, di quelli necessari per svolgere -per esempio- l’attività di avvocato o di medico specialista.
Professionisti, sembrerebbero, in svantaggio rispetto alle società sia in termini di accesso al credito, di sgravi fiscali, ed a cui sono persino precluse la possibilità di attivare soluzioni che possono risultare convenienti proprio per un migliore utilizzo e condivisione delle nuove tecnologie, come per esempio quelle fornite dalle reti d’impresa.
E poi c’è la questione del rischio d’impresa: il professionista non può fallire perché mette a garanzia anche il suo patrimonio personale, una società può fallire rimettendoci i soli beni intestasti ed il capitale versato, solitamente 10 mila euro se una Srl.
Credo che queste disparità -tra studio professionale odontoiatrico e società odontoiatrica (non cambia se il proprietario è il capitale o il dentista), sarà il vero tema che dovrà affrontare il settore con la politica.
Ed il percorso non sarà certo facile perché per la politica, il professionista, sembra essere solo quello che presta la propria attività intellettuale a cui spesso basta per svolgerla un ufficio, un computer ed un telefonino, mentre le imprese sono quelle che per lavorare devono investire in attrezzature, in organizzazione e personale.
La conferma potrebbe essere arrivata dal neopresidente del Consiglio Mario Draghi che, nell’incontrare le parti sociali produttive del Paese per capire il tipo di interventi necessari, ha sentito i rappresentati degli imprenditori, dei commercianti, degli artigiani, dei lavoratori, ma non quelli dei professionisti.
E per un Governo che sta apprestandosi a decidere come e dove allocare gli ingenti fondi europei destinati soprattutto allo sviluppo tecnologico ed alla sanità, non è un bel segnale per i 35mila studi degli odontoiatri liberi professionisti.
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