La giurisprudenza sottolinea l'importanza di una documentazione clinica completa e accurata non solo per il trattamento del paziente, ma anche per la tutela legale degli operatori sanitari
Sull’ultimo numero di Liguria Odontoiatrica l’avvocato Alessandro Lanata (nella foto), consulente legale della OMCeo e CAO Genova, approfondisce il tema della documentazione da redigere e consegnare al paziente al termine della cura.
Nonostante gli odontoiatri in ambito libero-professionale non siano obbligati per legge a formare, aggiornare e conservare una cartella clinica, l’avvocato Lanata ricorda come la tenuta di una scheda clinica dettagliata è essenziale per dimostrare la diligenza e la correttezza del proprio operato, evitando che eventuali lacune possano essere interpretate a sfavore del medico.
La recente pronuncia della Terza Sezione della Corte di Cassazione Civile (sentenza n. 11224/2024), viene ricordato, ribadisce l'importanza di redigere la scheda clinica del paziente, indicando i dati anamnestici e clinici nonché il percorso diagnostico e terapeutico.
Documentazione che, ricorda l’avvocato, non solo è fondamentale per il rapporto di cura ma anche a fini defensionali. In caso di incompletezza della cartella clinica, spiega, se risulta impossibile ricostruire l’evoluzione della patologia e le attività diagnostiche e cliniche svolte, ciò non può andare a detrimento del paziente che intende dimostrare un danno subito.
La responsabilità professionale sanitaria richiede quindi un rigoroso rispetto delle procedure di documentazione per garantire trasparenza e tutela sia per i pazienti che per gli operatori sanitari.
La Corte di Cassazione, spiega l’avvocato Lanata, ha applicato il criterio della vicinanza della prova, stabilendo che il curante non può trarre vantaggio processuale dall'incompletezza della documentazione clinica. “Se il medico sceglie di non documentare adeguatamente il rapporto di cura, o di non produrre in giudizio la documentazione, non può beneficiare di questa lacuna. Con l'ordinanza n. 26428/2020, la Corte ha affermato che l'incompletezza della cartella clinica avvantaggia chi sostiene di essere stato danneggiato, e non chi ha causato la lacuna per negligenza”.
Ma non solo, continua l’avvocato “nell’occasione il Supremo Collegio ha svolto una considerazione che oltre ad essere frutto di un ormai granitico orientamento giurisprudenziale è permeata da un’intrinseca logicità: qualora l’incompletezza della cartella clinica abbia reso impossibile la ricostruzione sia dell’evoluzione della patologia sia delle attività diagnostiche, strumentali e cliniche svolte dai sanitari la circostanza non può andare di certo a detrimento di colui che intende dimostrare la sussistenza di una correlazione tra le cure prestate e l’evento di danno venutosi a determinare”.
Un altro aspetto critico rilevato, riguarda la mancata riconsegna della documentazione sanitaria che il paziente aveva consegnato all'odontoiatra. Il rifiuto dell'odontoiatra di restituire la documentazione clinica configura il reato di appropriazione indebita (art. 646 del codice penale). La sentenza n. 43372/2023 della Seconda Sezione Penale della Corte, viene ricordato, ha confermato che il rifiuto di restituire la documentazione ricevuta eccede i limiti del possesso legittimo.
Il consulente OMCeO e CAO Genova sottolinea, anche, come la questione della non consegna della documentazione clinica sia rilevante anche sotto il profilo deontologico.
L’esempio proposto è quello della consegna dell’esame radiografico eseguito alla prima visita da parte dell’odontoiatra nel caso in cui il paziente non intenda sostenerne il pagamento. “Ebbene –sostiene l’avv. Lanata- fermo il diritto al compenso da parte dell’odontoiatra, il subordinare la consegna della lastra al previo pagamento della prestazione da parte del paziente assume valenza deontologica. Ciò, in quanto potenzialmente comporta per il paziente stesso la necessità di sottoporsi altrove ad analogo accertamento radiografico con conseguente violazione dei principi generali della radioprotezione”.
Da ultimo, conclude l’avvocato Lanata, si deve ricordare che la cartella clinica contiene all’evidenza tutta una serie di dati personali del paziente, la gran parte di natura sensibile, ed al riguardo la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (causa n. C-307/2022) ha affermato che “...nell’ambito di un rapporto medico/ paziente, il diritto di ottenere una copia dei dati personali oggetto di trattamento implica che sia consegnata all’interessato una riproduzione fedele e intelligibile dell’insieme di tali dati. Tale diritto presuppone quello di ottenere la copia integrale dei documenti contenuti nella sua cartella medica che contengano, tra l’altro, detti dati, qualora la fornitura di una siffatta copia sia necessaria per consentire all’interessato di verificarne l’esattezza e la completezza nonché per garantirne l’intelligibilità. Per quanto riguarda i dati relativi alla salute dell’interessato, tale diritto include in ogni caso quello di ottenere una copia dei dati della sua cartella medica contenente informazioni quali diagnosi, risultati di esami, pareri di medici curanti o eventuali terapie o interventi praticati al medesimo...”.
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