17 Marzo 2010
I primi due anni trascorsi nella stanza dei bottoni
di Norberto Maccagno
La sua nomina come referente del settore odontoiatrico presso il ministero della Salute ha certamente dato un contributo positivo nei rapporti tra settore e istituzioni. E questa non è una nostra opinione ma un dato di fatto viste le tante azioni che in poco meno di due anni sono state attivate. Nei decenni trascorsi, mai nessun “inquilino” in Lungotevere Ripa 1 aveva dimostrato tanto interesse verso l’odontoiatria. Meriti che il settore dentale riconosce al professor Enrico Gherlone. “Fin troppo”, ci dice sorridendo, visto che potendo contare su di un referente qualificato sono aumentate a dismisura le richieste e le problematiche da risolvere in tema di odontoiatria sul tavolo del ministro Fazio. Per la prima volta dopo la sua nomina a referente ministeriale (da poche settimane è stato anche nominato membro del Consiglio superiore di sanità) siamo andati a trovarlo al San Raffaele per tracciare un primo bilancio non solo del lavoro svolto ma anche per capire se il professor Gherlone abbia cambiato il modo di considerare il settore.
Professor Gherlone, prima dei bilanci, mi tolga una curiosità: qual è il suo punto di vista sul settore?
Lo stesso di dieci anni fa, quando, se ricordo bene, mi ha intervistato per la prima volta. La passione e il rispetto per la professione e la docenza sono gli stessi; certamente oggi riesco a valutare le cose anche da un altro punto di vista, quello istituzionale.
Una visione da politico?
Assolutamente no; direi una visione realistica. Lavorare per almeno due giorni alla settimana al Ministero mi ha fatto capire meglio le reali esigenze delle persone. Perché poi, le sembrerà retorica, ma al Ministero si lavora per dare risposte ai cittadini. Non si immagina neppure quante lettere e mail riceviamo con le quali le persone chiedono soluzioni a problemi odontoiatrici, persone che lamentano l’impossibilità di curare malformazioni occlusali ai propri figli o che più genericamente chiedono una protesi per masticare. Da questo punto di vista l’esperienza che sto vivendo mi ha permesso di considerare l’odontoiatria, non solo dal punto di vista dell’eccellenza, della terapia, ma anche da quello delle aspettative dei pazienti e, di conseguenza, delle istituzioni che a quei cittadini devono dare delle risposte. Per questo faccio sempre più fatica a capire le polemiche che il settore produce con molta frequenza.
A che cosa si riferisce?
Non voglio apparire come colui che non accetta le critiche o che deve a tutti i costi rappresentare la posizione che occupa. Mi infastidisce il fatto che si confondano le opinioni con le notizie, atteggiamento che si traduce in disinformazione.
Spieghiamo.
Prendiamo un argomento su cui in questi ultimi mesi si è dibattuto molto: l’accordo sull’odontoiatria sociale. Ovviamente si può essere o non essere d’accordo, ma prima di tutto dobbiamo dare al lettore la possibilità di capire spiegando le cose come stanno. Faccio un esempio. Si è detto che l’accordo ripristinava il tariffario minimo. Errato. Infatti, quando l’Antitrust ha inviato al Ministero una richiesta di chiarimenti in merito all’accordo non l’ha fatto per le tariffe ma perché pensava che l’adesione fosse limitata ai soli dentisti iscritti alle associazione firmatarie; cosa non vera: tutti i dentisti possono aderire. Le tariffe indicate, ricordo per l’ennesima volta, sono le massime applicabili e sono state individuate sulla media di quelle praticate dai dentisti italiani, dato, quest’ultimo, rilevato da una ricerca effettuata dall’associazione Altroconsumo nel 2006. Ricordo, poi, che nessuno è obbligato ad aderire: l’accordo è un modo per cercare di dare una mano a chi oggi ha problemi odontoiatrici e non può andare dal dentista privato. Il dentista ci mette il lavoro, le spese le paga il paziente. Sono assolutamente d’accordo quando si dice che è il pubblico che deve dare queste risposte, ma visto che a oggi, in alcune zone d’Italia, non si riesce a darle, l’accordo può essere una soluzione per chi ha necessità immediata di una protesi o anche solo di un’otturazione.
Però, dove le Asl riescono a dare prestazioni extra- Lea a tutti, i liberi professionisti non sono contenti.
Vero. Dimostrazione questa che il problema è complesso e non si risolve con proclami o demagogia. Ci sono persone che devono essere aiutate dal Ssn, ma il Ssn non sempre riesce a farlo perché mancano le strutture. Il ministro Fazio lo ha detto più volte, anche recentemente durante l’apertura del congresso Sio: i fondi integrativi potranno essere la soluzione. Lo Stato potrebbe aderire per le fasce di popolazione non assistite dando una risposta concreta alla domanda di odontoiatria sociale.
Però sa bene che i fondi integrativi sono un argomento non gradito dal settore.
Lo so bene, ma anche su questo aspetto c’è molta disinformazione. Ovviamente si può essere d’accordo o non esserlo; il dentista è libero di decidere se aderire oppure no. Detto questo, sorrido quando leggo titoli di convegni del tipo “fondi sì o fondi no”. Dobbiamo dire con chiarezza che non siamo più in quella fase, ormai passata da molti anni. Oggi i fondi integrativi sono regolamentati da una legge dello Stato approvata dal Governo di centro-sinistra e ratificata da quello di centro-destra. Una delle poche leggi bipartisan della nostra Repubblica. Fare intendere ai dentisti che tutto può essere ancora messo in discussione è demagogico. Le previsioni, poi, sul malfunzionamento dei fondi a causa di una possibile non adesione da parte dei cittadini palesano un altro aspetto sul quale si fa molta confusione. Il ministro Sacconi l’ha evidenziato pubblicamente più volte e ribadito anche nei colloqui che abbiamo avuto al Ministero: i fondi saranno - e già lo sono - parte integrante dei contratti collettivi di lavoro. Invece degli aumenti salariali, o per compensare parte di essi, l’azienda pagherà per conto del lavoratore l’adesione al fondo. Questo vuole dire che i lavoratori aderiranno automaticamente - mi passi il termine - potendo usufruire dei servizi che questi offriranno.
Quindi, partita chiusa?
Chiusa se si vuole tornare indietro chiedendo di cancellare la legge. Esistono, invece, margini d’intervento sulle regole del gioco. Le associazioni devono intervenire mettendo paletti che obblighino i gestori, per esempio, a non privilegiare le strutture che offrono prezzi bassi invece che la qualità. Per questo, come Ministero, abbiamo visto nelle raccomandazioni cliniche lo strumento per costringere i gestori dei fondi a fornire prestazioni di qualità, e questo servirà anche a evitare che il dentista non sia vessato dal gestore. Ma non solo, c’è un altro fronte sul quale le associazioni possono e, a mio parere, devono vigilare e intervenire. I gestori dei fondi hanno tutto l’interesse a trattare solo con le grosse strutture e non con i tanti studi mono-professionali. Per questo chiedono l’inserimento nei regolamenti attuativi di molti requisiti burocratici e strutturali. Le associazioni devono evitare che la maggioranza degli studi dentistici italiani siano esclusi da questo sistema che porterà comunque lavoro al settore. Facendo battaglie contro i mulini a vento utilizzando la demagogia si rischia solo di penalizzare la categoria. Sappiamo bene che il 20% dei pazienti che si rivolgeva al dentista, nell’ultimo anno ne ha fatto a meno per motivi economici.
Lasciamo che questi pazienti vadano all’estero oppure cerchiamo di tenerli in Italia?
Ho menzionato le raccomandazioni cliniche; alcuni dentisti mi sembrano preoccupati vedendole come una sorta di certificazione di qualità che potrà ritorcersi loro contro in caso di contenzioso. Timore legittimo anche se nasce da una disinformazione di base. Ricordo che le raccomandazioni cliniche non sono nate per tutelare il cittadino nei confronti del singolo dentista, ma per garantire al cittadino che il gestore del fondo non imponga allo studio convenzionato una qualità scadente. Già oggi, in caso di contenzioso, il Ctu si basa su quanto indicato dalla comunità scientifica. Penso che sia meglio avere delle indicazioni definite e chiare in modo che tutti conoscano il corretto percorso clinico da seguire; e poi sono raccomandazioni non vincolanti che terranno conto di una qualità minima che tutti gli odontoiatri italiani potranno rispettare. Proprio per rendere queste raccomandazioni cliniche sostenibili e condivise ho voluto coinvolgere nel gruppo di lavoro che le sta elaborando tutte le rappresentanze dell’odontoiatria italiana: dai sindacati all’Ordine, dalle società scientifiche ai docenti.
A maggio ricorre il secondo anniversario della sua nomina a referente del settore odontoiatrico presso il Ministero, da qualche mese è stato nominato all’interno del Consiglio superiore di sanità. Come si trova un genovese-astigiano professore universitario, direttore di un importante polo odontoiatrico milanese nelle stanze che contano?
È un’esperienza molto interessante e coinvolgente. Dal punto di vista delle cose fatte mi sembra che il bilancio sia positivo. Come ha più volte ricordato il ministro Fazio abbiamo trovato moltissimo lavoro da fare, in parte già impostato dalle precedenti amministrazioni: ci siamo rimboccati le maniche e lo abbiamo concretizzato. L’elenco è molto lungo, cito tra tutte le linee guida per la prevenzione dell’adolescente, quelle per l’adulto, per il paziente oncologico, l’accordo sull’odontoiatria sociale, la sperimentazione avviata dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Fondamentale il lavoro fatto per cercare di far considerare l’odontoiatria al pari di tutte le altre branche della medicina, inserendo dei referenti in tutti i gruppi di lavoro interessati. Questo non mi sembra sia mai successo. Per la prima volta l’odontoiatria è stata inserita a pieno titolo nella relazione sulla situazione sanitaria del Paese, nel piano oncologico nazionale, nella programmazione sulla riabilitazione. Poi, ovviamente, si è lavorato anche sull’attualità cercando di scogliere quei nodi che nel corso dei mesi sono venuti al pettine: odontotecnici e chirurghi maxillo-facciali, solo per fare un esempio. Anche in questo frangente mi sembra che Ordine, associazioni di categoria, docenti abbiano trovato nel Ministero un interlocutore pronto a collaborare e che abbia saputo ascoltare e capire le istanze delle parti. Altro importante progetto in corso d’opera è quello che punta a migliorare la formazione pratica dei futuri odontoiatri permettendo, quindi, ai cittadini socialmente deboli di ottenere le risposte dal servizio pubblico.
Recentemente è stato nominato all’interno del Consiglio superiore di sanità, nella Sezione prima, quella che si occupa di programmazione sanitaria. I Lea odontoiatrici saranno potenziati?
Grazie alla situazione emersa attraverso il censimento dell’odontoiatria pubblica abbiamo avuto la conferma del fatto che si può migliorare il sistema con le risorse che già sono disponibili. Stiamo anche valutando se sia giusto che negli ambulatori pubblici meglio organizzati siano offerte tutte le prestazioni a chiunque, con il rischio di dilatare i tempi di attesa oppure se sia meglio concentrare l’assistenza su determinate fasce di reddito. Un aspetto sul quale, però, il ministero della Salute non può fare altro che dare delle indicazioni: sono poi le Regioni che devono recepirle e attuarle. Chiudiamo con due argomenti storici: abusivismo e turismo odontoiatrico.Quali risposte state preparando?Sull’abusivismo l’attenzione è massima anche se il ministero della Salute non è il solo che può intervenire. Nell’immediato, cercheremo di spiegare al cittadino che l’odontoiatria italiana è di qualità, sottolineando i rischi che si corrono rivolgendosi a finti dentisti o praticando il turismo odontoiatrico: un impegno concreto del ministro Fazio che ha voluto venisse realizzata una campagna per la promozione della salute orale e l’odontoiatria di qualità. Un’iniziativa che tra breve presenteremo.
GdO 2010; 4
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