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19 Dicembre 2008

L'odontoiatria e... il suo Giornale

di Norberto Maccagno


Il Giornale dell'Odontoiatra nasce nel 1983, ma in realtà le pubblicazioni, con regolarità mensile e poi quindicinale, erano cominciate nel gennaio del 1984.
Per questo motivo, l’Editore, ha deciso di dedicare il numero speciale per celebrare i 25 anni del Giornale (in un primo tempo si chiamava Dental Flash) sull’ultimo numero del 2008.
Un giornale che per circa vent’anni è stato l’unico a fare informazione non scientifica, a raccontare che cosa succedeva nel settore, a dar voce a chi, del settore, era protagonista. Per raccontare i 25 anni del GdO, e di conseguenza del settore, sono state coinvolte le principali sigle sindacali delle diverse figure professionali che compongono il settore (GdO2008;18:6-9). Dai loro scritti emerge quella che è stata l’evoluzione delle categorie, il fatto o i fatti che hanno caratterizzato questi 25 anni.
A mio parere, l’avvenimento che ha segnato nel settore dentale un prima e un dopo è la Legge Degan. Con la Legge 409/85 lo Stato italiano istituisce all’interno dell’Ordine dei medici, l’Albo degli odontoiatri.
Grazie a questa legge l’odontoiatria diventa una professione definita; con un suo percorso formativo (questo istituito nel 1980), con un suo mansionario, con una sua autonomia ed esclusività anche se quest’ultima sarà concretizzata, dopo circa 20 anni d’interpretazioni e sentenze, solo grazie all’intervento dell’Europa.
Chi come me è nato negli anni 60 o prima, ricorda bene che cosa abbiano significato per l’odontoiatria italiana il boom di “vocazioni” che hanno preceduto l’approvazione della 409.
Anestesisti, medici condotti, ospedalieri e altre figure professionali, tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80, sono andati ad affiancare i medici specializzati in odontoiatria nell’esercizio della professione. In quel periodo studi dentistici aprivano in ogni dove, per la gioia dell’industria dentale.
E sull’onda di questa “espansione” del settore, spuntavano “come funghi” depositi dentali, laboratori odontotecnici. Ricordiamoci che prima della Degan, ma anche per alcuni anni successivi per fare il dentista non era richiesta una formazione ad hoc, bastava avere una laurea in medicina; l’essere capaci di curare i denti avendo seguito un percorso formativo specifico non era un requisito richiesto dal legislatore.
La stessa specialità in odontoiatria non era obbligatoria per esercitare come liberi professionisti. Per chi s’improvvisava dentista, allettato da guadagni non certo paragonabili a quelli dello stipendio fornito dal Ssn, le strade scelte per esercitare la professione erano due: prestare il proprio nome ai tanti abusivi proprietari di uno studio già avviato (allora la legge Volponi non esisteva ancora) oppure imparare il “mestiere” frequentando i tanti corsi che erano nati proprio grazie a quell’esigenza. Ovviamente molti scelsero tutte e due le opzioni, abbandonando poi l’abusivo per esercitare in proprio.
Non è, però, l’aver definito giuridicamente la professione a segnare la svolta del settore. Il vero merito della 409 è stato quello di aver innescato un cambiamento di mentalità evidenziando la necessità di regole in un settore che regole non aveva.
Negli stessi anni vengono approvate o promulgate una serie di leggi che tendono a mettere dei paletti nel dentale coinvolgendo quasi tutti i suoi componenti. Il regolamento sui presidi medico-chirurgici, il riconoscimento della direttiva 93/42Cee sui dispositivi medici, la definizione all’interno del Contratto nazionale di lavoro della figura dell’assistente alla poltrona, l’istituzione della professione sanitaria di igienista dentale sono solo alcune delle norme che evidenziano e certificano la ricerca di regole precise.
Un percorso durato decenni e ancora in evoluzione, come dimostra l’attivazione di corsi di specialità per l’odontoiatra, corsi che sanciranno la fine del dentista tuttologo, o le nuove forme di gestione degli studi dentistici che si stanno sperimentando.
Probabilmente fa sorridere, oggi, leggere che nei primi anni che seguirono l’approvazione della 409 le polemiche erano incentrate sul fatto che la legge poteva favorire l’abusivismo in quanto avrebbe generato confusione verso i pazienti creando, oltre al medico, una nuova figura che potesse curarlo: l’odontoiatra. Dibattito che in seguito si spostò su come garantire la professionalità dei medici che si vedevano limitare la possibilità di esercitare contemporaneamente la professione di dentista e di medico; per questo venne data la possibilità di iscriversi sia all’Ordine dei medici sia a quello degli odontoiatri.
Questione che si chiuse definitivamente, dopo molte sentenze e l’intervento della UE, solo qualche anno fa. Dei tanti articoli che hanno raccontato questo dibattito, uno, datato 1986, riportava i dubbi emersi durante una tavola rotonda organizzata sul tema.
“Questa grossa novità - leggiamo - pone sul tappeto domande d’interesse vitale per tutte e tre le suddette categorie. Come ci si iscriverà all’Albo? Come funzione rà detto Albo? Chi opta per questo Albo potrà iscriversi all’Albo dei medici? Come saranno salvaguardati i diritti acquisiti dai medici che si iscrivono all’Albo degli odontoiatri? Quali sono le possibilità di interpretazione, di perfezionamento, di modifica della legge Degan?” Conseguenza del nuovo status giuridico, l’aumento delle regole e di conseguenza degli adempimenti burocratici. Molte sono le questioni non ancora risolte negli anni nel settore: problemi che ciclicamente sono stati raccontati dalle pagine del GdO. 
L’abusivismo è sicuramente il più presente. Un fenomeno non risolto e che sembra irrisolvibile probabilmente perché, nonostante molti si indignino, chi potrebbe intervenire non sembra lo faccia con efficacia. Più di tante parole, a conferma di come le circostanze non siano cambiate, riporto parte di un articolo pubblicato nel 1990 che dava conto di un interpellanza parlamentare sul tema, a seguito di un blitz dei Nas in 512 studi dentistici, di cui 132 erano risultati gestiti da abusivi.
“Il sottoscritto On. Franco Servello - riportava il GdO - chiede di interrogare il ministro della Sanità per conoscere se, a seguito dei controlli effettuati dai Nas, siano state adottate misure drastiche e immediate per sconfiggere in maniera definitiva un abusivismo che minaccia di assumere proporzioni allarmanti. Premesso che, secondo le notizie di stampa, soltanto per 27 di detti studi è stato disposto il sequestro delle attrezzature, mentre per tutti gli altri ci si è limitati a una semplice diffida; che il fenomeno è di eccezionale gravità in quanto è notoria la possibilità per i pazienti di contrarre malattie, sottoponendosi a cure di pseudo-dentisti, in laboratori nei quali non vengono applicate le prescritte norme igieniche e sanitarie; che come è stato rilevato dai Nas negli ambulatori che operano senza autorizzazione sono stati rinvenuti quantitativi di medicinali scaduti”.
Tra le pagine del numero celebrativo, Cosma Capobianco ripercorre questi 25 anni dal punto di vista clinico/scientifico (GdO2008;18:16-17). Tra i tanti temi toccati la congressualità e l’implantologia. Nel 1987 un articolo si chiedeva se “l’epidemia di congressomania durerà?”, in un altro ci si chiedeva se l’interesse verso l’implantologia potesse durare.
Sfogliando i 24 volumi che raccolgono tutti i numeri di questo giornale troviamo la probabile causa del non essere riusciti a risolvere molti dei problemi. La scarsa unitarietà nel settore, la conflittualità tra le varie professionalità ma anche all’interno delle stesse categorie. Tutti gli articoli pubblicati in questi 25 anni raccontano dei cambiamenti, ma evidenziano come questi siano stati gestiti dalla singole componenti e non dall’intero comparto. Un dialogo difficile se non inesistente acuito dalla presenza di un numero spropositato, per il numero di addetti, di sigle sindacali e società scientifiche. Se per i dentisti il numero elevato di esercenti è un problema, per il comparto dentale la pletora di sigle sindacali che si ergono a unici rappresentanti, senza avere nella maggioranza dei casi neppure un seguito di iscritti tale da giustificare la rappresentatività, ha impedito al settore di essere considerato e ascoltato come meriterebbe. E in un settore dove non solo la globalizzazione è già presente ma sta subendo “l’assalto” delle leggi di mercato, una visione politica del cambiamento che guardi solo al proprio orticello senza capire che ci si deve occupare di tutto l’appezzamento non può che impedire allo stesso di sopravvivere serenamente.

GdO2008; 18

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