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27 Aprile 2009

I prossimi tre anni della Cao nazionale anticipati dal presidente

di Norberto Maccagno


Appena rieletto alla guida della Cao nazionale abbiamo incontrato il presidente Giuseppe Renzo per parlare dei programmi Cao ma anche di abusivismo.
Dal 1996 giuda l’organo di controllo degli odontoiatri italiani e a chi lo considera un tempo troppo lungo per ricoprire una carica pubblica lui dice: “se devo ragionare in termini di stress personale hanno ragione. Ritengo, tuttavia, che tutti dobbiamo fare il massimo sforzo per questa nostra professione che sta passando momenti molto difficili”.
Dal punto di vista professionale svolge la sua attività di libero professionista in due studi attrezzati a Messina città ed in provincia, con cinque sale (tre più due) indipendenti ed autonome supportate da sale d’attesa, uffici privati , laboratorio e locali per linea di sterilizzazione, deposito ecc. A supportarlo nell’attività di dentista ci sono due odontoiatri ed un igienista in regime di collaborazione oltre alle sue due “fidate” assistenti. Ma l’impegno ordinistico (ricopre anche la carica di presidente della Cao di Messina NdR) ci dice, è oramai paragonabile a quello dedicato alla professione.
Dottor Renzo in questi tre anni di mandato su cosa lavorerete in particolare?
Intendo impegnarmi, nel segno di una continuità apprezzata dalla stragrande maggioranza degli elettori, nel difendere e rafforzare i principi fondanti della professione di medico e d’odontoiatra. Mi riferisco a equità, rispetto reciproco tra colleghi, rispetto delle regole e delle norme deontologiche, solidarietà, umanità.
Sono, infatti, convinto che tutti noi, medici e odontoiatri, dobbiamo promuovere con il nostro comportamento un messaggio di responsabilità verso chi soffre, un dono di certezza a chi chiede di poter contare su un rapporto empatico tra chi cura e chi riceve le cure.
Un compito che deriva anche dall’impegno solidaristico dei presidenti Cao e che, sono certo, non si disperderà in atteggiamenti mercantili e in accordi tesi solo al profitto: curiamo persone e non vendiamo prestazioni! Ai giovani “vogliamo” consegnare una professione forte, libera, sicura e d’eccellente qualità.
Da tempo si parla di una riforma degli Ordini professionali, quale è il suo pensiero in merito?
La riforma è indispensabile: definire in modo inequivocabile la piena autonomia della rappresentanza odontoiatrica nel contesto ordinistico, rispettando il volere del legislatore che, istituendo con la legge 409/85 la professione odontoiatrica, ne certifica l’obbligatoria iscrizione agli Ordini dei medici in apposito albo. Così come, nel contempo, aveva previsto e indicato esplicitamente che si dovesse predisporre un atto legislativo successivo che garantisse autonoma rappresentanza. Il completamento di questo iter, atteso, auspicato, può avvenire soltanto attraverso la riforma degli Ordini.
Non possiamo non parlare di abusivismo. Da molto tempo sostengo che in attesa di leggi più incisive, penalizzare severamente i prestanomi potrebbe essere un buon deterrente. Secondo lei i presidenti Cao provinciali sono abbastanza severi? Hanno gli strumenti per esserlo?
In questo delicato campo dobbiamo essere assolutamente vigilanti e intervenire (come del resto so che tutti i presidenti stanno facendo) per reprimere tali comportamenti, attraverso l’attivazione delle procedure disciplinari e l’irrogazione - una volta dimostrata la colpevolezza - delle necessarie sanzioni ordinistiche.
Importante passaggio nel triennio appena concluso è l’introduzione dell’art. 67 del Codice di deontologia medica che prevede: “È vietato al medico collaborare a qualsiasi titolo o favorire, anche fungendo da prestanome, chi eserciti abusivamente la professione”.
Finalmente si è chiarito che la legge 175/92 è pienamente applicabile nel suo art. 8 (ricordo che dopo la legge Bersani qualcuno la riteneva abrogata): “Gli esercenti le professioni sanitarie che prestano comunque il proprio nome, ovvero la propria attività, allo scopo di permettere o di agevolare l’esercizio abusivo delle professioni sono puniti con l’interdizione dalla professione per un periodo non inferiore a un anno”.
Quindi (l’ha recentemente chiarito la Commissione centrale esercenti le professioni sanitarie) sarà possibile applicare la pena superiore prevista dalla legge 175/92 laddove sia dimostrato il dolo specifico del professionista e sarà invece applicata la norma deontologica della sospensione da uno a sei mesi laddove tale dolo non venga dimostrato (per esempio: omessa vigilanza), mettendo in pratica quanto previsto dal già citato articolo del Codice.
Se le cronache raccontano quasi giornalmente di casi di abusivismo, quasi mai si riesce a conoscere le sanzioni comminate ai prestanomi. Solo un problema di comunicazione o una sorta di protezione verso dei colleghi?
Uno dei temi affrontati dall’Ordine, in più occasioni e con molteplici soggetti (Nas, Guardia di Finanza, Magistrati) in incontri riservati e in convegni, assemblee Cao, è quello rappresentato dalla mancata comunicazione; il problema di sempre: gli organi di controllo e repressione non possono segnalare i nominativi di professionisti accusati di prestanomismo agli Ordini. I tribunali, quasi sempre, anche a giudizio concluso non informano gli Ordini. Questo è un dato da cui non si può prescindere per una corretta analisi.
Per quanto attiene all’attività delle Commissioni disciplinari ordinistiche: l’attività delle stesse, rifuggendo dalla polemica sterile, è attenta e non merita un’ingenerosa accusa che sa tanto di generalizzazione e demagogia. Così com’è, altrettanto demagogica, la posizione assunta da chi vorrebbe risolvere tutto con metodi frutto di demagogici provvedimenti, la cui proposizione sa d’incompetenza e pressappochismo, se non volti esclusivamente a creare false aspettative.
Le leggi, non possono essere interpretate: devono trovare applicazione corretta.
Sulla questione del nuovo profilo dell’odontotecnico, anche se in maniera differente, tutto il comparto odontoiatrico ha lavorato per non farlo approvare. Perché è così difficile trovare un accordo per normare una professione che dal 1928 è comunque cambiata?
Smentisco che non ci siano elementi di con divisibilità; uno per tutti: il diritto degli odontotecnici di avere un profilo adeguato ai tempi.
Un profilo che segua un percorso formativo qualificato (diploma di scuola superiore, oppure corso di laurea breve) indirizzato a sviluppare le conoscenze tecniche, tecnico ingegneristiche che non ricerchi, però, sovrapposizione e confusione di ruoli con la professione odontoiatrica.
Mi piacerebbe fosse affrontato questo tema sganciando l’argomento da posizioni precostituite e da ideologie, considerato il fatto che anche molti odontotecnici non “comprendono” l’utilità di un corso di laurea.
Le due categorie (odontoiatri e odontotecnici) non possono rimanere ostaggio di minoranze che si arricchiscono con il prestanomismo e l’abusivismo e che, pertanto, ricercano ulteriore confusione di compiti e ruoli.
Il testo proposto indicava che l’odontotecnico avrebbe potuto effettuare alcune manovre in studio su richiesta e sotto la responsabilità del dentista abilitato. Ammesso che questo favorirebbe l’abusivismo, non pensa che per voi dentisti denunciarlo come il problema principale del nuovo profilo equivalga al sancire una sfiducia verso i vostri colleghi?
Se il dentista non chiama l’odontotecnico in studio il problema non sussiste.
Questo da lei evidenziato è un falso problema. Come ho già avuto modo di dire: non è questo il discrimine. Occorre comprendere il fatto che l’odontotecnico è un produttore di manufatti e nulla centra con le professioni sanitarie.
Se qualcuno è voglioso di sentirsi chiamare “dottore”, segua la strada maestra (come i tanti che lo hanno già fatto): si iscriva al corso di laurea in odontoiatria; non si cerchino le scorciatoie per fare il “piccolo dentista”.
Lei è stato nominato coordinatore del gruppo di lavoro della Commissione Nazionale Ecm per le problematiche legate ai liberi professionisti. Sa bene che se i dentisti da sempre si aggiornano l’Ecm non l’hanno mai gradita. Quali modifiche e novità intende suggerire al fine di renderla utile per il settore?
L’aggiornamento continuo (Ecm) è una necessità che la professione odontoiatrica conosce bene, in quanto esercitata in regime libero professionale in altissima percentuale.
Le nozioni dopo 5/7 anni divengono obsolete, le tecniche si rinnovano e la ricerca ci porta a sperimentare materiali e attrezzature sempre più sofisticate.
La legge istitutiva, il codice deontologico ci impongono un continuo aggiornamento nell’interesse della sicurezza e qualità della prestazione odontoiatrica volta a curare le persone.
Tutto questo ha prodotto negli anni iniziative culturali, scientifiche e di attuazione pratica di metodologie.
Non è, quindi, un problema per la categoria dedicare del tempo alla formazione. Lo è divenuto da quando questo impegno deontologico è stato confuso con un obbligo di legge finalizzato al controllo della professione.
Se la libera professione è tenuta ad aggiornarsi, deve vedersi riconosciuti alcuni diritti che non sono meramente economici (principi condivisi, tra l’altro, dall’accordo in conferenza stato/regione).
Oltre a sgravi che attenuino i disagi infatti occorre: un riconoscimento all’interno del sistema degli studi di settore; la formalizzazione di obiettivi formativi specifici per la libera professione; obiettivi formativi di riconosciuta utilità e scelti dal singolo libero professionista; numero di crediti formativi e metodologie più aderenti alle realtà libero professionale (di tutte le professioni, non solo di quella odontoiatrica).
In ogni caso: Un sistema di F.C. condivisibile e condiviso non può prescindere da un coinvolgimento di tutte le forze attive delle professioni (Accademia; Società Scientifiche; Associazioni) e deve vedere responsabilmente impegnati Ordini e Collegi.

GdO 2009; 6

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