La notizia della presa di posizione del Ministro dell’Economia Roberto Gualtieri contro gli emendamenti al decreto Rilancio che volevano includere anche i professionisti tra i beneficiari del cosiddetto “Fondo perduto” concesso alle imprese che hanno subito una riduzione del fatturato ad aprile 2020 del 33% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente rialimenta le polemiche.
La motivazione del Ministro: non ci sarebbero abbastanza soldi. L’ipotesi del perché si sia scelto di escludere i professionisti è stata probabilmente la convinzione che gli aiuti li abbiano (o avrebbero) già ottenuti attraverso i bonus. Tralasciamo il fatto che non tutti i professionisti hanno potuto richiedere i bonus, che peraltro sono “meno” rispetto a quando promesso alle aziende.
Al contrario di quanto dichiarato dal Ministro Gualtieri, le parole dei suoi colleghi Catalfo e Patuanelli assicurano che verranno effettuate le verifiche per l’estensione del contributo anche agli iscritti agli Ordini.
Nel gioco mediatico dei “ministri buoni e di quello cattivo” si scatena così, nuovamente, la guerra tra poveri sugli aiuti da ottenere: professionisti Vs aziende.
Come ogni anno il Dipartimento delle finanze ha reso disponibili, nei giorni scorsi, i dati statistici delle dichiarazioni fiscali ai fini Irpef del 2019 (anno d’imposta 2018) delle attività soggette ad ISA, i vecchi studi di settore.
Ai link quelli dei dentisti e dei laboratori odontotecnici.
Attraverso un comunicato stampa del MEF, si apprende che l’84,1% dei circa 41,4 milioni di contribuenti Irpef detiene prevalentemente reddito da lavoro dipendente o pensione e solo il 6,3% del totale ha un reddito prevalente derivante dall’esercizio di attività d’impresa o di lavoro autonomo, compreso anche quello in regime forfettario e di vantaggio.La “platea” di questi ultimi è composta per il 60% da persone fisiche, per il 17,53% da società di persone e per il 22,47% da società di capitali ed enti non commerciali.
Considerando i dati per macrosettore economico la classe con più contribuenti è rappresentata dai servizi (51%), seguita dai professionisti (21%), dal commercio (18%), manifatture (9%) e in minima quota dall’agricoltura (1%). Il reddito medio d’impresa o di lavoro autonomo calcolato con gli ISA 2018, indicano dal Ministero “è pari a 33.200 euro per le persone fisiche, 45.000 euro per le società di persone e a 35.200 euro per le società di capitali ed enti, mentre il reddito medio dichiarato dal totale dei contribuenti si attesta a 35.735 euro. Rispetto, invece, all’attività economica esercitata, individuata per macrosettori, il reddito medio dichiarato più elevato si registra nel settore dei professionisti (53.000 euro, quello degli odontoiatri è di 56.300 euro), seguito dalle manifatture (43.000 euro), dai servizi (31.300 euro), dal settore del commercio (25.100) e, infine, dall’agricoltura (6.300 euro)”.
“Il reddito medio da lavoro dipendente -spiegano dal MEF- presenta un’elevata variabilità rispetto alla diversa natura del datore di lavoro: il reddito medio più basso, pari a 9.951 euro, risulta quello dei lavoratori dipendenti il cui datore di lavoro è una persona fisica; il valore sale a 13.950 euro per i dipendenti di società di persone, a 21.590 euro per i dipendenti della Pubblica Amministrazione, mentre si registra il reddito medio più elevato, pari a 23.630 euro, per i dipendenti delle società di capitali”.
Peculiarità odontoiatrica
Questa pandemia e la frammentazione della montagna di aiuti annunciati, ed in parte distribuiti, dal Governo, ha evidenziato in modo chiaro la particolarità dell’odontoiatra come titolare di studio rispetto a quasi tutte le altre professioni regolamentate: professionista iscritto ad un Ordine quando sta alla poltrona ma imprenditore quando si siede alla scrivania. Con tutti i problemi di dover rispettare il dettato deontologico ed il diritto alle cure dei propri pazienti, ma anche le leggi del mercato per non dover chiudere l’attività. Ne avevo già parlato in questo DiDomenica (LINK). La “certificazione” di come lo studio dentistico sia più impresa rispetto alla maggioranza dei colleghi professionisti iscritti ad un Ordine l’abbiamo dai dati riportati dal Dipartimento delle finanze quando indica il fatturato medio ed il reddito medio.
I dati indicati sotto per le professioni sono riferiti alle persone fisiche (nel caso degli odontoiatri titolari di studio monoprofessionale o collaboratori con partita iva), non sono considerate quanto prodotto da studi associati o società in quanto la gestione contabile comporta una differente composizione del reddito.
Solo per gli odontoiatri il reddito medio risulta essere un terzo del fatturato, per gli altri professionisti più della metà.
A dimostrazione di come nello studio odontoiatrico siano predominanti le spese necessarie per l’organizzazione e la gestione dell’attività, così come avviene in una impresa.
Faccio qualche esempio: l’attività lo ho scelte solo perché hanno un fatturato medio simile al vostro.
Considerando quindi le attività professionali in termini di fatturato/reddito è legittimo giustificare la convinzione del ministro Gualtieri: per un avvocato, un architetto, un veterinario considerando il fatturato medio di 40-50 mila euro l’anno, i 1.200 euro di bonus in due mesi che magari saliranno a maggio a 2200 possono essere sufficienti e paragonabili a quanto otterrebbero se avessero potuto accedere al “Fondo perduto”.
Così come sarebbero ed anche ben superiori di quanto previsto dal "Fondo Perduto" i 5.200 euro che un odontoiatra collaboratore incasserà attraverso il bonus statale di 600 euro per marzo ed aprile ed i 3mila euro (ma tassati) stanziati da ENPAM.
E quindi diventa anche difficile pensare che le stesse rivendicazioni sindacali che valgono per il commercialista o l’avvocato possano risultare efficaci anche per il titolare di studio odontoiatrico.
Il presidente AIO Fausto Fiorile, rispondendo ad una mia domanda posta durante l’interessante convegno a distanza organizzato dalla CAO Bari (lo potete rivedere interamente a questo link) sul post Covid-19 nella professione odontoiatrica, sosteneva come, a parte gli studi di piccolissime dimensioni, oggi si dovrebbe considerare l’ipotesi di organizzare il proprio studio come StP, anche come socio unico.
Passato il rischio sanitario e le preoccupazioni legate alla riorganizzazione dell’attività seguendo le procedure anti Covid-19, certamente i Sindacati degli odontoiatri dovranno cominciare ad interrogarsi non più, e solo, su quale sia il modello organizzativo ideale per lo studio odontoiatrico ma quale siano i modelli organizzativi perché la crisi economica che nascerà da questa pandemia, come ha giustamente sottolineato il presidente Fiorile al convegno, metterà in crisi (calando il numero di pazienti in studio) gli studi ma anche i collaboratori puri che faticheranno a trovare uno studio dove collaborare.
Collaboratori ai quali, e questo lo aggiungo io, nessuno sta pensando.
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