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07 Maggio 2023

Devono essere le mascherine a proteggere i sanitari, non i camici antiproiettile

di Norberto Maccagno


Ringrazio i presidenti Alexander Peirano e Valerio Fancelli, rispettivamente della CAO Firenze e di ANDI Firenze, per avermi dato la possibilità di parlare dell’assassinio della dott.ssa Barbara Capovani, la psichiatra che sarebbe stata uccisa da un suo ex paziente fuori dall’ospedale dove lavorava. Odontoiatria33 si occupa del settore dentale e se non fosse stata per la nota con la quale i due Presidenti hanno annunciato la loro partecipazione ad una delle manifestazioni organizzate in molte parti d’Italia in memoria della dottoressa, difficilmente avremmo dato la notizia.  

Una notizia che mi ha molto toccato, certo per l’aspetto umano anche se oggi, purtroppo, stiamo sempre di più abituandoci al “morto ammazzato”, ma soprattutto per quanto quel delitto non ha suscitato e soprattutto non susciterà.  

A demoralizzarmi la velocità con la quale, media e politica, hanno liquidato la questione relegandola a fatto di cronaca, ad una aggressione ad un sanitario finita male. Quelli che sono andati un po’ più oltre hanno ricordato il problema dell’assistenza psichiatrica in Italia, ma tutto è subito finito nel dimenticatoio, nel giro di qualche articolo, di pochissimi servizi televisivi. Credo che nessun “Talk” abbia approfondito dedicato una puntata alla questione.  

Dopo un fatto così grave mi sarei aspettato che, finalmente, si aprisse un reale dibattito sul perché davanti ai nostri pronto soccorso ci sono le guardie giurate, sul perché i sanitari vengono aggrediti, verbalmente e fisicamente da coloro che dovrebbero curare.  

In occasione del Primo maggio, la morte della dott.ssa Capovani è stata associata alle morti sul lavoro. E non mi sembra che nessuno abbia dissentito.  

Sono morti sul lavoro il carabiniere che viene ucciso in uno scontro a fuoco, una guardia giurata che muore durante una rapina, un buttafuori deceduto a seguito di una colluttazione, non può essere normale accettare che la morte di un medico a seguito di una aggressione venga quasi  giustificata dalla tipologia di lavoro che faceva.  

La mia impressione è che vi sia stato più dibattito da parte dei media e della politica sulla questione “armocromia” che sul perché i pazienti, e non solo da oggi, aggrediscono verbalmente e fisicamente chi deve curarli, chi è lì per salvargli la vita.  

Ovviamente la critica è verso i miei colleghi giornalisti, i politici e non verso i rappresentanti dei sanitari che da tempo cercano in tutti i modi di sensibilizzare e proporre soluzioni.  

Certo, dopo le insistenze la Politica ha approvato una legge che aggrava le pene per chi aggredisce i medici, ma sembra più un contentino che altro.  

Non sono nessuno per poter dare consigli ed entrare nel merito di cosa ha portato questo clima di scontro tra cittadini e sanitari, visti ingiustamente come la causa di un SSN oramai al collasso.  

Lo dice bene il presidente FNOMCeO Filippo Anelli commentando le tante fiaccolate organizzate in ricordo della dott.ssa Capovani quando scrive: “è stato anche un monito ai nostri amministratori e governanti: i medici non permetteranno che questo straordinario strumento per rendere esigibili i nostri diritti costituzionali, il Servizio sanitario nazionale, sia ridimensionato o smantellato”.  

È stata una ribellione silenziosa nello stile di chi, ogni giorno, lotta contro la morte e la sofferenza per aggiungere giorni e anni alla vita e ridare dignità alle persone. Nessuna manifestazione sguaiata, nessuna parola fuori posto; ma molta rabbia e la voglia di testimoniare il disagio, la preoccupazione per l’aumento esponenziale degli episodi di violenza ma anche la tenacia la voglia di lottare per rivendicare un diritto, quello alla sicurezza, che dovrebbe essere garantito a tutti i lavoratori, e ai medici due volte, in quanto presupposto della sicurezza delle cure”.  

Ma anche da queste parole sembra quasi che sia oramai considerato normale che un paziente aggredisca chi lo deve curare, e quindi si deve pensare a come proteggere medici ed infermieri, e non a come combattere le cause che hanno portato a questo clima.  

Ovviamente non è così, e neppure la FNOMCeO lo pensa. Vi invito a leggere la mozione che il Consiglio Nazionale FNOMCeO ha approvato proprio in occasione della morte della dott.ssa Capovani.    

Fa bene il Consiglio nazionale a chiedere “una politica di più ampio respiro, mirata all’identificazione delle cause che stanno producendo l’attuale recrudescenza di violenza e che non sono disgiunte dalla crisi profonda che investe il nostro Servizio Sanitario Nazionale”.  

Una crisi per il CN FNONCeO viene da lontano a cominciare da “un’aziendalizzazione della sanità, che ha come effetto, da una parte, una ‘medicina dei desideri’, dove ognuno si sente legittimato a scegliersi cure e risultati a lui graditi, dimenticando i limiti della medicina stessa; e, dall’altra, una riduzione del medico a mero prestatore d’opera, a colui che tali desideri deve realizzare, sempre, subito, in maniera totale”. “È necessario fare chiarezza- spiegano i Presidenti – in modo trasparente nei confronti dei cittadini, su quali sono le reali tutele che il nostro Servizio Sanitario Nazionale è in grado di offrire, in un contesto nel quale, nel nostro Paese, l’investimento sulla salute è tra i più bassi d’Europa, in termini di rapporto tra spesa sanitaria e PIL”.  

Al contrario –continua la mozione- si assiste ad una continua enfatizzazione delle tutele offerte e si pongono in atto continui provvedimenti parcellari, apparentemente migliorativi, ma in realtà scarsamente esigibili, che finiscono con l’attribuire al medico, a diretto rapporto con il cittadino, la falsa immagine di colui che si arroga il diritto di concedere o di negare un diritto costituzionalmente garantito: un Servizio Nazionale falsamente presentato come forte e tutelante, di cui il medico rappresenterebbe l’anello debole. Un sistema che invece produce infiniti andirivieni dissuasivi, legati a piani terapeutici, autorizzazioni varie e infinita burocrazia, che finisce con il presentare il medico come un funzionario arrogante, anziché come un alleato empatico. Un sistema che dipinge i servizi di emergenza-urgenza come realtà critiche, senza dire che si sono tagliati i posti letto ospedalieri”.  

E’ questo il punto, si deve fare capire a noi cittadini che se dobbiamo aspettare un anno per una visita pneumologica, se ci vogliono ore prima di essere visitati al pronto soccorso non è colpa di medici ed infermieri che ci lavorano, ma del sistema. Ed insieme, sanitari e cittadini, cercare di migliorare quel sistema. Apporre davanti i reparti cartelli che ricordano le conseguenze legali delle aggressioni ai sanitari, anche solo verbali, può essere un piccolo deterrente, ma nulla di più.  

Visto che la politica alimenta false aspettative, credo che sia dovere anche di medici e sanitari dire chiaramente ai pazienti che i tagli delle tasse (reali o annunciati), le continue mancette hanno come conseguenze il taglio dei servizi, soprattutto in sanità. E’ un sistema che non può reggere se viene finanziato solamente dal 45% dei cittadini. Infatti, non regge.  

Il proliferare di pubblicità di assicurazioni sanitarie credo sia un’indicazione chiara e poco rassicurante su quale è sia la strada che sta prendendo il nostro modello assistenziale.   Ma anche questi sono temi che vanno oltre l’ambito di Odontoiatria33, anche se il modello della sanità pubblica si sta avvicinando a quello odontoiatrico, mentre dovrebbe essere il contrario.  

Poi c’è un altro aspetto che non viene quasi mai toccato ma che credo stia alla base di tutto questo: la cultura del rispetto verso le Istituzioni, verso il Pubblico. Già perché il SSN è una istituzione, così come la scuola, la giustizia, le forze dell’ordine. La loro presunta inefficienza non deve ricadere su chi ci lavora, ma su chi la organizza, ma anche su chi la sfrutta non pagando le tasse. Ed anche l’aver continuato ad alimentare il concetto che pagare le tasse è da fessi invece di spiegare che le tasse servono per darci servizi migliori ed efficienti, non aiuta.  

Ma d’altronde credere alle favole è sempre bello, fino a quando non ti risvegli magari in coda al CUP della tua ASL e vorresti prendete per il collo l’impiegato che non riesce a trovarti un posto per una visita prima di 6 mesi.  


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