''Cambiare le parole è spesso un modo per fare percepire la realtà in modo differente e quindi ‘vendere’ un diverso punto di vista'', dice motivando
Caro Norberto
ho letto l’articolo su “Paziente o cliente e la differenza tra dirlo e pensarlo” che riguarda, come giustamente dici, “l’annosa discussione se quelli dello studio odontoiatrico sono pazienti o clienti? “ Effettivamente è strano che ci sia ancora questa discussione, in quanto esiste già nel linguaggio utilizzato, una terminologia ben definita. Il linguaggio descrittivo, infatti, utilizza in modo adeguato tali termini affinché gli esseri umani si possano comprendere. Si dice che Tommaso d’Aquino iniziasse le sue lezioni mettendo sul tavolo una mela e dicendo: “Questa è una mela chi non è d’accordo è pregato di uscire” per far capire quanto il linguaggio fosse la base non solo per la comprensione tra gli individui, ma anche per la comprensione della realtà stessa.
Tuttavia già da un po’ notiamo che il linguaggio tende a mutare, anche in base alle sensibilità del momento. Il netturbino diventa “operatore ecologico”, il clandestino “migrante”, il cieco “non vedente”, il sordo “audioleso". Alcuni di questi cambiamenti sono comprensibili, in quanto finalizzati a non urtare la sensibilità di alcuni soggetti (anche se bisognerebbe chiedere loro, se ne sono veramente urtati...). In altri casi non si capisce il vero fine di tale manipolazione lessicale.
Siccome la modifica di una parola è solitamente volta ad un fine chiaro, mi chiedo, quale sia la reale motivazione del cambiamento del termine paziente, che definisce già interamente un soggetto ed una azione, cioè la relazione con il proprio curante. Il termine cliente infatti, definisce in realtà un soggetto diverso, con un rapporto differente, di tipo commerciale.
Forse il paziente non paga, mentre il cliente si? Forse il paziente aspetta in sala d’attesa e il cliente no? Quali sono le differenze? E se non ce ne sono, perché cambiare la parola? Quando un collega mi parla di clienti o addirittura di “pazientela" (un misto di paziente e clientela) gli chiedo: “perchè parli così?” Ma soprattutto “perché ti hanno insegnato a parlare così”? Difficilmente ricevo una risposta sensata. A questo punto se tutto è permesso, perchè non parlare di “pazientela petalosa”? Ogni termine va bene, anche quelli inventati, ma solo uno, però, identifica la realtà.
Cambiare le parole è spesso un modo per fare percepire la realtà in modo differente e quindi “vendere” (sfrutto anch’io le parole...) un diverso punto di vista. Se infatti riusciamo a far percepire una nuova realtà possiamo far si che le persone si comportino in maniera diversa e quindi in definitiva cambiare le parole serve a far cambiare le persone. I giornalisti lo sanno bene quando descrivono lo stesso fatto con parole diverse, creando una emozione contraria. Lo si nota ogni giorno su giornali di pensiero diverso.
Le parole infatti determinando le azioni.
L’atto linguistico stesso è un’azione, che traduce un pensiero in un fatto concreto. Senza scomodare Austin o Chomsky (per non annoiare il lettore) tuttavia il nostro pensiero si fa parola e quindi azione. Il termine cliente poi, rappresenta solo un momento di una maggiore rivisitazione del nostro modo di definire linguisticamente la professione. Professionista, professione, prestazioni, paziente... sono tutti termini che molti soggetti non amano utilizzare, preferendo quelli legati al mondo del business.
Tuttavia, se mi sento un “imprenditore” che gestisce un “modello di business”, vendendo “prodotti” ai “clienti”, per fare profitto, quale sarà allora la mia emozione riguardo ad un’eventuale vendita di una prestazione/prodotto aggiuntivo anche se non necessario. Quale invece quella di chi si sente un professionista che cura i propri pazienti, attraverso delle prestazioni, dopo attenta diagnosi?
Con questo non voglio dire che chi si definisce imprenditore abbia una visione non etica della nostra attività o che tutti i professionisti siano corretti, ma che le parole possono farci vedere e sentire le cose in maniera diversa. La modifica del linguaggio può essere vista da qualcuno come qualcosa di inutile o sopravvalutato, tuttavia le parole rappresentano l’espressione concreta dei nostri valori e delle nostre intime convinzioni.
In quest’ottica il linguaggio diventa molto importante ed è per questo che per far accettare un’altra visione della realtà, la prima cosa da fare è cambiare il linguaggio. Il politically correct, che stiamo vivendo e che censura certe parole o obbliga ad usarne altre, ne è un chiaro esempio.
Quindi alla fine mi chiedo: Perchè? Perchè cambiare delle parole che identificano già una persona, un ruolo e anche un rapporto? Se poi andiamo su altri termini, come quello di Professionista, non si definiscono solo tali aspetti, ma anche qualcosa di più profondo.
Professione deriva da professare (una idea, una religione) e quindi definisce anche una vocazione, un particolare sentire che difficilmente la parola imprenditore potrà eguagliare. Inoltre il cambiamento di una parola dovrebbe portare un vantaggio almeno nella mente delle persone; allora perché cambiare questo termine quando nelle statistiche appare che le persone si fidano più del “professionista” che dell’”imprenditore”.
Ognuno può definirsi come meglio crede, tuttavia mi ripeto... perchè cambiare le parole. Non mi si venga a dire che sono termini usati nei documenti legali in Europa (“l’Europa lo vuole”...) o che la realtà è cambiata... L’idea di associare il termine imprenditore all’odontoiatra appartiene a più di 30 anni fa e anche quella realtà è cambiata. Il termine stesso di professionista descrive già una persona che “esercita una professione come attività economica” e in tale esercizio è compresa la gestione della famosa triade: tempo, denaro e persone, come già descriveva più di 30 anni fa il grande prof. Carlo Guastamacchia.
Oggi si parla più di “Professionista Evoluto” in quanto gli aspetti gestionali riguardano già da molti anni una parte importante della nostra professione.
Chi parla di una nuova realtà sembra riferirsi agli anni ’80 e ’90... ma forse è bene che capisca che è ora di cambiare altrimenti si corre il rischio di risultare vecchi e ripetitivi, come vecchia e ripetitiva è questa voglia di modificare i nomi alla professione e alle sue realtà. Non si tratta di mettere i puntini sulle “i” ma di essere chiari e onesti.
Non mi sognerei mai di chiamare un giornalista “venditore di parole” perchè, anche se potrebbero avere lo stesso significato, questi termini farebbero risaltare una visione alterata di questa importante professione e non solo i “puntini”.
Speriamo che questa voglia di manipolare il linguaggio finisca, perchè i colleghi sanno già ciò che sono e ciò che sentono. Mi auguro invece che vengano rivalutati, e questa sarebbe la vera novità, i termini di paziente, professionista, professione in maniera che si comprendano le vere novità del momento. Lasciando perdere il politically correct dell’odontoiatria... che potrebbe portarci in futuro al reato di imprenditorefobia.
Dott. Tiziano Caprara
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