Come tutti sanno l’amalgama d’argento è un materiale da restauro che per lungo tempo ha garantito buoni risultati, tuttavia il suo impiego sta scomparendo dalla pratica clinica in quanto è stato criticato da numerosi lavori che hanno evidenziato come alcune condizioni potrebbero favorire la liberazione dalle otturazioni del mercurio contenuto in questo materiale con possibili danni alla salute (GdO 15/2006).
Riuscire a stabilire con sicurezza fino a che punto il mercurio dell’amalgama può raggiungere nell’organismo concentrazioni tali da essere considerato pericoloso e quindi se sia giustificata la messa al bando di questo materiale, comporta implicazioni cliniche non trascurabili. Esistono infatti alcune situazioni in cui questo tipo di restauro è difficilmente sostituibile soprattutto quando non è possibile ricorrere per motivi clinici o economici ad altri tipi di riabilitazioni dentali. Ne abbiamo parlato con la professoressa Pietrina Francesca Lugliè dell’Istituto di Clinica Odontoiatrica dell’Università di Sassari (autrice con i suoi collaboratori di un ampio dossier sull’argomento pubblicato sul fascicolo 2/2007 di Dental Cadmos).
Pur non essendoci dubbi sugli effetti tossici del mercurio, il problema è stabilire se il mercurio dei restauri effettuati con amalgama può provocare reali danni alla salute. Sono mai state documentate nei pazienti patologie correlabili al mercurio rilasciato da questo tipo di restauri?
Sembrerebbe, alla luce delle nostre conoscenze, trattarsi di disturbi a livello orale più che sistemico. Non abbiamo trovato infatti in letteratura lavori che documentino danni alla salute generale dei pazienti portatori di restauri in amalgama. D’altra parte, come qualsiasi altro materiale, anche l’amalgama può indurre reazioni allergiche, con manifestazioni localizzate al cavo orale o di tipo sistemico (dermatiti, eczema, orticaria o reazioni eritematose, con interessamento della faccia, del collo, delle braccia, delle gambe e del torace).
Il rischio potenziale del mercurio è maggiore per il personale odontoiatrico che per i pazienti: è possibile prevenire con adeguate misure la contaminazione professionale?
La patologia da Hg, estremamente rara in altri tipi di attività medico-chirurgica, presenta una certa frequenza quale malattia professionale fra i dentisti. Pertanto si impone un’adeguata prevenzione dei rischi da Hg, che da una parte riguarda gli ambienti di lavoro, dall’altra le modalità con cui si opera.
Per l’ambiente di lavoro sono fondamentali l’aerazione e una temperatura non eccessiva, tale cioè da non indurre un aumento di vaporizzazione del mercurio.
Circa le modalità dell’attività di lavoro, le più comuni norme di prevenzione prevedono l’uso di vestiario protettivo, l’accurato lavaggio delle mani con saponi solforati e la preparazione dell’amalgama su piani impermeabili, evitando l’utilizzo di amalgami con eccesso di mercurio.
Per minimizzare l’esposizione del dentista al vapore di Hg durante il lavoro clinico, è importante usare un aspiratore convenzionale ad alta velocità, specialmente durante la rimozione e la lucidatura delle ricostruzioni. Queste misure dovrebbero ridurre anche l’esposizione del paziente, poiché le zone di respirazione del dentista e del paziente sono in parte le stesse.
A quali conclusioni è giunto il gruppo di lavoro incaricato dalla Direzione generale III della Commissione europea di studiare la pericolosità dell’amalgama?
Le conclusioni del lavoro della Commissione possono riassumersi in quattro punti:
GdO 2007; 1
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