Da cinquant’anni si occupa di odontoiatria, di prevenzione, ma soprattutto dell’organizzazione dello studio odontoiatrico.
C’è chi lo considera un “guru” dell’odontoiatria e chi un brontolone. Certamente il professor Carlo Guastamacchia, classe 1933, si fa ascoltare suscitando sempre interesse e commenti.
Dice che lui si interessa solo del dentista libero professionista, il time-in-chair, ovvero colui che lavora nel proprio studio trenta, quaranta ore la settimana e non vuole entrare nel campo di coloro che hanno altri interessi (universitari, ospedalieri, politici), anche se con i suoi editoriali pubblicati su Dental Cadmos politica la fa, eccome.
Sostiene che l’odontoiatria low-cost si combatte comunicando al paziente la qualità delle cure, facendo sentire il paziente capito perché “i supermarket del dente non lo possono fare; i tempari non lo permettono”.
Ci siamo sentiti telefonicamente qualche mese fa; ero curioso di capire il motivo di alcune prese di posizione su temi come i fondi integrativi e l’accordo sull’odontoiatria sociale. Al temine della chiacchierata ci è sembrato interessante far pubblicare ciò che ci siamo detti.
Professor Guastamacchia, come è cambiato il modo di esercitare l’odontoiatria rispetto a quando ha iniziato la libera professione?
Dovrei dire molto anche se ritengo che oggi sono tante le analogie con gli anni in cui ho iniziato a lavorare.
Negli anni Cinquanta stava prendendo piede una formula di odontoiatria pubblica che faceva capo all’allora Inam. Io ero all’inizio e ritenni un’opportunità andarci a lavorare. Nel tempo l’Inam cominciò a mettere dei paletti che poi diventarono recinti. Me ne andai.
Al tempo già scrivevo su Dental Cadmos e stesi un editoriale dal titolo “Firma e truffa” perché le tariffe che venivano imposte costringevano a truffare l’Ente per poter guadagnare il giusto. Per esempio, registravano dieci lavaggi di ascesso anche se ne facevamo uno solo.
Mi sembra che oggi i fondi non si comportino tanto diversamente e neppure alcuni dei convenzionati. Non lo ha sottolineato anche lei in un articolo?
Si riferisce al racconto di un dentista Fasi che proponeva protesi fuori convenzione facendosi rimborsare dal paziente la differenza? Ne parlammo sul GdO nel 2008 quando facemmo un’inchiesta sui fondi d’investimento.
Certo, vede che ci sono similitudini con gli anni in cui ho iniziato la professione? Alla base dell’interesse verso i fondi integrativi c’è la questione fondamentale per ogni libero professionista: trovare il modo di riempirsi lo studio di persone. Poi, entrati nel sistema, ci si preoccupa di come andranno trattati tali pazienti, scoprendo i limiti imposti dalle tariffe imposte e, cercando, quindi, trucchi al fine di guadagnare. E questo discorso vale anche per l’accordo tra Ministero e associazioni sindacali sull’odontoiatria sociale. L’intuizione del presidente Andi, Roberto Callioni, è stata chiara: portare più persone negli studi dei dentisti (specie dei giovani) aderenti. Poi, come questi saranno trattati è un altro problema.
In termini aziendali questo si chiama “dumping”: affinché la clientela non si diradi, si crea un meccanismo per il quale la gente è attirata in studio.
La mia concitazione sull’argomento nasce dal fatto che oggi, a un livello molto più ampio, si sta ripetendo quanto ho toccato con mano con Inam: si mette il collega libero professionista nella condizione in cui, per accettare le formule proposte, deve truffare altrimenti non riesce a bilanciare i costi dello studio. La parola “truffa”, provocatoria, è forse sgradita, ma la sostanza resta; le cose impossibili non si possono fare: punto e stop.
Però, lei mette sullo stesso piano i fondi integrativi con un accordo nato con finalità sociali.
Io penso che tutto ciò che porta fuori da un rapporto diretto “person to person”, nella chiave in cui viene definita la libera professione, è un sistema in cui il terzo pagante ci guadagna a spese del professionista. Poi ci sono mille modi di interpretare questo, ma bisogna sempre ricordare che in un simile sistema a giovarsene, non è il cittadino assicurato o il professionista, ma solamente il terzo pagante.
Ma nel caso dell’accordo, il terzo pagante non c’è.
Il discorso dell’accordo tra Ministero e associazioni è molto più complicato. È il prototipo di un meccanismo di cartello che l’Antitrust dovrebbe sanzionare perché stabilisce delle tariffe che giustamente o no, in chiave libero professionale, sono vietate.
Ciò costituisce un precedente molto pericoloso che metterà in difficoltà gli aderenti, in quanto si accorgeranno che le spese sono maggiori delle entrate.
Altra questione che mi ha trovato molto critico è la pubblicazione del tariffario/tempario da parte dell’Andi. Non è possibile standardizzare le tariffe. Ogni studio, ogni professionista ha i suoi costi di gestione, la sua professionalità. Ma dal punto di vista della professione, l’orrore degli orrori è creare un tempario.
Ma non le sembra che un tariffario di riferimento possa essere uno strumento utile per cercare di capire se le tariffe che applica sono in linea con il mercato?
Ogni libero professionista ha delle caratteristiche proprie: anche per questo si chiama libera professione. Ogni studio nel creare il proprio tariffario deve valutare una serie di variabili: non può basarsi su quanto fanno i colleghi. Si deve considerare il rischio merceologico, i materiali di consumo, le attrezzature, il personale ecc. Oggi, soprattutto i giovani, non hanno idea di quanto costi uno studio odontoiatrico giornalmente. Lo aprono e poi si trovano a fare i conti, e per rimediare cercano facili soluzioni per accaparrarsi clienti. Senza poi parlare (e non è piccola cosa) di quanto il giovane abbia da pensare riguardo al suo futuro, per quando si ammalerà o andrà in pensione.
Lei è insegna al San Raffaele. Quale ricetta per entrare nel mondo del lavoro indica ai futuri dentisti?
La mia ricetta è quella della comunicazione. Cerco di far comprendere che cosa significhi avere davanti a noi un paziente. È quello il momento più importante, dobbiamo riuscire a far capire al nostro paziente che ci interessiamo a lui. Ottenuto questo, egli sarà un nostro paziente. Insegno che l’asso nella manica di un libero professionista è la comunicazione: nelle grandi strutture, nel pubblico questo non può avvenire perché costa, materialmente e psicologicamente e a questo, indispensabile per il paziente, il “low-cost” non è attrezzato.
La regola si chiama RDA: Reperibilità, il dentista deve essere reperibile sempre; Disponibilità verso il paziente, dedicargli il tempo necessario; Affabilità, cioè occuparsi della gente comprendendone le necessità.
Questi sono gli elementi vincenti; e non stabilire se si è capaci di fare un’otturazione in un certo tempo.
Io insegno che la prima visita deve durare un’ora e mezza. Nessun gestore di fondi potrà mai accettare e remunerare adeguatamente un professionista per questo. Il gestore del fondo pretende che in quel tempo si facciano almeno quattro, cinque otturazioni.
Però, per comunicare correttamente ai pazienti, in studio i pazienti devono esserci. Cosa che per un giovane è sempre più difficile. Di questo ne parlate? Che cosa consiglia di fare?
Certamente. Chiunque svolga una libera professione deve avere clienti. I nostri si chiamano pazienti e si rivolgono a noi principalmente grazie al passaparola. Il consiglio che do ai miei studenti è di fare esperienza, sfruttare le opportunità, anche se tali occasioni si chiamano franchising, fondi integrativi o accordo per l’odontoiatria sociale; ma è una fase, non una meta.
Tutte trappole per agganciare i clienti. Allo stesso tempo spiego loro che se si agganciano i pazienti per i prezzi, con il passare del tempo ci si accorgerà che quei prezzi non si possono mantenere. È come la trattoria che propone un menù a prezzo fisso: quando il cliente sceglie un piatto diverso gli si deve spiegare che lo pagherà di più perché la qualità costa. E allora quella del prezzo fisso mangiato fino a ieri faceva schifo?
Un’altra cosa che cerco di fare capire è di non avere fretta, la nostra è una professione lunga, si comincia a 25 anni e si finisce oltre i 70. C’è tempo per le scelte e nessuna è definitiva.
Quali sono le ambizioni dei futuri dentisti?
Hanno tutti il desiderio di intraprendere la libera professione, ma comprendono anche come questo sarà difficile. Oggi molti di loro dovranno scendere a compromessi con le grandi strutture sanitarie o con i fondi integrativi, come ho fatto io negli anni Cinquanta.
Vede, che torniamo dove siamo partiti? La storia si ripete.
Certo, se per me sono bastati dieci anni di lavoro alla “mutua” per aprire lo studio, per loro, oggi, ci vorrà di più. L’importante è che non dimentichino mai il motto di Nelson prima della battaglia di Trafalgar: “Ognuno faccia il proprio dovere”. Questa si chiama deontologia, non sindacalismo o accordi più o meno “sociali”, con qualsivoglia Governo.
GdO 2010;1
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