Una delle sfide principali che la moderna odontoiatria sta affrontando è quella di rispondere alle crescenti richieste estetiche dei pazienti, che pretendono una sempre maggiore funzionalità ma sembrano non accontentarsi mai. È in quest’ottica che si può apprezzare uno studio recentemente pubblicato su Clinical Implant Dentistry and Related Research(*) e condotto dal team del professor William Becker, della University of Southern California. Si tratta di uno studio piccolo ma piuttosto innovativo: affronta le preoccupazioni estetiche di odontoiatri e pazienti indotte dalla perdita di papilla che viene a prodursi dopo l’applicazione di impianti.
L’obiettivo è di verificare se è possibile ottenere un aspetto armonico e un’architettura stabile dei tessuti tra due impianti adiacenti, dove spesso la papilla viene a trovarsi in posizione più apicale di quanto si desideri e risulta così esteticamente sgradevole.
Uno dei quesiti è se esista un rapporto tra la distanza dal punto di contatto al setto osseo e il mantenimento di papilla interprossimale. Naturalmente sì: secondo uno studio americano di qualche anno fa, per distanze inferiori ai 5 mm la papilla è quasi sempre presente, ma le cose peggiorano al crescere della distanza, tanto che quando si superano i 7 mm c’è solo nel 27 per cento dei casi. Analogamente, si è visto che la presenza di papilla interdentale diminuisce con il crescere della distanza interprossimale tra le radici.
In questi ultimi anni si sono acquisite numerose informazioni utili per prevedere se la papilla potrà conservarsi dopo l’applicazione di un
impianto. Nel conseguire risultati a lungo termine, l’impianto post-estrattivo immediato ha una prognosi più favorevole, permettendo il mantenimento dei picchi ossei interprossimali e stabilizzando la papilla; si consiglia di operare nel modo meno traumatico evitando per quanto possibile di sollevare i lembi gengivali; inoltre il posizionamento della base cervicale dell’impianto dovrebbe essere fatto sulla linea smalto-cemento dei denti prossimali. Il controllo di una corretta angolazione dell’asse maggiore dell’impianto e di una posizione vestibolo-linguale e la raccomandazione al paziente di lasciare al dentista la pulizia delle zone interprossimali sono tutti accorgimenti che aiutano a raggiungere buoni risultati estetici.
Oggi però si tenta anche di individuare metodiche efficaci nel ripristinare il tessuto perduto e nel correggerne le imperfezioni. Molte le proposte, mentre i risultati sono ancora interlocutori, ma alcuni sembrano interessanti.
Per ottenere un buon risultato post-operatorio, sembra opportuno un approccio interdisciplinare alla pianificazione del trattamento estetico e alla sua esecuzione.
Può risultare preziosa l’esperienza già accumulata dai chirurghi plastici e dai dermatologi nell’utilizzo di sostanze che migliorano l’estetica nelle diverse aree del viso. Uno degli ultimi ritrovati è una soluzione che si sta rivelando utile negli ambiti più svariati: l’acido ialuronico. Si tratta di una molecola con un’elevata capacità di legare acqua e altre sostanze e si presta alla realizzazione di gel protettivi, utili per le articolazioni e per i tessuti cutanei. L’acido ialuronico partecipa alla formazione del collagene e del tessuto connettivo, aumenta la plasticità dei tessuti, favorisce l’idratazione cutanea ed esercita un’azione protettiva contro virus e batteri. Un’altra caratteristica essenziale a suo favore è l’assenza di controindicazioni e di effetti collaterali, cosa che ne ha permesso l’approvazione della Food and Drug
Administration.
Proprio a un gel composto di acido ialuronico, disponibile in commercio, è ricorso il dottor Becker, che ha provato a iniettarlo in anestesia locale nelle papille, con aghi da 23 gauge e in dosi inferiori agli 0.2 ml. Il campione su cui ha testato il nuovo metodo era composto da undici pazienti - sette donne e quattro uomini - di un’età media di 55 anni, tutti con almeno un sito con perdita di papilla in zona estetica, adiacente a denti o impianti. Il procedimento è stato ripetuto tre volte, a distanza di tre settimane, e gli effetti sono stati documentati con fotografie, confrontate con quelle scattate prima del trattamento. I risultati sono stati molto incoraggianti: in tre dei 14 siti - di cui uno adiacente ai denti e due a impianti - si è avuto un miglioramento del 100 per cento; in sette siti il miglioramento è stato compreso tra il 94 e il 97 per cento, in altri tre è andato dal 76 all’88 e nell’ultimo è stato del 57 per cento.
I siti sono stati controllati in un follow-up durato 25 mesi e il miglioramento verificato dopo le applicazioni è stato mantenuto.
È anche interessante riportare il punto di vista dei pazienti: tutti hanno concordato che il trattamento è stato indolore e sei di loro hanno ritenuto clinicamente significativi i miglioramenti ottenuti.
(*) Clin Implant Dent Relat Res. 2010 Mar;12(1):1-8
GdO 8;2010
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