Durante un convengo sul contenzioso odontoiatrico, un relatore diede questo consiglio alla platea: “se vi si rompe uno strumento canalare in una radice, e non riuscite a rimuoverlo, non trovate scuse con il paziente o fate finta di niente, spiegategli cosa è successo. Informandolo correttamente anche su di un errore, cementerete il rapporto di fiducia che ha nei vostri confronti”.
Sono profondamente convinto che chiunque svolga un lavoro sia a rischio errore e che la trasparenza sia alla base di ogni rapporto, lavorativo o personale. Poi solo chi non fa, non sbaglia.
La premessa è per introdurre la mail inviatami da Tiziano Caprara, noto odontoiatria che da tempo si occupa di organizzazione e gestione dello studio ed anche del tema delle convenzioni con i fondi integratavi, recentemente ci aveva scritto questo approfondimento sul tema.
Caprara che mi chiede di pubblicarla come lettere al direttore. Ci siamo sentiti ed ho deciso di dare visibilità allo scritto in questo DiDomenica, anche per poter motivare.
Questo lo scritto ed ovviamente ringrazio Tiziano per averlo inviato:
Caro Norberto ti conosco da molti anni e quindi sono rimasto sorpreso del tuo ultimo articolo riguardante il fenomeno dei Fondi Integrativi, analizzato dall'indagine congiunturale ANDI. Ho visto i dati (dal sito Andi) e ho notato che sono completamente diversi. Solo il 27,1% dei dentisti è convenzionato e non il 66% come scrivi tu. Anche in un precedente articolo riportavi che il 22,8% dei collaboratori lavorava "in uno studio di una catena” quando in realtà solo il 9,7% lavora in studi organizzati come società iscritte alla CCIAA (e quindi anche certe srl di colleghi).
Per questo ti chiedo: che cosa succede?
Quando tempo fa hai mandato a tutti i lettori una informativa riguardante la "Nuova Era di Odontoiatria33”, parlavi di "garantire la corretta informazione" e anche di una "conoscenza di valore in un mare di informazioni spesso non veritiere, approssimative e condizionate".
Questi due articoli però non seguono tali indicazioni.
Si sa un errore può capitare o anche due… Spero che l'immane mole di lavoro (produci un'enorme quantità di articoli e non so come fai…), sia la causa di tale confusione. Non penso ci sia la volontà modificare dei dati a favore di una o dell'altra parte. Non credo tu ne sia capace e non lo voglio neanche pensare. Deluderesti tutti i lettori che credono che esita un giornalismo super partes e non creatore di fake news…
Penso sia giusto quindi riportare nuovamente i dati corretti in maniera che il dentista capisca che le convenzioni rappresentano un fenomeno che interessa meno di un terzo dei colleghi e di questi quasi un altro terzo le vuole disdire. Questa è la realtà.
L'Italia è un paese ancora libero dai interventi finanziari che in altri Stati, hanno aumentato la spesa sanitaria, creato disparità tra cittadini, distrutto la professione e peggiorato la salute dei pazienti.
Perdona questo mio intervento, ma te lo dovevo.
Non vorrei mai che il tuo giornale perdesse la credibilità che si è costruita in questi anni.
Peraltro una mail personale con la quale mi segnalava l’errore (una notizia falsa) mi era arrivata il giorno prima anche da un altro esperto di Fondi Integrativi, il dott. Nick Sandro Miranda, peraltro componete del Commissione sulla sanità integrativa di ANDI nazionale.
Due veloci premesse:
La prima: al Giornale ci lavorano un po' di persone a cui va il merito del succeso che ha, mentre l’errore è mio.
Sulla questione del dato dei collaboratori delle Catene la frase comoleta era questa: “Chi ha dichiarato di svolgere la professione prevalentemente come collaboratore, il 22,8% ha detto di farlo nello studio di una Catena, mentre il 36,4% di aver assunto l’incarico di direttore sanitario”.
Credevo si capisse che il 22% era riferito al 9,7% dei collaboratori delle società, ma a quanto pare non era abbastanza chiaro. Grazie per la segnalazione così ho potuto chiarire. Se veramente fosse stato indicato che il 22% dei collaboratori lavora nelle Catene, la notizia sarebbe finita indubbiamente nel titolo e non a fine articolo.
Veniamo invece al dato sbagliato, quello evidenziato sia al dott. Carpara che dal dott. Miranda: ovvero non è vero, come ho scritto, che il 66% dei dentisti ha attivato almeno una convenzione.
Dopo aver risposto, piccato, alla mail del dott. Miranda (e me ne scuso), quando ho ricevuto anche quella del dott. Caprara, il dubbio mi è venuto ancora più forte e sono andato a controllare sul mio telefono, per l’ennesima volta, la slide proiettata (non sul sito dell’ANDI come il dott. Caprara, io non l’ho trovata, peraltro l’ufficio stampa ANDI mi aveva informato che non le avrebbero rese pubbliche, per questo durante la presentazione ho fotografato quelle che pensavo mi sarebbero servite per gli articoli).
Riguardando la slide, pensando alle considerazioni di Caprara e Miranda, mi sono accorto che effettivamente avevo dato una lettura sbagliata di quanto avevo fotografato, trovate lo scatto al fondo.
I dati presentati erano quelli dei dentisti che avevano risposto con un SI alla domanda se nel 2018 avevano avuto rapporti di convenzionamento diretto, e qui ci ho preso riportando correttamente nell’articolo che il 27,1% li ha avuti.
Dove ho interpretato in modo errato (ho toppato) è stato la restante parte del dato. Io l’ho inteso come il numero di dentisti che avevano convenzioni indirette.
Come il dott. Miranda ci aveva spiegato, si definisce “convenzione diretta il contratto che prevede che sia il terzo pagante a saldare l’onorario direttamente al medico. Si definisce convenzione indiretta il contratto che stabilisce che sia il paziente a saldare l’onorario al medico. A sua volta il paziente sarà rimborsato dal terzo pagante”. Anche MetàSalute prevede questo tipo di intervento anche se di fatto l’iscritto al fondo viene penalizzato da una eccessiva bucrazia che deve gestir ein proprio e dal fatto che prima paga e poi viene risarcito. Poi c’è l’assistenza indiretta, prevista da alcuni fondi che permette al paziente di rivolgersi al medico che vuole, anche non convenzionato, lo salda e poi se la vede con il fondo o l’assicurazione per il rimborso.
Quindi avendo letto che il 27,1% aveva accettato una convenzione diretta, ho inteso che la tabella del numero dei convenzionamenti fosse quello del totale dei convenzionati, peraltro la somma tra chi ha una convenzione diretta e chi non l’ha fa circa 28mila, mentre il numero totale di dentisti considerati nelle proiezioni era 48mila. Quello è il numero delle convenzioni attivate dal 27,1% di dentisti, in media 3 a testa.
Invece il dato di quelli che ne hanno attivato una convenzione indiretta non è stato, a quanto pare analizzato, o quel 27,1% non è solo la percentuale degli studi che hanno attivato una convenzione diretta ma di tutti.
Cercheremo di capirlo se riusciremo ad intervistare il Coordinatore del Servizio Studi Roberto Calandriello.
Ma la certezza è che il 66% che ho indicato come il numero dei dentisti che ha una attivato una convenzione, è una notizia sbagliata.
Quindi le doverose scuse ai lettori e grazie ai dottori Caprara e Miranda per la segnalazione.
Come fa il dentista con il proprio paziente, anche io vorrei motivare l’errore, che comunque non è giustificabile.
Quando chi fa il mio mestiere è chiamato a scrivere un pezzo sulla presentazione di una ricerca, riporta quanto vede (ed in questo caso ho visto male) e quanto sente. Quasi sempre gli organizzatori ci agevolano inviando o consegnandoci un comunicato con la loro lettura dei dati e spessimmo anche i dati presentati, ma non è stato il caso dell'evento ANDI.
Una ricerca è composta da molti dati, da un lungo lavoro di analisi, da un intreccio di risposte che il ricercatore analizza e sintetizza nelle slide. Ma durante la presentazione, quella mole di informazioni non può essere data, quindi il mio pezzo non è la sintesi della ricerca, ma la sintesi, il racconto di cosa è stato presentato nelle tre ore di evento da 4 relatori.
Peraltro su qualche dato avrei voluto confortarmi con chi l’ha presentato, ma già da qualche tempo ANDI ha chiesto a noi giornalsiti di settore di non rapportarsi direttamente con i dirigenti, ma di passare attraverso l'Ufficio Stampa ANDI. E così ho fatto, ma probabilmente per l’organizzazione dell’assemblea che si è svolta ieri e l’altro ieri, e per il fatto che le risposte mi servivano in fretta (facciamo un quotidiano non un mensile), hanno ritenuto di declinare la mia richiesta. Quindi quando ho avuto dubbi anche sui dati riferiti ai convenzionamenti, non ho neppure pensato di chiedere chiarimenti, ma mi sono basato sugli appunti e foto. Sabgliando.
Dopo i dubbi che Caprara e Miranda mi hanno fatto venire, qualche giorno fa, ho chiesto di poter, senza fretta, intervistare il Coordinatore del Servizio Studi, inviando le domande per rendere la cosa anche più veloce. Speriamo che acconsentano in modo da permetterci di chiarire attraverso una voce autorevole.
Comunque il dato del 66% dei dentisti convenzionati è errato e questo, ripeto, è una cosa grave e non giustificabile per chi fa informazione.
Spero che mi permetterete, anche, una considerazione sul passaggio in cui Caprara dice: “Non penso ci sia la volontà modificare dei dati a favore di una o dell'altra parte. Non credo tu ne sia capace e non lo voglio neanche pensare”.
Non capisco chi potrei avvantaggiare gonfiando il numero di dentisti convenzionati?
Sapere che tanti dentisti si convenzionano servirebbe a sdoganare il convenzionamento convincendo quindi i dentisti a convenzionarsi? Certo, potrebbe, anche se mi sembra alquanto inutile visto che dalle lettere che alcuni di voi ci hanno scritto, oggi è di fatto impossibile riuscire a convenzionarsi con Previmendical o Unisalute, e la mia impressione, che ho già scritto, è che questi fondi stiano piuttosto cercando di “convincere” molti dentisti a disdire la convenzione perché, forse, di studi convenzionati ne hanno troppi da gestire e preferiscono fare accordi con studi gestiti da Gruppi, per avere meno interlocutori.
Così come l’endontista a cui capita di rompere uno strumento nel canale della radice, anche se ha cercato di fare tutto al meglio, anche ad un giornalista capita di dare un dato sbagliato, solo perché magari ha sentito o capito male e non perché ci sono secondi fini.
In Expodental Edra ha presentato un bellissimo volume sui Ritrattamenti Endodontici (così faccio anche un piccolo spot), stando alla ressa di persone che si sono fatti firmare le copie dagli autori. Tra le tante informazioni ed indicazioni riportate nel libro c’è il dato che indica che il 6-7% degli insuccessi in endodonzia sono da attribuire ad un errore del dentista.
Considerando che in questi oltre 5 anni di vita di Odontoiatria33 abbiamo pubblicato più di 6 mila articoli e abbiamo dovuto pubblicare due o tre precisazioni e solo una smentita, questa, ci è andata meglio dei dentisti che fanno “terapie canalari”.
Ma come dicevo prima, ha ragione Caprara e Miranda che ringrazio ancora per la segnalazione, l’errore non può essere giustificabile, quindi scusate ancora, lavoreremo con più impegno affinché non capiti un’altra volta e grazie alla vostra collaborazione sarà più facile.
Sotto la foto della slide, se ci cliccate sopra si apre a tutto schermo
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