Collaboratori, titolari di studio e team odontoiatrico, visti dal consulente di gestione. Le criticità, i consigli e le “soluzioni”
Come il Convegno organizzato da EDRA sul futuro della professione visto dal punto di vista dell’esercizio professionale ha fatto una fotografia che conferma che contrariamente a quanto accadeva in passato, quando chi decideva di diventare dentista lo faceva con il chiaro intento di aprire il proprio studio dentistico, non appena laureato, oggi sono pochi i giovani che intraprendono questa strada. I più mirano ad andare a fare collaborazioni con colleghi, titolari di studi già avviati o cliniche o catene. Per imparare e fare esperienza, certo, ma anche per non sobbarcarsi tutti gli oneri che comporta aprire uno studio odontoiatrico oggigiorno.
Di fatto, l’investimento economico è piuttosto ingente e implica quasi sempre l’accensione di un mutuo di lunga durata, sono necessarie autorizzazioni sanitarie non sempre facili da ottenere, e chi apre deve avere o acquisire anche competenze gestionali e imprenditoriali oltre a quelle cliniche. Inoltre, la redditività che si ottiene rispetto all’impegno profuso è senza dubbio inferiore a quella di un tempo, anche piuttosto recente.
I dati riportati dall’Indagine condotta da EDRA parlano chiaro: il 70,7% dei giovani odontoiatri (under 30) esercita la Professione come collaboratore/consulente.
Quali sono gli effetti di tutto questo?
Innanzitutto, come evidenziato da Odontoiatria33 del 7 febbraio scorso, la professione odontoiatrica si conferma essere una professione di “anziani”, in cui il 53% degli iscritti all’Albo ha più di 55 anni. Ciò significa che nell’arco di una quindicina d’anni più della metà degli attuali dentisti e odontoiatri italiani andrà in pensione e se non si prendono in considerazione nuove forme associative o si trovano dentisti che vogliono aprire o rilevare le attività, si ridurrà considerevolmente il numero degli studi con cui collaborare. In secondo luogo, fare i collaboratori ha parecchi ed evidenti vantaggi iniziali (si fa pratica a basso rischio, si impara dai colleghi senior, non ci espone economicamente, non si devono prendere decisioni), ma presenta più di uno svantaggio al crescere dell’età e dell’esperienza, professionale e di vita.
Quando si entra nella piena e consapevole adultità, infatti, cominciano ad emergere nuovi bisogni e desideri e ambizioni, spesso molto differenti da quelli di inizio carriera.
Si sente la necessità di incidere sul processo decisionale, di esprimere la propria cifra identitaria e di affermare il proprio stile professionale, di assumere comportamenti magistrali (di insegnamento) nei confronti di altri adulti e, non ultimo, di sentirsi parte integrante e attiva di un progetto. Cosa non sempre possibile o gradita al titolare dello studio ospitante.
Ciò che spesso accade – chi come me fa consulenza negli studi dentistici è quotidianamente testimone di queste dinamiche – è che il titolare che si accolla oneri e onori della complessa gestione dell’attività, ivi compreso il rischio d’impresa, non veda di buon occhio le ingerenze decisionali dei collaboratori e che quindi demarchi ancor più nettamente i confini, generando più di qualche frustrazione o scoramento. Scegliere di fare i collaboratori esterni full time significa, quasi sempre, avere o sviluppare una forte attitudine a “sentirsi ospite in casa degli altri”, a chiedere sempre il permesso prima di agire, a ringraziare frequentemente per l’opportunità data, a mettere in secondo piano la propria identità e personalità individuale in nome dello spirito di gruppo o più realisticamente, per fare spazio a quella del titolare dello studio dentistico.
Quindi? Meglio farsene una ragione o cercare soluzioni differenti?
Un primo importante passo nell’ottica della creazione di un buon team di lavoro, che si differenzi da un gruppo di “mercenari”, dove ciascuno pensa al proprio guadagno senza alcuna tensione progettuale collettiva, è quello di prevedere un coinvolgimento e una partecipazione concreti, anche di tipo economico, dei collaboratori nel progetto imprenditoriale. Le persone hanno bisogno di essere parte attiva, di diventare responsabili, di assumersi una piccola dose di rischio per sposare appieno un progetto. Su un piano più operativo è vitale che i collaboratori conoscano le logiche della gestione e ne comprendano le dinamiche, che si assumano la responsabilità del proprio lavoro non solo in termini clinici, altrimenti si percepiranno sempre estranei. Per far questo serve, da parte dei titolari di studio, una maggiore disponibilità alla condivisione di informazioni e dati (le tanto bistrattate riunioni di studio, che pochissimi fanno) e una maggiore propensione alla delega, vera leva di crescita professionale.
Sul piano giuridico, per rendere più accessibile l’investimento iniziale di apertura o rilevazione dello studio, è tempo di implementare, tra gli altri (Studio Associato, S.r.l. odontoiatrica, StP, ecc.), nuovi modelli di aggregazione professionale, per cui sia possibile ripartire costi, investimenti e responsabilità in parti più eque e sostenibili, prevedendo un piano a medio-lungo periodo nel quale il collaboratore esegua le proprie prestazioni in "conto acquisto" parziale o totale della struttura, realizzando in questo modo anche il processo di affiancamento al titolare/socio uscente.
Qualcosa si sta muovendo a livello legislativo: dal 2017, ad esempio, la normativa italiana ha aperto anche ai professionisti la possibilità di far parte delle Reti di Impresa miste, di cui ha parlato Massimo Depedri in questo articolo.
Come sempre, non sono gli strumenti che mancano, ciò che occorre è la volontà di usarli e di pensare alla professione in modo più strategico.
A cura di: Moyra Girelli, formatrice esperta in gestione del cambiamento- founder di aula41
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