Uno studio, pubblicato sul Journal of Prosthetic Dentistry, analizza le (poche) “quote rosa” delle principali Società di protesi negli USA. E in Italia?
“Le donne devono fare qualunque cosa due volte meglio degli uomini per essere giudicate brave la metà”: così diceva Charlotte Whitton, fervente femminista canadese che ha ricoperto anche la carica di sindaco di Ottawa tra gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso.
Ma questo discorso può essere rivolto anche all’odontoiatria moderna?
Questo è all’incirca il quesito che si sono posti alcuni Autori statunitensi, che hanno voluto analizzare la componente femminile all’interno di alcune delle più rinomate Società di protesi degli Stati Uniti.Gli Autori si sono focalizzati sostanzialmente sulla presenza femminile in qualità di relatori ai congressi, tenuto conto del fatto che, al momento dello studio (2019), le donne rappresentavano ben il 42% dei “prosthodontic residents” (ossia degli specializzandi di protesi).
“La conferma di quanto emerge dalla ricerca chi frequenta meeting e congressi in ambito protesico osserva, anche in Italia”; commenta Costanza Micarelli, la presidente della neonata SIPRO.
“Poche donne sul podio, poche nei board delle organizzaizoni scientifiche, poche nei ruoli vertice delle Università. La scarsa presenza femminile rilevata, e lo sottolinea anche l’autore, è sottostimata perché viene rapportata alla percentuale di donne associate alle accademie di riferimento, laddove con ogni probabilità le donne che praticano la disciplina protesica sono assai di più”. In Italia le donne rappresentano il 28% degli iscritti all’Albo, salgono però al 44% se si considerano gli under 44.
“Credo che anche la distribuzione per specialità rispecchi questa omogeneità”, continua la presidente Micarelli aggiungendo: “E allora perché poche donne in ruoli leader, e soprattutto come incentivare la presenza femminile nelle accademie, nei gruppi di ricerca, in modo che le organizzazioni scientifiche rispecchino la realtà della professione? Credo che l’articolo metta ben in evidenza i pregiudizi vigenti: meno donne da invitare, meno ricercatrici, meno donne a frequentare le accademie”.
Dallo studio USA è emerso che su 781 relatori presenti nei vari congressi, solo 88 (l’11.3%) rientrava tra le “quote rosa”. Oltre a questo, è necessario anche porre l’accento su come questa tendenza sia rimasta sostanzialmente stabile nel corso degli ultimi anni, relegando le donne a un ruolo quasi “da comparsa”.
“I numeri, però, stanno cambiando”, dice il presidente Micarelli. “E una delle grandi responsabilità che spettano alle donne che riescono a raggiungere ruoli di vertice è quella di essere da esempio per tutte le colleghe, soprattutto per le più giovani, e far trovare loro una strada già aperta, abbattendo i pregiudizi con coraggio e con capacità professionali e scientifiche che non conoscono genere”.
Una rivendicazione di genere, chiediamo?
“No, una semplice necessità. Se le accademie vogliono essere vicine alla professione e soddisfarne i bisogni formativi devono riflettere la realtà della professione stessa, dove la parità di genere è stata ormai quasi numericamente raggiunta”.
In SIPRO su 108 soci fondatori 14 sono donne, ci dice. “Nella prima riunione ho ricordato a tutti i soci fondatori che abbiamo la responsabilità di portare il valore aggiunto della presenza femminile nella Società, e di fare in modo che sempre più ragazze si accostino alla disciplina protesica e trovino la voglia e la determinazione di dedicare parte del loro tempo alla vita associativa, alla ricerca e all’insegnamento per diffondere scienza e prassi. In ultima analisi dobbiamo ricordare che salire su un podio non è un onore o un regalo al proprio ego, ma il modo per trasmettere conoscenze ed esperienze che siano utili ai colleghi e migliorino le prestazioni professionali, con generosità e onestà...che le donne posseggono sicuramente ‘almeno’ quanto gli uomini”.
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