Nel far entrare i servizi sanitari nella tipologia "mercato" (scelta che riteniamo sbagliata alla radice, non essendo mai accettabile che il "bene salute" possa essere assimilato ad un qualsiasi altro "bene" né che sul "bene salute" si possa fare commercio), non si è tenuto conto della particolarità degli stessi e, quindi, ai servizi sanitari vengono applicate le stesse regole del commercio dei telefonini o dei capi di abbigliamento.
Se l'obiettivo dei servizi sanitari è quello di rendere reale e possibile l'affermazione di principio dell'art. 32 della Costituzione (La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività.....), allora i sistemi di controllo del mercato si dimostrano inadeguati all'obbiettivo. Le regole ci sarebbero, sono i sistemi di controllo che sono inadeguati.
La pubblicità, tutti dicono, è l'anima del commercio e le regole sulla pubblicità sono chiare, condivise e condivisibili: la pubblicità deve essere funzionale all'oggetto, veritiera e corretta, non deve violare il segreto professionale e non deve essere equivoca, ingannevole o denigratoria.
Nonostante la chiarezza delle regole, l'ambito particolare (i servizi sanitari) di applicazione delle stesse rende il controllore, l'AGCM, inadeguato all'obiettivo; infatti giurisprudenza (Suprema Corte di Cassazione) impone di valutare la "veridicità, correttezza, non equivocità o ingannevolezza" alla luce della veridicità sul piano scientifico di quanto propagandato nella pubblicità: di tutta evidenza l'incapacità "intrinseca" dell'AGCM a valutare le "affermazioni scientifiche" in campo sanitario.
Ciò ha portato a diversi "paradossi", ad esempio un sanitario che propagandava di aver scoperto una nuova cura per patologie tumorali e per la falsità dei suoi comportamenti veniva radiato dall'Ordine nel maggio 2002, mentre il provvedimento, che proibiva la pubblicità di tale "metodica", veniva emanato nel novembre 2010.
Ma i pazienti tratti in inganno dal maggio 2002 al novembre 2010? Chi ha tutelato il "loro diritto fondamentale" della salute?
Inoltre bisogna ben tener presente che quando un "consumatore" si rivolge al "mercato dei servizi sanitari" non soddisfa un desiderio, ma fa fronte ad una necessità: quella di ristabilire la propria salute o, se del caso, di salvaguardare la sua stessa vita; e che nel campo "dei servizi sanitari" si raggiunge il livello massimo di «asimmetria dell'informazione» tra il prestatore dei servizi e il beneficiario della prestazione (secondo l'espressione utilizzata dalla Commissione Europea nella relazione sulla concorrenza nei servizi professionali). Ciò significa che il prestatore dispone, nel proprio settore di attività, di un livello di competenza nettamente superiore a quello del beneficiario, sicché quest'ultimo non è in grado di valutare effettivamente la qualità del servizio che acquista.
Questi due semplici aspetti già da soli dovrebbero portare a considerare indispensabile "un regime speciale" per il "mercato dei servizi sanitari"!
Allora noi proponiamo, se l'obiettivo di tutelare la salute dei cittadini è, realmente, prioritario rispetto all'interesse economico di qualcuno, di "fare sistema" integrando e mettendo sotto la direzione delle massime Autorità sanitarie (il Sindaco, a livello comunale, e il Ministro della Salute, a livello centrale) tutte le competenze esistenti; e quindi prevedere, per il "mercato dei servizi sanitari" un regime speciale per il quale qualunque soggetto intenda fare "pubblicità in materia sanitaria" debba presentare domanda, almeno 30 giorni prima, alle Autorità sanitarie sopra indicate che, nel termine perentorio di 30 giorni (acquisito il parere dell'Ordine dei medici provinciale, per i Sindaci e della Federazione nazionale degli ordini dei medici, per il Ministero della Salute) devono rispondere motivando la loro, eventuale, negazione al consenso ad effettuare quella specifica pubblicità.
Sandro Sanvenero, Segretario FNOMCeO - CAO
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