Al di là delle regole e dei pareri, l’odontoiatra che vuole promuovere il proprio studio deve fare i conti con il Codice deontologico e, quindi, con l’Albo. Spesso i presidenti Omceo, nel valutare il singolo caso, adottano decisioni che sembrano diverse.
Con Valerio Brucoli, presidente dell’Albo degli odontoiatri di Milano e componente della Cao nazionale, abbiamo cercato di capire come opera sul campo chi è preposto a vigilare sul rispetto del Codice deontologico.
Presidente, in che modo un dentista può pubblicizzare il proprio studio senza rischiare di essere sanzionato dall’Ordine?
In campo sanitario più che di pubblicità si parla di informazione. Nello specifico il Codice deontologico parla di pubblicizzazione dell’informazione: questo significa che ciò che si può divulgare è l’informazione. La differenza tra pubblicità e informazione sta nella completezza della notizia: nella pubblicità si tende a evidenziare il punto di forza di un servizio, nell’informazione si fornisce il quadro completo. Che è esattamente ciò che si chiede di illustrare al paziente perché possa esercitare la propria, consapevole, libera scelta.
Non pensa che invocare genericamente il rispetto del decoro professionale lasci ai presidenti di Ordine libertà d’interpreta-zione? O meglio, non vi è il rischio che le decisioni dei singoli Omeco non siano univoche?
Attenzione: le regole deontologiche non sono un impedimento, ma una protezione per il professionista che crede in una medicina basata su un esercizio in scienza e coscienza - d’altra parte preponderante presupposto del rapporto di fiducia. Il fatto che la coscienza, la fiducia, la dignità, il decoro non siano elementi misurabili non significa che non esistano; anzi, sono la base del rapporto umano. In un giudizio di merito, gli elementi da considerare sono tanti e l’impressione può essere quella di decisioni non univoche: pensiamo alla sensibilità verso certe forme pubblicitarie, che può essere diversa da popolazione a popolazione; oppure ai diversi riferimenti dati dalle norme giuridiche o da quelle deontologiche. Ma, al di là delle interpretazioni più o meno univoche degli Ordini (tenendo conto però che i principi sono uguali per tutti), sono convinto che i medici sappiano cosa si possa o non si possa fare e che i problemi sorgano quando il campo si allarga e si cercano scorciatoie.
Un esempio è la sempre maggiore diffusione di società in cui le decisioni sono prese dai responsabili legali.
Molti sono convinti che la legge sia più permissiva del Codice deontologico. È realmente cosi?
Sono due cose diverse: aspetti che sono importanti per l’una, possono non esserlo per l’altro e viceversa. In questo momento direi che le norme giuridiche non sono “più permissive”, ma semplicemente “più confuse”.
La dimostrazione è data da proposte di legge di segno completamente opposto depositate in parlamento. Una conferma dello scontro nella nostra società tra due modelli di sviluppo differenti: da una parte quello aziendalistico/commerciale e dall’altra quello etico.
Però la normativa, e anche l’Antitrust, consentono di pubblicizzare le tariffe; voi, invece, da questo punto di vista, siete più intransigenti.
Noi non vietiamo di comunicare le tariffe, se queste sono contestualizzate nell’informazione generale: le tariffe prese da sole sono pubblicità, se unite al servizio diventano informazione. La stessa legge Bersani parla di liberalizzazione, nella pubblicità informativa, di tariffe e servizi, non di una o dell’altra.
In media, nell’attività del suo Ordine che peso hanno le questioni sulla pubblicità degli studi odontoiatrici?
Dopo l’abusivismo è una delle tematiche che più impegna gli Ordini. Anche perché dal punto di vista del principio è fondamentale, perché sul tema pubblicità, che non a caso è definita l’anima del commercio, si gioca la sopravvivenza delle professioni intellettuali - inquadrate però in un modello deontologico, e non mercantile.
Come presidente di uno dei più importanti Albi degli odontoiatri d’Italia, ci dice come vi comportate nel verificare i messaggi pubblicitari dei singoli iscritti?
Noi verifichiamo la sostanza del messaggio. Nostro obiettivo prioritario non è certo la perfetta adesione alla formalità, che molte volte cela poca deontologia. Devo dire che la gran parte dei colleghi richiamati dall’Ordine comprende lo spirito dei nostri interventi e si adegua convinto.
Anche se non è più obbligatorio richiedere l’auto-rizzazione, offrite comunque un servizio di consulenza per verificare preventivamente il messaggio del singolo iscritto?
Certo, c’è un ufficio pubblicità a disposizione dei colleghi: consiglio sempre di farsi aiutare, perché alcune volte la valutazione è complessa, dal momento che deve considerare l’effetto di contenuti, forma e mezzi presi nel loro insieme. Non bisogna dimenticare che la questione pubblicità è strettamente connessa ad altri articoli del codice, come per esempio quello sul rapporto tra colleghi.
Si sta nuovamente parlando di liberalizzazioni e ridimensionamento del ruolo degli Ordini professionali. Quale è il suo punto di vista?
Penso che lo scontro tra il modello di sviluppo aziendalistico/commerciale e quello etico stia arrivando al dunque e che sia diventato necessario trovare una soluzione: la crisi iniziata due anni fa ha dimostrato che senza etica non si può andare avanti e tutti erano d’accordo sulla ristrutturazione del sistema, compreso qualcuno che quella crisi l’aveva provocata, usando spregiudicatamente le leggi del libero mercato. Di quel periodo è la proposta di legge Alfano sulla riforma delle professioni, in cui si riaffermava la centralità dei valori umani rispetto all’economia. Il tempo è passato, quel qualcuno si è salvato con poco o nessun danno e perché adesso dovrebbe volere il cambiamento? Per ragioni etiche? Perché altri soffrono?
Le leggi del libero mercato prevedono la liberalizzazione totale e non l’etica, e in quella direzione quel qualcuno spinge, come provano le direttive europee degli ultimi mesi. Non so come andrà a finire, posso solo dirle che ci batteremo fino in fondo.
Leggi gli altri articoli dell'inchiesta del Gdo sulla promozione dello studio e la pubblicità:
GDO 2011;9
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di Prof.ssa Gianna Maria Nardi