Quello più grande e pensare ad una discontinuità tra chi vende e chi subentra mentre deve essere un passaggio di consegne pensato e programmato nel tempo. I consigli di Moyra Girelli
In una professione che vede la maggioranza dei titolari di studio con più di 55 anni e gli over 65 oltre il 30%, è intuibile come nei prossimi anni molti titolari di studi tenteranno di cedere la propria attività. Ma se trovare chi possa rilevare un’azienda, un ristorante, un negozio non è cosa semplice, ancora più difficile è pensare di cedere uno studio odontoiatrico, dove il valore reale non è dato dall’attrezzature presenti, ma dal rapporto dentista paziente che si è cementato negli anni.
“Se si pensa di vendere lo studio come si vende un’automobile o un alloggio credo si rimarrà molto delusi”, dice ad Odontoiatria33 Moyra Girelli (nella foto), formatrice, coach strategica, business designer, founder di aula41 e uno dei relatori del corso FAD ECM EDRA proprio sul passaggio generazionale.
“Pensare di vendere è il primo errore che si può fare, anche se quello ovviamente è l’obiettivo”, dice Moyra Girelli. “Non si deve pensare alla cessione dello studio come un momento di discontinuità, esco io entra l’acquirente, la fine di un’era e inizio di una successiva. Affinché abbia successo e sia garanzia di sopravvivenza e prosperità per il proprio studio dentistico, invece, l’operazione deve essere vissuta come un vero e proprio passaggio generazionale, quindi pensato, programmato e vissuto come un momento di continuità, di integrazione tra tradizione e innovazione, di dialogo e sinergia intergenerazionale”.
Quindi il primo scoglio da superare, soprattutto per chi è stato abituato per oltre 40 anni ad essere “il titolare” è quello del rapporto con chi subentrerà.
“Solo se tutte la parti coinvolti daranno il meglio di sé, coniugando storia ed esperienza a cambiamento e innovazione –dice l’esperta- lo studio sarà in grado di affrontare meglio l’incertezza del futuro e di adattarsi più rapidamente e più efficacemente alle turbolenze del mercato”.
“Poi servirà”, continua Moyra Girelli, “rivedere il modello di business e l’organizzazione perché quello tradizionale, che pur ha funzionato per lunghi decenni, oggi magari non è più adatto a rispondere alle complesse e sempre mutevoli richieste dei pazienti. E non si tratta solo delle prestazioni odontoiatriche, sempre più specialistiche, occorre ragionare anche in termini organizzativi, di comunicazione e di strategia di sviluppo”.
Poi c’è il fattore tempo.Il “passaggio” non può essere immediato, consumarsi in pochi giorni e neppure in pochi mesi, soprattutto dal punto di vista del far diventare “di casa” agli occhi del paziente l’odontoiatra che vi sostituirà.
“Il passaggio generazionale è un processo delicato e complesso, che necessita di almeno 3/5 anni per essere pianificato e realizzato con cura, in tutti i suoi aspetti operativi: definizione degli obiettivi, selezione e formazione dei successori, valutazione dello studio, scelta e realizzazione della forma di aggregazione più indicata, affiancamento e uscita del dentista senior”. Ma se non si ha a disposizione tutto questo tempo?“Si può partire analizzando la situazione attuale, si definiscono gli obiettivi e si costruiscono le strategie più funzionali allo scopo.
Del resto, se c’è un problema, c’è una soluzione”, tranquillizza Girelli, indicando 7 sette errori che i dentisti compiono, più o meno consapevolmente, quando arriva il momento di pianificare il passaggio generazionale:
1) Non preoccuparsi del fenomeno, quasi che non li riguardasse, cosa che li porta a occuparsene, in tutta fretta, alla soglia della pensione.
2) Pensare che sia un evento, che accade una sola volta nella vita, e che, come tale, non necessiti di adeguata pianificazione.
3) Ritenerlo un fatto naturale, che accadrà quando sarà il momento, in modo fisiologico e spontaneo, soprattutto se si hanno figli e figlie che hanno seguito le orme genitoriali.
4) Considerare il passaggio solo nei suoi aspetti economico-finanziari e societari, trascurando completamente il portato emotivo della transizione.
5) Avere la “sindrome di Dolly”, ovvero cercare nei successori, siano essi eredi naturali o collaboratrici e collaboratori, dei cloni di sé stessi, con la stessa identica visione e filosofia della professione, con gli stessi identici metodi, con lo stesso identico approccio alle cure, ai pazienti e al gruppo di lavoro.
6) Credere che i giovani abbiano o debbano avere gli stessi valori dei dentisti senior, primo fra tutti l’abnegazione per il lavoro, senza tener conto che le generazioni si distinguono le une dalle altre proprio per differenti sistemi di valori, un DNA generazionale specifico per ogni generazione.
7) Fare stonewalling, letteralmente costruire un muro di pietra intorno ai propri dati, protocolli e strategie di gestione, per proteggere tutto ciò che si è costruito, temendo che la condivisione e la trasparenza possano accelerare quel processo di cambiamento che tanto si teme.
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