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09 Febbraio 2016

Ddl concorrenza. Le Catene agitano i fantasmi del protezionismo, ANDI invoca comune rispetto di deontologia ed etica per liberi professionisti e società


Si fa sempre più duro lo scontro tra le Catene odontoiatriche e l'ANDI cominciato due settimana fa dopo la presentazione al Ddl Concorrenza di alcuni emendamenti che imporrebbero agli studi odontoiatrici organizzati in società di capitale di avere almeno i 2/3 dei soci iscritti all'Albo degli odontoiatri. Di fatto come funziona per le Società tra Professionisti.

Questa mattina, martedì 9 febbraio, sui principali quotidiani italiani (Corriere della Sera, La Repubblica, Il Sole 24 Ore, Il Messaggero) è comparsa una nota a firma di alcune catene odontoiatriche in cui viene chiesto ai Senatori di non approvare quegli emendamenti.

Le posizioni in campo sono oramai note: da una parte le Catene sostengono che gli emendamenti mirano "in realtà a far fuori dal mercato i principali concorrenti, che offrono servizi altamente qualificati, accessibilità alle cure, oltre che tariffe trasparenti e più ragionevoli di quelle proposte da molti studi dentistici".

Dall'altra l'ANDI che sostiene che "la nostra è la sacrosanta battaglia per garantire al cittadino di continuare ad avere un odontoiatra che lo cura facendosi carico dei suoi problemi, seguendolo nel tempo, mantenendo quel fondamentale rapporto di fiducia che deve essere sempre alla base della relazione medico-paziente".

Per motivare il "chiaro tentativo di eliminare dal settore le società di capitali", le Catene ritengono che il vincolo dell'ingresso in CdA degli iscritti all'Albo: "non ha nessun fondamento di tutela della salute pubblica: ogni centro dentistico in forma societaria è già governato dal Direttore Sanitario e vi operano solo medici odontoiatri iscritti all'Ordine; non ha nessun fondamento economico: in nessun altro campo della salute, infatti, esiste un simile obbligo che imponga una soglia minima di medici soci (si pensi agli ospedali privati, alle cliniche o ai centri diagnostici); è palesemente contrario ai basilari principi della libera concorrenza".

Ovviamente di parere opposto ANDI che ricorda come "gli emendamenti proposti dall'Associazione hanno l'obiettivo di estendere le stesse tutele che i cittadini hanno rivolgendosi ai dentisti liberi professionisti anche a quelli che si rivolgono ai centri odontoiatrici organizzati in società di capitale ed in particolare alle "Catene" dove nella maggior parte dei casi la maggioranza societaria, quindi coloro che possono prendere le decisioni, è in mano alla finanza ed il direttore sanitario non può opporsi, se non licenziandosi, se non è d'accordo con le decisioni prese. E questo viene confermato, ricorda ANDI, dalla stesse Catene che nella nota diffusa attraverso la pagina pubblicitaria pubblicata sui quotidiani che sono i soci di capitale a gestire le strutture odontoiatriche.

Volendo sintetizzare:

  • Le Catene odontoiatriche invocano il diritto d'impresa, la "possibilità dei soci di capitale di costituire e gestire strutture odontoiatriche", sostenendo che gli emendamenti impediscono la libera concorrenza.
  • ANDI chiede che a prendere le decisioni, e quindi ad essere responsabili, nelle società odontoiatriche siano gli iscritti all'Albo degli odontoiatri in modo che valgano le stesse tutele per i pazienti che si rivolgono ad una società o ad un libero professionista, studio associato o StP. "E' proprio per difendere quella tanto invocata libera concorrenza -scrive ANDI- che noi chiediamo l'approvazione di quegli emendamenti. La libera concorrenza si basa su regole uguali, sull'abolizione dei privilegi".

Quindi una battaglia per il rispetto della deontologia medica e dell'etica a discapito della mercificazione della professione medica.

Una battaglia, quindi, su temi ordinistici della quale, fino ad ora, la FNOMCeO e la CAO sono, stranamente, stati solamente spettatori.

Norberto Maccagno

A questo link la nota delle Catene odontoiatriche

A questo link la posizione di ANDI

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