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22 Settembre 2017

L'etica dell'imprenditore e del dentista sono differenti? Se lo chiede il dott. Mele commentando l'intervista del presidente Renzo


Egr. Direttore,

ho letto con molta attenzione la sua intervista al dottor Renzo, Presidente della CAO Nazionale. A mio avviso, al di là di alcuni concetti ovviamente condivisibili, due passaggi meritano particolare attenzione, e qualche osservazione. Innanzitutto direi che non bisogna dare l'impressione che solo noi liberi professionisti titolari di studio (ed io sono uno di questi) si lavori bene e ci si comporti eticamente in modo corretto, quasi che noi si sia "in missione per conto di Dio" e gli altri vedano in questa bellissima professione solo una facile scorciatoia per lauti guadagni. Non sarebbe onesto nei confronti dei colleghi che lavorano in realtà di grandi dimensioni, sia che si tratti di colleghi già esperti, sia che si tratti di giovani colleghi i quali, ricordo, vengono da un percorso di studi ben più specifico e professionalizzante quale la laurea in Odontoiatria, che ai tempi della maggior parte di noi non ancora esisteva. Sono certamente situazioni che vanno seguite e monitorate con attenzione estrema, a partire dalla "eticità" della loro retribuzione, ma non demonizzate "a prescindere". Io per primo pavento il rischio di un decadimento della qualità, ma da qui a darlo per certo ce ne corre.

E forse anche gli imprenditori hanno un'anima ed un'etica. Dopotutto ormai da tempo anche a noi viene detto di comportarci da ''imprenditori di noi stessi''.
Inoltre, a fronte di casi negativi come quello citato che ha riguardato un Direttore sanitario, sicuramente ce ne sono altri che vedono responsabili colleghi con studi monoprofessionali. Lo stesso dicasi per la pubblicità.
Infine, in un recentissimo passato anch'io mi sono lamentato del '' non fare'', ma anche il troppo voler fare può avere risvolti elettoralistici inconfessabili.

La seconda questione, che ancor più mi preoccupa, è quella evidenziata nel passaggio in cui leggo '' ... Le strutture di capitali (non sono cliniche) andrebbero chiuse e sospese le autorizzazioni dagli organismi deputati; in questi casi compete alle regioni...''. Beh, non sarà una guerra, ma le somiglia molto!

E poi, siamo veramente consapevoli di quello che, così facendo, concediamo alla pubblica amministrazione, cioè l'autorità di negare a qualcuno l'esercizio della professione?

Abbiamo ceduto già buona parte della nostra autonomia libero professionale con un atteggiamento superficiale, distratto e pavido sull'autorizzazione sanitaria. Per fortuna la P.A. non poteva negarcela, anche quando ci chiedeva cose assurde come il certificato antimafia, e quelle volte che ci ha provato ha perso nei tribunali della penisola. Vogliamo veramente mettere in mano alla burocrazia italica questa arma finale? Quanto siamo veramente disposti a rischiare il margine di autonomia che ancora ci rimane, sapendo che le stesse restrizioni potrebbero poi essere applicate anche a noi?

E vogliamo dare questa facoltà proprio alle Regioni che si sono dimostrate sempre irragionevoli, spesso inaffidabili, talvolta livorose nei nostri confronti?
Invece che inventarci nuove formule ostruzionistiche nei confronti delle Società, non è forse il caso di ritornare competitivi riappropriandoci della nostra autonomia e libertà operativa che, paradossalmente, la legge ancora ci concede e molti di noi non lo sanno o se lo sono dimenticato?

Dottor Renato Mele: Vice Presidente ANDI Toscana. Rappresentante toscano nella Consulta della libera professione

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