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15 Settembre 2007

In tema di sostituti ossei e fattori di crescita

di Marcella De Meglio


Da oltre 20 anni il laboratorio di istologia implantare e biomateriali dell’Università di Chieti-Pescara si testano la biocompatibilità di diversi sostituti ossei sintetici o naturali, l’angiogenesi, le capacità rigenerative e il rimodellamento.
Abbiamo rivolto ad Adriano Piattelli, docente di patologia odontostomatologica all'Università di Chieti, e a Danilo di Stefano, professore presso l'Istituto scientifico San Raffaele di Milano, qualche domanda sugli ultimi sviluppi delle loro ricerche.

Dottor Di Stefano, qual è il motivo del vostro attuale interesse per i sostituti ossei e per i fattori di crescita?
Spesso ci troviamo a dover eseguire interventi di ricostruzione dei volumi ossei mascellari che ci permettano l’inserimento di impianti in modo protesicamente guidato. Il sostituto osseo per eccellenza è l’osso autologo, che non solo è perfettamente biocompatibile e fornisce sostegno meccanico al network vasale che invade il sito innestato, ma soprattutto stimola la rigenerazione ossea grazie agli elementi cellulari e ai fattori di crescita in esso contenuti. Purtroppo le sedi di prelievo intraorali forniscono una quantità relativamente ridotta di tessuto, mentre quelle extraorali necessitano di interventi di chirurgia maggiore, che comportano di conseguenza un costo biologico più elevato. Inoltre, l’apertura di un secondo sito chirurgico, oltre a essere invisa al paziente, comporta un significativo incremento della morbilità. La possibilità di diminuire i prelievi di osso autologo pur ottenendo risultati altrettanto validi stimola da molti anni verso la ricerca di biomateriali e sostituti ossei in grado di assolvere questo compito.

Professor Piattelli, quali ricerche state conducendo al momento?
Al momento stiamo analizzando il comportamento biologico di alcuni sostituti ossei di origine bovina, equina e suina.
Due sono le linee di ricerca che stiamo valutando: le potenzialità neoangiogenetiche e il riassorbimento osteoclastico di tali materiali. Per quanto riguarda la neoangiogenesi, valutiamo se questi materiali sono in grado di creare un’ambiente favorevole alla formazione di nuovi vasi sanguigni, fenomeno che riveste un ruolo fondamentale sia per le potenzialità rigenerative sia per la sopravvivenza a lungo termine dell’innesto stesso, confermando inoltre la sua biocompatibilità.
Per quanto riguarda il riassorbimento, i risultati che abbiamo sono ancora molto preliminari. In parte sono stati realizzati presso il Bone and Mineral Centre, Ucl, di Londra dalla dottoressa Vittoria Perrotti.

Dottor Di Stefano, su che cosa si orientano ora i vostri studi?
Oltre a un work in progress per raccogliere una casistica clinica significativa sul comportamento di questi sostituti ossei ottenuti per deantigenazione enzimatica, stiamo ora valutando l’efficacia clinica di alcune matrici ossee demineralizzate equine, deantigenate con la stessa metodica enzimatica, ma in modo selettivo. La metodica di deantigenazione enzimatica, infatti, se applicata selettivamente permette di preservare all’interno del collagene osseo di tipo I fattori di crescita teoricamente in grado di stimolare biologicamente la rigenerazione ossea. Se questo fosse confermato, si potrebbe utilizzare un additivo ai sostituti ossei tradizionali, in grado di dotarli di quella “marcia in più” che li avvicinerebbe - almeno in parte - all’efficacia clinica dell’osso autologo.

GdO 2007; 12

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