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05 Luglio 2010

Patologie dell’orecchio medio: tra le cause i parametri occlusali

di Cosma Capobianco


Per sconsigliare l’uso del succhiotto nei bambini c’è ora un motivo in più: oltre a favorire l’insorgenza di alcune malocclusioni, questa abitudine può aumentare il rischio di otite media. Il fatto non è una novità, dato che le prime evidenze incominciarono ad accumularsi più di una decina di anni fa, ma adesso la raccomandazione rientra nell’elenco dell’American Academy of Pediatrics e prevede di “disabituare i bambini all’uso del succhiotto a partire dal sesto mese di vita per prevenire l’otite media”.
Si tratta di una delle patologie più frequenti tra quelle diagnosticate in età infantile, responsabile di numerose prescrizioni di antibiotico e notti insonni per i piccoli pazienti e i loro genitori.
Di particolare interesse per l’odontoiatra è il fatto che tra i fattori di rischio attualmente noti ce ne sono alcuni che riguardano i parametri occlusali.
L’otite media è provocata dalla flogosi del rivestimento mucoperiostale dell’orecchio medio di cui fa parte la tromba di Eustachio. Questo piccolo canale collega la cavità del timpano con il rinofaringe e, grazie all’azione del muscolo tensore del velo palatino, rende possibile lo scambio di gas tra orecchio medio e faringe, permettendo di eguagliare il livello di pressione nei due spazi anatomici e nelle cellule mastoidee. In questo modo, inoltre, può avvenire il drenaggio delle secrezioni e l’orecchio medio rimane protetto dall’ambiente faringeo. Il canale è normalmente chiuso in posizione di riposo, proteggendo l’orecchio medio dagli sbalzi di pressione che si verificano con le varie funzioni fisiologiche.
Nelle disfunzioni della tromba di Eustachio (Dte) vengono ostacolati lo scambio di gas e il livellamento della pressione e può verificarsi il passaggio di microrganismi. Questi, a loro volta, possono causare infezioni che tendono facilmente a recidivare, soprattutto nei primissimi anni di vita (l’incidenza di otite media tocca picchi del 70% nei primi 12 mesi). Inoltre, l’aria intrappolata nell’orecchio medio aumenta la concavità della membrana timpanica riducendo progressivamente la funzione uditiva.
Alla base delle Dte e dell’otite media vengono generalmente indicati tra i fattori favorenti alcune caratteristiche anatomiche (variazioni di
angolazione, larghezza e lunghezza delle trombe), specialmente in riferimento all’età infantile, ma nel corso del tempo si sono accumulate molte prove dell’importanza dei fattori neuromuscolari e ortognatodontici.
Risalgono agli anni Settanta le prime osservazioni sull’associazione tra Dte e difetti del mascellare superiore, in particolare la palatoschisi. Attualmente si dispone di evidenze sulla connessione con una serie di parametri, quali l’altezza della volta palatina, le dimensioni del rinofaringe e il morso incrociato. Altri autori hanno indagato l’effetto del trattamento ortodontico sulla Dte e sui disturbi correlati come l’ipoacusia di conduzione, che colpisce tipicamente i suoni con bassa frequenza.
Il morso profondo dentale (deep bite) è stato associato alla Dte, ma potrebbe trattarsi di una semplice coincidenza, mentre l’associazione con il morso incrociato è molto più sostanziosa. Il morso profondo, infatti, è spesso presente nelle malocclusioni di II classe dento-scheletrica, anomalia ortognatodontica in cui le dimensioni rinofaringeee sono inferiori al normale: proprio questa particolarità anatomica - e non la malocclusione -potrebbe spiegare l’associazione con la Dte e l’otite media, poiché si è visto che nei bambini con otite media ricorrente le dimensioni rinofaringee sono minori.
La correlazione con le dimensioni del rinofaringe fu dimostrata inizialmente con l’esame teleradiografico, individuando nella distanza tra spina nasale posteriore e linea sella-basion il fattore di rischio più significativo e dotato del più alto valore predittivo. Più recentemente, tale correlazione è stata confermata con l’uso della risonanza magnetica, che ha rilevato una riduzione media di 2,2 mm delle dimensioni del rinofaringe nei bambini che avevano sofferto di otite media nel periodo di durata della ricerca (un anno). Il motivo potrebbe risiedere nella diversa disposizione del tensore del velo palatino e dell’uncino pterigoideo intorno al quale si avvolge; tale differenza si ripercuoterebbe in un diverso orientamento della forza esercitata sull’ostio tubarico e in una minore efficienza del sistema di chiusura.
Molto più chiara, invece, è l’associazione tra Dte e morso incrociato; tra le più recenti conferme c’è uno studio giapponese pubblicato pochi mesi fa (Nagata A Evaluation of middle ear function in primary dentition children with posterior cross bite. Pediat Dent J 19(1): 58-67, 2009). L’autore ha esaminato un campione di bambini con morso incrociato posteriore monolaterale (età media 5,3 anni) e lo ha confrontato con un campione di bambini con occlusione regolare della stessa età. Tutti i soggetti sono stati sottoposti a timpanogramma (noto anche come impedenzometria), esame che misura la resistenza opposta dall’orecchio medio al passaggio dell’onda sonora e che fornisce informazioni anche sulla mobilità della membrana timpanica e sulla qualità dell’udito. È opportuno ricordare che per la regolare conduzione dell’onda sonora è molto importante che la membrana timpanica conservi la sua curvatura (mentre nell’ipoacusia la sua concavità aumenta) e che la catena degli ossicini sia libera di vibrare.
Il campione con cross bite mostrava, come prevedibile, una minore larghezza palatale, specialmente a livello dei primi molari decidui, e una differenza statisticamente significativa in alcuni parametri dell’esame impedenzometrico che risultavano anomali. Inoltre, nel gruppo cross bite i risultati erano notevolmente diversi tra un orecchio e l’altro, anche se i soggetti erano asintomatici. Non sono state invece riscontrate correlazioni con l’ampiezza della laterodeviazione mandibolare.
Tuttavia, considerando i noti effetti che questa caratteristica ha sull’articolazione temporomandibolare, non si può escludere che si producano alterazioni neuromuscolari in grado di influire negativamente sulla funzione dell’orecchio medio, come suggeriscono i risultati di altri autori che hanno sottoposto a timpanometria gruppi di pazienti con disfunzioni temporomandibolari.
A questo proposito è bene ricordare che i muscoli masticatori e il tensore del velo palatino condividono la medesima origine branchiale e la medesima innervazione. Pertanto, una disfunzione dei muscoli masticatori (come uno stato di ipertonia) potrebbe ripercuotersi anche sul tensore del velo palatino alterando la funzione della tromba di Eustachio.
Questo stesso muscolo potrebbe spiegare i benefici effetti del disgiuntore palatino nei pazienti con Dte. Sono ben noti gli effetti ortognatodontici della disgiunzione rapida del palato, procedura sicura e prevedibile, ma non altrettanto lo sono le sue conseguenze sulla funzione delle trombe di Eustachio. L’uso del disgiuntore diminuisce la resistenza delle vie nasali al passaggio dell’aria, riduce l’altezza palatina e rende il setto nasale più rettilineo. Sulle cavità nasali, nel complesso, l’effetto di questa procedura comporta un aumento del volume di circa il 10%, come confermano ricerche eseguite con tecniche di tomografia e ricostruzione tridimensionale
Il muscolo tensore del velo palatino mantiene chiusa la tromba che, altrimenti, si aprirebbe a causa della pressione negativa al suo interno. L’apertura della sutura palatina mediana sotto la spinta della vite ortodontica metterebbe in tensione il tensore del velo palatino che a sua volta tende ad aprire la tromba di Eustachio. A questo benefico effetto concorrerrebbero pure le modifiche dei tessuti molli palatali e faringei. Il risultato finale è il bilanciamento fisiologico della pressione tra i due spazi anatomici che permette alla membrana timpanica e alla catena degli ossicini di funzionare fisiologicamente.
In base a queste premesse diversi gruppi di ricerca, tra cui alcuni italiani, hanno sperimentato l’uso del disgiuntore palatino nei soggetti con Dte. L’idea, per la verità, non è nuova, dato che il primo caso riportato in letteratura risale al 1981. Una delle ultime pubblicazioni in merito giunge dal dipartimento di Otorinolaringoiatria dell’università di Chieti (De Stefano A et al. Management of recurrent otitis media with rapid maxillary expansion: our experience. B – ENT 2009; 51(1): 13-7). L’esperienza clinica degli autori dimostra che la Dte e i disturbi associati dell’udito non necessariamente migliorano con l’adenoide­ctomia e altri trattamenti chirurgici. Per questo hanno usato la disgiunzione rapida del palato in 27 bambini (età media 7 anni) con otite media ricorrente e ipertrofia adenoidea. I loro risultati positivi confermano quelli già disponibili in letteratura. Nelle conclusioni gli studiosi scrivono che l’espansio­ne rapida del palato può essere considerato un valido trattamento per prevenire l’otite media ricorrente in bambini con alterazioni anatomiche del mascellare superiore.

GdO 2010;7

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