L’acquisizione di Vitaldent da parte di DentalPro non può che essere considerata sotto l’unico punto di vista possibile: la finanza.
Da una parte il fondo JB Capital proprietario del gruppo Vitaldent che, dopo le cliniche spagnole, ha deciso di vendere anche quelle italiane; dall’altra il fondo BC Partners, maggiore azionista di DentalPro, che ha visto nell’acquisto un’opportunità. Indubbiamente molti di voi grideranno allo scandalo visto che le logiche che hanno guidato l’acquisizione si basano non certo sulla qualità delle cure rese (certo anche) ma soprattutto sulla possibilità di ritorni del capitale investito.
JB Capital aveva acquisito il Gruppo Vitaldent dopo la vicenda giudiziaria del 2016 e rivenduto quasi 5 anni dopo. Non sapendo a quanto avevano comprato, e a quanto hanno venduto e nel mentre quanti soldi hanno eventualmente investito per la gestione, non possiamo dire se l’operazione finanziaria è stata positiva o negativa per JB Capital. Sarà una delle cose che chiederò a Michael Cohen, AD di DentalPro che intervisterò nei prossimi giorni.
E le cure fatte ai pazienti dove si collocano?
Anche queste nel bilancio, alla voce “Ricavi delle vendite e delle prestazioni”. Che poi è la stessa voce dove si collocano gli incassi di una Srl gestita da soli odontoiatri.
Logiche finanziarie che non sempre considerano quanti pazienti vengono curati in un anno e che tipo di cure vengono eseguite e come. Anche se gli incassi dipendono da questo, e quindi se ci sono vuole dire che i pazienti apprezzano. E spesso non viene neppure considerato quello che nel gergo si chiama “progetto industriale”, termine che certo stride quando il fine è curare le persone, ma che si dovrebbe realizzare anche se si intende attivare una Stp odontoiatrica.
Considerazioni che valgono anche per le acquisizioni precedenti come quella annunciata nelle settimane precedenti tra Colosseum Dental Group e Odontosalute, o qualche anno fa tra Primo Group e Caredent, ancora le precedenti fatte sempre da DentalPro.
Sono sicuro che in realtà, il dentista tradizionale che vede nelle Catene il suo più acerrimo concorrente vorrebbe sapere: ma i Fondi che investono, ci guadagnano o perdono?
E’ sempre molto difficile da capire, anche perché oltre agli incassi entrano anche in gioco logiche di opportunità. Neppure guardando i bilanci si capisce con certezza quanto ci perdono o guadagnano, ma questo vale per i bilanci di qualsiasi società in qualsiasi settore, perchè tra le voci importanti da tenere sotto controllo c’è anche la “fiscalità”.
Per quelli legati alle Catene c’è poi anche la composizione societaria da valutare: solitamente c’è una holding che gestisce altre Srl, i singoli studi odontoiatrici.
Guardando il bilancio della DP Group spa (la holding che gestisce le varie Srl degli studi sotto l’insegna DentalPro), nel 2018 aveva registrato una perdita di circa 18 milioni di euro, 2 milioni circa in più dell’anno precedente. Dal bilancio si apprende che DentalPro nel 2018 ha acquisito la Doctor Dentis srl, ha costituito una società in Polonia e acquisito quote di una società che gestisce 3 cliniche in Germania.
Se consideriamo gli utili o le perdite dichiarate dalle singole Srl del Gruppo (quindi gli studi DentlaPro sul territorio) molte registrano bilanci in attivo ed alcune in perdita. Sempre stando ai bilanci del 2018 si passa dagli oltre 3 milioni di euro di attivo dichiarato dalla DP Dent srl (sede a Milano), ai meno 300 mila euro della DP 48 srl (sempre di Milano). Degli 83 studi elencati in bilancio, studi all’estero esclusi, 16 hanno dichiarano una perdita, per 6 di questi le perdite erano sotto i 6 mila euro.
Vitaldent Italia, in realtà la ragione sociale nel 2018 era Dental Franchising Srl, al 31 dicembre 2018 registrava una perdita di 10 milioni di euro, 5 milioni in più rispetto al 2017. Una questione interessante, che ho letto in questi giorni sui social, è se l’acquisizione potrebbe essere oggetto di analisi da parte dell’Autority sulla concorrenza del mercato.
Ovviamente non ho una risposta, l’unica considerazione è che in un settore così frammentato, 39 mila circa le strutture odontoiatriche attive, i 260 studi di DentalPro/Vitaldent sono una parte minimale nel mercato odontoiatrico.
Si tenga conto che, secondo i dati fornitimi da Roberto Rosso di Key-Stone, mettendo insieme tutti i centri appartenenti alle catene (non solo Dental Pro e Vitaldent) si arriva a circa il 2,2% degli studi odontoiatrici attivi, nonostante abbiano però oltre l’8% di quota di mercato a valore. Però, certamente, un unico proprietario che ha in mano 260 studi, il mercato anche solo in termini di approvvigionamento di materiale, se non lo condiziona a discapito degli altri, lo condiziona a suo vantaggio.
E se consideriamo la questione concentrazione non sul numero di studi ma sul numero di pazienti in cura?
Sempre secondo i dati della Key-Stone, i pazienti che si rivolgono alle Catene sono tra il 15 e il 18% del totale, stando all’ultima ricerca effettuata nel luglio 2020. Quindi se togliamo la parte di pazienti che si rivolge all’odontoiatria pubblica, agli studi di proprietà dei singoli professionisti (Srl e Stp comprese) rimane circa l’80% dei pazienti italiani. Va però considerato che a lavorare su quell’80% dei pazienti sono 39mila studi circa, mentre a dividersi quel 15-18% sono meno di 900 studi appartenenti alle Catene.
Secondo i dati che mi ha fornito DentalPro, con l’acquisizione degli studi di Vitaldent, i 260 ambulatori sono un milione e 600 mila i pazienti seguiti.
Se per gli odontoiatri titolari di studio, la domanda di quanta concorrenza mi faranno è legittima, la vera domanda che la politica si dovrebbe porre è: queste acquisizioni comportano dei rischi per il paziente? Sono adeguate le tutele?
Sui rischi legati alla cura non dovrebbe cambiare nulla, e comunque dal punto di vista delle tutele, le regole per garantire che le strutture siano sicure e le cure eseguite secondo i principi etici e deotologici ci sono. Le norme sulla direzione sanitaria e sulla pubblicità hanno contribuito a migliorare in questo senso.
Oggi il controllo, e le responsabilità in caso di inadempienza, è affidato al direttore sanitario; le cure, le terapie prescritte dall’odontoiatria abilitato le possono eseguire, ovviamente, solo gli iscritti all’Albo degli odontoiatri o degli igienisti dentali.
Ma dal punto di vista delle garanzie dal lato “finanziario”, della continuità delle cure?
Quelle sono le stesse che regolamentano il mercato, dovrebbero tutelare i fornitori ed i clienti delle società. Ma sono regole efficaci anche quando il prodotto venduto non è un frigorifero ma una cura?
IDental in Spagna e recentemente Dentix (anche in Italia) hanno dimostrato che quelle tutele non sono efficaci perché non si compra un bene di cui si viene subito in possesso, ma si intraprende un percorso di cure che spesso durano anni. Così se durante il periodo che il paziente è in cura, la struttura chiude, nascono i problemi. Economici e di salute.
Le vicende iDental e Dentix lo hanno dimostrato con migliaia di pazienti lasciati senza cure e le rate dei finanziamenti da pagare.
Ma le richieste arrivate alla politica per cercare di porre rimedio impedendo questo, si sono concentrate nel chiedere norme che limitino il potere decisionale del capitale nei consigli di amministrazione nelle società odontoiatriche privilegiando le Stp. Tentativi legittimi di chi cerca di tutarle gli interessi del singolo professionista. Ma anche a fronte di queste nuove acquisizioni credo, oggi, diventi sempre più difficile trovare una sponda politica disposta a sostenerle.
Il nuovo Gruppo DentalPro ha dichiarato di avere, oggi, 2mila dipendenti e 1.500 collaboratori, tra odontoiatri ed igienisti.
Quale politico si prenderebbe la responsabilità di sostenere una norma che ne potrebbe portare alla chiusura o anche solo limitarne l’operato? Pensate all’impegno del Governo in questi anni per cercare di salvaguardare il lavoro dei 350 dipendenti della Whirpool di Napoli.
Poniamo la domanda delle tutele in maniera differente. I pazienti che si rivolgono ad una “Catena” hanno le stesse tutele dei pazienti che si rivolgono ad una società di capitale i cui soci sono odontoiatri?
Dal punto di vista delle garanzie della qualità di cure (garantite dagli abilitati all’esercizio) e della sicurezza delle strutture (certificate dall’autorizzazione sanitaria), le regole sono le stesse.
Ma se una singola Srl chiude i pazienti lasciati con le cure da terminare saranno qualche decina. Se le finanziarie che detengono la maggioranza delle azioni di DentalPro dovessero decidere di investire in altri settori abbandonando l’odontoiatria, e se non si trovassero altri investitori (come avvenuto per Dentix), quel milione e 600 mila pazienti in cura nei 260 ambulatori del Gruppo a chi si potrebbero rivolgere?
Qui si che la questione concentrazione di studi fa la differenza.
Peraltro, non si può neppure fare il paragone con quanto potrebbe succedere nella sanità privata: case di cura, cliniche e ospedali privati. Il paziente entra in ospedale malato e ne esce quando ha terminato di usufruire dei servizi, delle cure. La clinica, prima di essere dichiarata fallita, dovrà ovviamente terminare le cure e dimettere i pazienti. Ad essere penalizzati saranno dipendenti, collaboratori, creditori, ma non i pazienti. Così come capita quando fallisce qualsiasi società in qualsiasi ambito.
Ma un paziente di una società odontoiatrica comincia una cura che si protrae per un arco di tempo molto ampio: almeno per mesi, spesso anche per anni.
Paziente che non ha nessuna garanzia che quella cura iniziata non solo verrà terminata ma neppure che i soldi che man mano vengono spesi (o finanziati) gli possano essere restituiti. Nel bilancio DentalPro del 2018, viene indicato che il 55% dei pagamenti per le cure sono stati incassati attraverso finanziamenti.
Certo, impedire che singoli gruppi finanziari possano acquisire molti studi odontoiatrici può essere una delle soluzioni per impedire questo (ma rimarrebbe il problema, comunque, per i pazienti che si rivolgono alle 5mila società di capitale di proprietà degli odontoiatri). Ma come mi chiedevo, si riuscirà a trovare una sponda politica che riesca ad impedire ai Gruppi finanziari di investire in attività italiane consentendo che l’esercizio in forma societaria dell’odontoiatria si svolga solo attraverso Stp?
Un’alternativa, ne ho già scritto più volte, potrebbe essere una norma che preveda un fondo di garanzia (potrebbe essere anche una assicurazione), magari sulla base del fatturato annuo, che possa essere utilizzato per rimborsare i pazienti che rimarranno con le cure interrotte in caso di fallimento.
Soluzione che potrebbe dare quelle garanzie ai pazienti, a tutti i pazienti di qualsiasi società odontoiatrica.
Soluzione che potrebbe trovare il sostegno anche da quelle Catene che non vogliono fare altro che operare in modo serio, organizzando le cure dei pazienti e garantendo risultati alle finanze degli investitori.
A questo punto sarebbe una proposta unitaria, che la politica non avrà problemi a raccogliere e trasformare in norma.
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