Il luogo comune del figlio del libero professionista che segue la strada del padre sembra non essere più attuale, sempre che lo sia mai stato.
Nelle scorse settimane Adepp, in collaborazione con il Censis, aveva fotografato il mondo delle professioni con la ricerca "Le professioni in Italia: una ricchezza per l'Europa".
E proprio da questa ricerca veniva evidenziato che a subentrare allo studio del genitore è solo il 4,1% dei figli.
Per quanto riguarda l'odontoiatria la situazione è diversa. Secondo quanto aveva rilevato il Servizio Studi ANDI in collaborazione con il Collegio dei Docenti nel 2013, il 43% degli allora iscritti al corso di laurea in Italia aveva un parente dentista. Sicuramente a questi si deve poi aggiungere quelli che hanno deciso di trasferirsi all'estero per studiare e laurearsi non riuscendo a superare il test in Italia.
"Certamente lo scoglio del numero chiuso impedisce a molti figli di professionisti, non solo dentisti, di continuare la professione del genitore", dice ad Odontoiatria33 Roberto Callioni (nella foto) Coordinatore Servizio Studi ANDI e Vicepresidente Confprofessioni.
"Ma quello dei test non è il motivo principale. Spesso i figli hanno visto i ritmi di lavoro del genitore libero professionista e non sono disposti a fare gli stessi sacrifici. Poi c'è il conflitto generazionale, lavorare con il proprio genitore non è mai semplice. Infine c'è il diritto per i nostri figli di scegliere la strada che preferiscono e molto spesso questa strada li porta all'estero".
Il non poter "lasciare" studio e clientela ai propri figli è comunque un problema per gli attuali liberi professionisti che spesso si vedono, andando in pensione, a "buttare" una vita di professione.
"Per favorire questo -continua Callioni- da anni ANDI ha attivato un progetto che punta a favorire il passaggio generazionale tra i professionisti che vanno in pensione e i giovani dentisti favorendo i loro inserimento nel mondo del lavoro. Progetto che sta dando buoni frutti nonostante la legislazione non aiuti questo, soprattutto in tema di praticantato odontoiatrico".
Un tema quello del passaggio generazionale, anticipa Callioni, che sarà affrontato nel prossimo Wokshop Economico in programma a Maggio a Cernobbio (CO).
Ma dal punto di vista legale come si deve comportare il dentista libero professionista che vuole favorire o gestire un subentro, sia di un proprio familiare o di un giovane laureato?
"Concettualmente, lo studio professionale è un'impresa", sostiene l'avv. Ivan Tosco (nella foto), PhD - Studio Legale Secci&Medda - Torino.
"Lo studio odontoiatrico in particolare, a causa della sua peculiare struttura di costi, che prevede una grossa componente di beni strumentali, è particolarmente affine, nella sostanza all'impresa di servizi.
Tuttavia, il libero professionista non acquisisce la qualità di "imprenditore" nel senso prescritto dal codice civile.
Il professionista che si ponga il problema del passaggio generazionale nel proprio studio professionale non può contare appieno sugli strumenti che l'ordinamento ha approntato per consentire una ordinata successione nel patrimonio, ne' su quelli recentemente sviluppati per consentire la continuità d'impresa attraverso il fenomeno successorio.
In questo senso, lo studio professionale che passa soltanto da una generazione a un'altra non cambia unicamente il proprio titolare, ma sostituisce il fattore più importante della propria produzione: il professionista medesimo".
La mancanza della qualità di "imprenditore" in capo al libero professionista costringe, per ottenere un risultato comparabile a quello ottenibile in un'impresa commerciale, a un salto di creatività ulteriore?
"La ricerca di un idoneo strumento giuridico di pianificazione successoria, nel contesto dello studio professionale è un elemento necessario nella pianificazione ma, lungi dall'esaurire l'attività di pianificazione, ne è anzi una conseguenza.
La trasmissione di un complesso di beni organizzato in "azienda", allo scopo di salvaguardare il suo potenziale produttivo, è un problema noto al diritto successorio da sempre.
Ma, quand'anche si realizzi un sereno passaggio di mano intergenerazionale dell'azienda, un'impresa commerciale (e a fortiori uno studio professionale), privata dell'imprenditore, semplicemente si inceppa, perde di energia e, in definitiva, si ferma.
Come ci si deve comportare?
Per ovviare a questo problema è possibile sfruttare diversi strumenti a disposizione dell'odierno diritto successorio. L'istituto del patto di famiglia (Legge 10.12.2012, n. 219) permette di disegnare assetti in cui sia possibile ridurre il rischio che un'imprevista lite fra gli eredi possa provocare la disgregazione dell'azienda e quindi dell'impresa. Ai fini dell'applicazione del patto di famiglia allo studio professionale, appare utile la circostanza che professionista sia "titolare di quote" in una società, e quindi l'organizzazione dello studio in forma societaria.
Lo strumento della polizza sulla vita (artt. 1919-1927 cod. civ.) ha ottimi impieghi per la pianificazione patrimoniale, ma si dimostra meno idoneo a sostenere il passaggio generazionale dell'impresa.
Ancora nell'ottica della pianificazione patrimoniale trova buon impiego l'utilizzo del trust introdotto nel nostro ordinamento a seguito dell'adesione dell'Italia alla Convenzione dell'Aja del primo luglio 1985.
L'imprenditore che ritenesse di voler mantenere l'unità dell'impresa a favore di uno o più eredi, potrebbe attraverso il trust, consentire ad alcuni il godimento dei frutti del patrimonio, e ad altri la successione nell'impresa, con lo stesso spirito che anima il patto di famiglia, ma potendo disporre di una figura -il trustee- il quale è per definizione terzo rispetto agli interessi della famiglia.
Per approfondire sul tema consigliamo la lettura del lavoro pubblicato dall'avv. Tosco dal titolo "Il passaggio generazionale negli studi professionali" su Quaderni Odontoiatrici numero 1/2014 (Tueor Servizi editore)
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