Il commento dell’avvocato Silvia Stefanelli alla sentenza del TAR che impone all’Ordine di consentire l’accesso agli atti delle sentenze disciplinari
Il tema dell’accesso – e quindi della conoscenza – dei contenuti delle decisioni assunte dagli Ordini professionali nei confronti dei propri iscritti è da sempre oggetto di ampio dibattito.
La necessità infatti che gli “altri” iscritti conoscano le posizioni dell’Ordine in ambito deontologico, si scontra con “un resistenza” a dare notizia delle suddette decisioni per evitare di danneggiare l’immagine del professionista.
Per la verità di tratta di una “resistenza” di natura più culturale che giuridica: già dal 2002 il Garante Privacy aveva affermato che la “…. conoscibilità dei provvedimenti disciplinari, che si fonda su rilevanti motivi di interesse pubblico, deve ritenersi prevalente rispetto all'interesse alla riservatezza del singolo professionista destinatario della sanzione disciplinare, purché la menzione del relativo provvedimento applicativo avvenga in modo corretto e in termini esatti e completi”, Garante 25 settembre 2002, in Bollettino n. 31, pag. 55.
In sostanza la tutela della riservatezza del professionista, deve cedere il passo al più rilevante interesse pubblico di conoscenza delle decisioni disciplinari nei confronti dei professionisti stessi.
Ora, se tale aspetto è (o dovrebbe essere) ormai pacifico da anni, i contenuti della sentenza di Brescia vanno ben oltre.
Il caso è molto semplice: una struttura sanitaria il cui direttore viene perseguito per un caso di pubblicità, presenta alla stessa CAO un esposto per segnalare casi identici; passato un po’ di tempo chiede di avere accesso agli atti per sapere quali provvedimenti sono stati assunti nei casi (identici) segnalati. La CAO diniega l’accesso opponendo (appunto) un principio di riservatezza; la struttura ricorrere al TAR che invece le dà ragione.Al di là della vittoria, interessanti sono le argomentazioni sulla base delle quali il TAR accoglie il ricorso.
In primo luogo il TAR parte del presupposto (spesso dimenticato) che l’Ordine professionale è una pubblica amministrazione (peraltro la afferma l’art. 1 comma 3 lett. a) del DLCPS 233/196 e lo ribadisce con grande forza la recente (Corte Costituzionale n. 259 del 4 novembre 2011): ne consegue che, sussistendo una asimmetria informativa tra P.A. e il cittadino, la P.A: (cioè l’ordine) è tenuto a dare riscontro alle richieste di accesso, nella sua più ampia accezione del diritto di avere “informazioni qualificate sui provvedimenti esistenti” (sul punto anche il Dipartimento della Funzione Pubblica).
In sostanza l’Ordine ove esista un provvedimento ne deve consentire l’accesso (ovviamente nel rispetto della legge 241/’90); ove invece non abbia assunto alcun provvedimento deve spiegare le ragioni per cui non l’ha assunto.
Ma la parte più interessante è poi quella che riguarda nello specifico l’accesso ai provvedimenti disciplinari.
Il Tar infatti parte dalla circostanza (innegabile) che gli Ordini professionali sono Pubbliche Amministrazioni un po’ particolari: sono infatti composti da associati che svolgono tutti la stessa attività professionale sullo stesso territorio e che “ciascun degli associati è legato agli altri dai comuni obiettivi della categoria, ma anche dalla competizione economica sullo stesso mercato”.
Ne discende che “ Le iniziative repressive che l’Ordine assume nei confronti dei propri associati incidono direttamente sul profilo della concorrenza, sia quando si limitano a mettere in discussione il prestigio professionale, sia, a maggior ragione, quando conducono alla sospensione dell’attività”In sostanza lo strumento disciplinare di cui gli Ordini sono dotati va usato con grande attenzione ed equilibrio, non solo perché incide sulla vita del singolo professionista ma anche perché incide in maniera importante sulla corretta concorrenza in quel mercato.
Ciò a maggior ragione (ovviamente) ove la sanzione sia la sospensione dall’esercizio professionale in quanto “la sanzione della sospensione dell’attività applicata a un associato favorisce tutti gli altri, perché rende disponibile, almeno temporaneamente, la quota di mercato del soggetto sanzionato”.In sostanza l’Ordine nell’esercizio delle sue legittime funzioni disciplinari deve anche tenere conto dell’”effetto” che tali sanzioni provocano sul mercato.Questo non significa non applicare la sanzione (se ed ove dovuta), ma significa applicarla a tutti con lo stesso metro di misura ed equilibrio.
Esattamente come fanno i giudici.
Ed è qui il vero snodo (e la vera difficoltà): essere professionisti in un mercato, essere contemporaneamente membri di una Pubblica amministrazione, e comportarsi da Giudici quando si deve decidere. Un compito difficile.
Avvocato Silvia Stefanelli
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