Gli ortodontisti sono da sempre alla ricerca dell’ancoraggio ideale, e nel tempo molti sistemi diversi sono stati sperimentati con più o meno successo, tutti con l’obiettivo di fare a meno della collaborazione del paziente. Il diffondersi negli ultimi decenni di tecniche implantologiche sempre più affidabili ha avuto come conseguenza che anche in ortodonzia si sia cominciato ad adottare l’ancoraggio su impianti. Oggi vengono proposti impianti sempre più piccoli e semplici da inserire nell’osso, detti mini impianti; a essi la rivista Mondo Ortodontico dedica un dossier la cui prefazione è curata dal dottor Aurelio Levrini, che ha accettato di rispondere ad alcune domande sull’argomento.
Dottor Levrini, che cosa c’è di nuovo nell’uso dei mini impianti ortodontici?
I mini impianti furono introdotti verso la fine del secolo scorso sulla base di viti per osteosintesi modificate. Considerando, quindi, che l’utilizzo dei dispositivi temporanei d’ancoraggio come le microviti è presente in ortodonzia da appena dieci anni, possiamo dire che tutto quanto riguarda quest’argomento è relativamente nuovo. Studi recenti, hanno disegnato una “mappa” ossea utilizzabile come guida generale per determinare le zone dove le microviti possono essere inserite con maggiore sicurezza. Queste e altre ricerche hanno permesso di raggiungere una maggiore affidabilità e di diminuire la percentuale d’insuccessi. Oggi si può affermare che, nonostante la scarsità di dati provenienti da follow-up a lungo termine, il clinico, dopo avere fatto un accurato studio preliminare del caso, è in grado di operare con più sicurezza.
Quale vantaggio offrono i mini impianti rispetto ai precedenti sistemi di ancoraggio?
La comparsa dei mini impianti nel panorama ortodontico attuale non rappresenta solamente un ampliamento delle possibilità terapeutiche in tema d’ancoraggio, ma esclude in gran parte la necessità di una notevole collaborazione. La partecipazione del paziente alla terapia è prevalentemente finalizzata a mantenere in buona salute non solo i denti e gli apparecchi, ma soprattutto i tessuti dove sono stati inseriti gli impianti. I vantaggi nell'utilizzo dei mini impianti sono più evidenti nei soggetti adulti, dove i tradizionali mezzi d’ancoraggio intra- ed extraorali non sono sempre accettati favorevolmente perché considerati troppo invasivi e poco estetici: gli adulti preferiscono che un trattamento ortodontico oltre che estetico, comprenda anche il minor numero possibile di denti per avere meno disagio. L’uso dei mini impianti permette di impiegare biomeccaniche semplificate, spesso limitate a un solo quadrante.
Per quali casi clinici sono consigliabili e per quali invece non sono adatti?
L’uso dei mini impianti su pazienti in crescita (di età inferiore a 15 anni) è più complesso. Si devono considerare i germi dentali presenti nell’osso alveolare e l’attività della crescita scheletrica a livello delle suture mascellari (particolarmente la palatina mediana). L’esistenza dei germi dentali rende più difficile la scelta del sito implantare; inoltre, la ritenzione e stabilità primaria della vite non è sempre buona per la presenza di osso qualitativamente e quantitativamente inadeguato. L’utilizzo nei pazienti in crescita è possibile con le miniviti non osteointegrate, ma è auspicabile che siano definiti in modo più sicuro i limiti d’applicazione nei giovani in rapporto alla loro età. Nei soggetti a fine crescita, invece, si trovano le migliori indicazioni cliniche. Nell’adulto, non è possibile a volte mettere in pratica le tradizionali metodiche d’ancoraggio, a causa di situazioni parodontali compromesse oppure per la presenza di un numero ridotto di elementi dentali; in questi casi si può veramente affermare che l’uso dei mini impianti è particolarmente vantaggioso. Nella chiusura degli spazi d’estrazione, nella terapia delle Seconde Classi in dentatura permanente e nell’estrusione di elementi dentali ritenuti, i risultati sono incoraggianti. Con questa tecnica, caratterizzata da un rigido ancoraggio scheletrico, l’intrusione dei molari è sempre praticabile in modo semplice ed efficace permettendo di correggere l’anomalia verticale con un buon controllo tridimensionale dei movimenti dentali. Il movimento d’intrusione negli adulti è, a mio avviso, un’indicazione elettiva.
Quali sono i rischi e le complicanze legate all’uso dei mini impianti ortodontici?
Nonostante si tratti di una metodica affidabile e con alte percentuali di successo esistono comunque rischi e complicanze potenziali legate alle fasi d’inserimento, al carico ortodontico e alla rimozione della vite. Gli inconvenienti più comuni sono rappresentati da infezioni o danneggiamenti dei tessuti molli, allentamento, perdita o frattura dell’impianto. Complicazioni più gravi sono le lesioni ai nervi, ai denti, al parodonto e al seno mascellare. Un miglioramento delle tecniche, dovrebbe riguardare la biocompatibilità delle viti, le metodiche d’inserimento guidato e la possibilità di applicare, nel carico ortodontico, diversi tipi d’accessori per un controllo tridimensionale dei movimenti dentali. Per diminuire la quantità d’insuccessi, sono fondamentali la scelta della vite più adatta (lunghezza, calibro, forma e materiale), le modalità e il luogo d’inserimento, ma soprattutto un accurato studio preoperatorio basato su una documentazione adeguata.
A suo avviso sono ben accettati dai pazienti?
L’indice di gradimento per questa tecnica dipende da alcuni fattori. Le aspettative nei confronti della terapia ortodontica si riferiscono in genere a procedure che non implicano nessun intervento di tipo cruento. A volte è necessario superare qualche resistenza di tipo psicologico perché non a tutti è gradito il fatto di dovere subire piccoli interventi chirurgici anche se poco invasivi e in seguito mantenere, per un breve periodo di tempo, parti metalliche impiantate nelle ossa mascellari. È importante il colloquio preliminare con il paziente, e il medico, oltre che competente, dovrà essere sicuro e persuasivo. Si dovrà impiegare un tempo sufficiente per spiegare tutti i vantaggi, gli svantaggi e, a volte, le necessità cliniche che spingono l’ortodontista a scegliere questa strada piuttosto che un’altra. Dovremo avere un paziente ben motivato, consapevole degli eventuali insuccessi e molto collaborativo per quanto riguarda l’igiene orale. La comparsa degli ancoraggi temporanei in ortodonzia introduce, purtroppo, un elemento negativo nella gestione dei casi trattati con questa tecnica. In tali pazienti esiste l’eventualità di aumentare il contenzioso a causa di potenziali problemi medico legali. Di questo fatto se ne dovrà tenere particolarmente conto nella stesura del consenso informato.
Possiamo concludere che questo tipo di sistemi di ancoraggio sostituirà definitivamente quelli tradizionali?
Il loro uso ha certamente contribuito a creare alternative alle tradizionali metodiche d’ancoraggio. Si fa riferimento ad ancoraggi abbastanza stabili, fissati su strutture scheletriche che non cambiano la loro posizione, non credo, però, che possano sostituire i tradizionali mezzi di ancoraggio ortodontico. Penso invece che resteranno semplicemente delle valide alternative, particolarmente utili nei casi dove i mezzi tradizionali sono di difficile o impossibile applicazione.
GdO 2008; 16
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