Rivedendo quanto abbiamo pubblicato questa settimana per decidere a quale argomento potesse essere dedicato questo DiDomenica, l’attenzione è caduta su due interviste che sembrano non avere nulla in comune, ed infatti non hanno nulla in comune: quella al neo presidente degli Amici di Brugg, Alberto De Chiesa, e quella al fondatore degli studi Implantomat.
A farmi venire in mente il nesso è stato il ricordo di un’latra intervista fatta molti anni fa al papà di Alberto, il dott. Carlo De Chiesta, tra i fondatori degli Amici di Brugg.
La feci a Saluzzo in quel luogo dove migliaia di professionisti negli anni ’80, ’90 hanno imparato a fare i dentisti: il “museo” dedicato a P.K. Tomas. Nella stanza che ci ospitava una serie di cassettiere contenevano modelli con centinaia di ponti in oro resina. Mi disse: sono i provvisori utilizzati per fare abituare alla masticazione, e condizionare la gengiva, prima del ponte definitivo in ceramica.
Non ho la più pallida idea di quanto quei pazienti pagassero alla fine della riabilitazione. Il prof. Massimo Gagliani in un commento sul cambiamento della professione fa questa affermazione: “Tempo fa mi sono divertito ad attualizzare il prezzo di una corona degli anni settanta ad oggi; nel “secolo scorso” il fatturato di una corona consentiva di comprare dai 5 agli 8 metri quadri di una casa. Oggi, con il prezzo di una corona si compra un quinto di metro quadro…”
Quel piccolo Fort Knox odontoiatrico di Saluzzo mi è tornato in mentre quando il fondatore di Implantomat mi risponde alla domanda che cerca di capire come si possa fare pagare (o vendere, scegliete voi) una riabilitazione protesica composta da 6 impianti e 12 ceramiche in zirconia a 2.800 euro. Mi dice: pago 20 euro un impianto e 40 euro la corona in zirconia.
Quindi i “costi di produzione” sono 600 euro, ai quali vanno aggiunti quelli dei professionisti che operano e protesizzano il paziente ed i costi fissi dello studio che, però, variano dal numero di pazienti trattati. Più pazienti trattati, più i costi fissi per singolo paziente si riducono. Unico dato che abbiamo per valutare gli “altri costi” è quello del compenso dato al chirurgo maxillo facciale che si occupa della chirurgia: circa 90 euro all’ora, che poi è circa 4 volte di più di quanto un suo collega prende di stipendio in ospedale.
Quindi Implantomat per 12 elementi incassa 2.800 euro, ne spende 700 tra implantologo, impianti e protesi, poi togliamo il 60% di spese fisse, personale e tasse ed ecco che il guadagno netto potrebbe aggirarsi intorno agli 800 euro.
Tanto? Poco? Ovviamente non so, certo dipende poi da quanti pazienti riabilitano in un giorno per capire se quelle tariffe sono economicamente sostenibili. Implantomat dice che uno dei loro studi, con due riuniti, fattura un milione e mezzo all’anno.
Considerando il paramento che ci ha indicato il prof. Gagliani, (certamente ad effetto e non basato su dati statistici) negli anni 80 con il fatturato di un circolare di 12 elementi il dentista poteva comprarsi un appartamento di 60 metri quadrati, oggi (applicando le cifre indicate da Implantomat) ci compri un motorino usato.
Però questo guardando la questione tariffe con gli occhi del dentista. Se la guardiamo con il portafoglio del paziente, negli anni ottanta per masticare con “denti fissi” dovevi fare un mutuo, magari rinunciando a comprarti casa, oggi il nuovo sorriso lo paghi comodamente a rate, qualche decina di euro al mese.
Un importante cattedratico del settore, quando si cominciò a parlare di All On Four, mi faceva notare come la ricerca implantologica abbia permesso alle persone edentule di tornare a masticare senza ricorrere ad una dentiera, contenendo, e di molto, anche i costi.
Oggi, stando alle cifre che troviamo sul sito Implantomat (ma basta guardare in rete certe pubblicità di service che offrono cappette in lega vile a 6 euro) si potrebbe pesare che il vantaggio più grande che le tecnologie Cad Cam stanno portando al settore è la drastica riduzione dei costi di produzione della protesi. Certamente se insieme alle nuove tecnologie si fanno proprie anche le regole della gestione d’impresa: macchine e tecnologie molto costose ma che se lavorano a pieno ritmo consentono di fare “produzione”, guadagnandoci anche se si vende a prezzi bassi.
Mi viene da paragonare questa evoluzione dell’odontoiatria alla moda. C’è l’alta moda con capi che sono delle vere opere d’arte ma accessibili a pochissimi, poi c’è il pret à porter (capi più accessibili ma non per tutti) e poi è arrivata la instant fashion, la moda quasi dell’usa e getta, capi carini che tutti possono permettersi, ma che dopo due o tre lavaggi diventano quasi inutilizzabili per via della materiale utilizzato e della qualità delle cuciture.
Ovviamente dal punto di vista della qualità il paragone non può reggere se si parla di salute.
Per la moda usa e getta molte signore e ragazzine (ma vale anche al maschile) che affollano i negozi di note catene che offrono capi alla moda a costi bassissimi pensano: “se si rovinano ancora meglio, li cambio più spesso tanto mi costano dieci volte in meo di un capo più resistente, che comunque lascerei dopo un po’ nell’armadio perché mi sono stufata di portarlo”.
Per una protesi questo modo di ragionare non è certo accettabile, anche se per alcuni cittadini, stando ai dati presentati durante il Welfare Day, anche una protesi che “non dura tanto”, ma accessibile per i costi, può essere meglio che stare senza denti.
Ma quell’impianto a 20 euro e quella corona in zirconia realizzata dal fresatore Cad Cam, e venduta a 40 euro, è scadente, comporta rischi per la salute del paziente?
Stando a quanto dice il fondatore di Implantomat, l’impianto è certificato ed ha la marcatura CE, la corona ha la dichiarazione del fabbricante e poi, lascia intendere, che se il medico che sta curando quel paziente mette in bocca il dispositivo protesico, vuole dire che va bene, altrimenti dovrebbe rifiutarsi di farlo in quanto è anche lui responsabile.
Considerazioni che condivido, anche perché quelle ditta di impianti o quel laboratorio odontotecnico i dispositivi li forniscono anche a studi di singoli professionisti, e non importa a quale tariffa le vendono, sono dispositivi prodotti da macchine e quindi realizzate sempre con gli stessi materiali e con la stessa qualità, di fatto anche le corone diventano dispositivi su misura prodotti in serie. E su questo dovremmo aprire un mondo di discussioni su normative non al passo con le tecnologie, che rimandiamo.
Allora spostiamo l’attenzione su di un'altra questione, quella delle redditività in base alla produzione, così come si basano i guadagni di chi fa Instant Fashion. Applicare quelle regole di mercato che puntano a creare profitto sulla base di prezzi bassi ma di alti volumi di vendite (in questo caso cure) è scorretto, pericoloso per il paziente?
Se le cure non sono necessarie ma puntano solamente fatturare più protesi possibili, certamente che non va bene, oltre che si commette un buon numero di reati.
Ma anche in questo caso la colpa è da attribuire all’imprenditore che ha investito sullo studio odontoiatrico e vuole il massimo profitto possibile, o (anche) sui medici che si prestano a prescrivere riabilitazioni non necessarie?
C’è poi un altro aspetto che invece tocca solamente l’imprenditore e soprattutto il paziente, ed è quello della sostenibilità del business.
Già altre volte ne ho scritto, ma probabilmente è un pensiero non condiviso, visto che non l’ho ritrovato in proposte o richieste di intervento legislativo, e neppure nelle discussioni su Facebook che trattano di tariffe e società di capitale.
Il profitto basato sul “fare numeri” porta l’impresa ad essere più soggetta, rispetto ad altre imprese con modelli di business differenti, al rischio del fallimento. In caso di riduzioni di fatturato anche non eccessivi, i margini minimi sulla vendita del singolo prodotto non compensano i costi e quindi la struttura deve ricapitalizzare o fallire. Se è un’azienda non legata alla salute, il rischio è di vedere licenziati i lavoratori, non pagati i fornitori. Se invece a chiudere sono più studi odontoiatrici con migliaia di pazienti in cura? IDental in Spagna ha ben evidenziato le conseguenze.
La questione, a mio parere, non è chi investe, chi ci guadagna sulle cure o chi può fatturare con o senza iva, ma quali regole servono per garantire la continuità di cura.
In una clinica privata ci entri perché sei malato, fai gli esami, ti curano e poi torni a casa. Il tuo rapporto con la clinica dura qualche ora, qualche giorno, se sei particolarmente grave qualche settimana (ma devi già avere una buona assicurazione altrimenti vai in ospedale), ma poi ne esci, speriamo, guarito. Se la clinica fallisce, ad avere conseguenze negative sono al massimo i pazienti in cura in quel momento, ma sono in numero limitato.
Una cura odontoiatrica può durare mesi anche anni se si tratta di trattamenti implantari complessi o di cure ortodontiche. Se la struttura fallisce, quali sono le garanzie per i pazienti in cura?
Ad oggi, a me sembra nessuna.
Su questo si dovrebbe invocare interventi e non cercare di combattere il prezzo basso che, invece, potrebbe essere di aiuto proprio alla salute del cittadino che non può permettersi le cure d’alta moda.
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