Una delle prime questioni che cominciai a conoscere quando circa 35 anni fa’ iniziai a raccontare il settore dentale è stata la “pletora odontoiatrica”: ovvero ci sono troppi dentisti. Cosa che vista dalla parte di noi pazienti non sarebbe neppure una brutta cosa: più scelta, più concorrenza e quindi tariffe più accessibili. Ma sappiamo che non è così perché da una parte ci sono i dentisti e dall’altra sempre meno pazienti che possono permettersi le cure, ma indubbiamente le tariffe, rispetto a 30 anni fa, sono calate.
Al tempo la pletora veniva usata per criticare la nascita del corso di laurea in odontoiatria: “siamo già in troppi perché sformarne degli altri”, veniva detto.
Da un po’ di anni la questione sembrava essere archiviata, anche perché i posti ad odontoiatria erano pochi ed anche l’incremento di iscritti all’Albo è stato contenuto, dieci anni fa (primi giorni di gennaio 2014) erano 59.324, alla stessa data del 2024 erano 64.434 ovvero 500 nuovi iscritti all’anno.
Ora la pletora sembra tornata ad interessare l’agenda politica di Ordine e Sindacati (ed anche quelli spagnoli LINK) dopo che il Miur ha annunciato il numero di posti per odontoiatria e medicina per il prossimo anno accademico: 1.535 per odontoiatria e 20.867 per medicina. Quindi il dito è sempre, o nuovamente, puntato verso l’Università.
Con un comunicato congiunto il presidente CAO Raffaele Iandolo ed il presidente FNOMCeO Filippo Aneli hanno lanciato l’allarme “pletora”.
Sotto accusa i posti a disposizione dei vari atenei definiti dal Miur ed il Ministero della Salute per iscriversi alle facoltà di odontoiatria e medicina.
E qui c’è già la prima considerazione, se per medicina risulta più facile definire il numero dei posti necessari, sappiamo il numero di medici che servono al SSN, quanti ci lavorano e quanti andranno in pensione (vi è l’obbligo di lasciare il posto pubblico a 70 anni, 72 in alcuni casi) totalmente diverso è per odontoiatria dove l’offerta pubblica di cure odontoiatriche è ridottissima, quindi, teoricamente non esiste un fabbisogno pubblico. E poi non si può limitare la libera impresa. Infatti, non si parla di numero chiuso ma di accesso programmato in base alle capacità formative degli atenei.
Ma andiamo oltre.
Diverso sarebbe se si conoscesse il bisogno di salute orale degli italiani, si potrebbe stabilire quanti dentisti servono ed anche per fare cosa, ma una seria indagine epidemiologica sulla salute orale non solo non si è mai fatta, non la si richiede neppure. A (mia) memoria l’ultima a chiederla al Ministro Livia Turco fu la prof.ssa Laura Strohmenger, allora direttrice del centro OMS in Italia. Stiamo parlando di ere odontoiatriche fa. La motivazione della richiesta non era tanto per decidere quanti dentisti servissero ma per capire come doveva essere organizzata l’assistenza odontoiatrica pubblica per dare una seria risposta alle esigenze.
Ma ovviamente non si fece nulla, il successore della Turco, Girolamo Sirchia (governo Berlusconi) decise invece di sperimentare la dentiera per tutti (ma solo nel Lazio).
Torniamo però sul tema pletora.
Abbiamo visto che è difficile stabilire quale sia il numero ideale di dentisti, solitamente lo si indica per numero di abitanti (del Paese), ma forse sarebbe più corretto farlo per regione o meglio ancora per città, paese. Dando per scontato che tutti vadano dal dentista.
Prendiamo la soluzione più semplice, numero dentisti per cittadini. Anche in questo caso i numeri non ci possono aiutare: non ne esistono di ufficiali per i dentisti.
Il dato italiano, riportato anche nel comunicato CAO-FNOMCeO è di un dentista ogni 900 abitanti. Lo stesso comunicato ricorda che il rapporto ottimale indicato dall’OMS è di uno ogni 2mila persone.
Ma il dato è considerato sui 64.733 iscritti all’Albo degli odontoiatri, ma non si conosce il numero esatto di esercenti: la stima di ANDI su base dati ENPAM (riferita a quelli che versano alla quota B) indica in 46.953 gli esercenti, ovvero poco più di 17mila dentisti in meno di quelli iscritti all’Albo.
Indubbiamente, se veramente ci sono troppi dentisti rispetto al fabbisogno, immettere sul mercato nuovi professionisti non fa altro che peggiorare il problema, peraltro il laureato in odontoiatria o cura denti o non può fare altro, diverso per il laureato in medicina.
Ma il problema nasce veramente dall’Università, dalla facoltà di odontoiatria?
Mi sono fatto dare dal CED FNOMCeO alcuni dati sugli iscritti all’Albo degli odontoiatri riferiti a mercoledì 3 settembre 2024. Dei 64.733 iscritti all’Albo degli odontoiatri, i soli laureati in odontoiatria sono 39.411 ovvero il 60% degli iscritti. Quindi il 40% degli iscritti è laureato in medicina e solo il 13% di loro ha una specialità attinente alla professione che esercita (odontoiatria o odontostomatologia).
Dato che fa riflettere considerando che i primi laureati in odontoiatria risalgono a 40 anni fa e che dal 82-85 (periodo ampio per via di ricorsi e vicende giudiziarie varie) i laureati in medicina non possono più iscriversi all’Albo degli odontoiatri, se non con una laurea in odontoiatria (ma da poco tempo).
Se da un lato il problema pletora è ovviamente dovuto ai nuovi laureati, se già si è in tanti ogni laureato in più aumenta la fila, altra causa determinante è il mancato ricambio generazionale. Odontoiatria33 ne ha parlato prima dell’estate con una serie di articoli, i dentisti non vanno in pensione.
Ritorno sul dato: 40 anni fa uscivano i primi laureati in odontoiatria, dopo 40 anni questi sono di poco la maggioranza degli esercenti. Il ricambio generazionale non c’è ancora stato.
Ma torniamo all’Università, ho cercato alcuni dati che trovo interessanti.
Secondo Eurostat sono 14.313 i dentisti laureati nell'UE, pari a 3,2 laureati in odontoiatria ogni 100.000 abitanti. Il numero rappresenta un leggero aumento, rispetto ai 3,1 del 2021. A livello nazionale, la Romania ha registrato il tasso più elevato con 9,9 ogni 100.000 abitanti, davanti al Portogallo (9,1) e alla Bulgaria (7,8). Al contrario, Malta (meno di 0,1), Italia (1,4) e Paesi Bassi (1,5) hanno registrato i tassi più bassi, tutti inferiori a 1,5 laureati in odontoiatria ogni 100.000 abitanti.
Questo il numero dei laureati negli ultimi anni in Italia (fonte Eurostat): 627 nel 2015; 694 nel 2016; 758 nel 2017; 843 nel 2018; 919 nel 2019; 1124 nel 2020; 783 nel 2021; 842 nel 2022.
Peraltro, sembra che si laureino meno dentisti di quanti erano i posti disponibili per accedere al corso di laurea.
Ovviamente si deve anche considerare il dato degli italiani laureati all’estero che tornano in Italia a lavorare, in riduzione negli anni (354 nel 2023) e dei dentisti stranieri che vengono a lavorare in Italia (74), i dati sono riportati da una inchiesta condotta da Odontoaitria33 che trovate a questo link.
Poi ci sono gli studenti che studiano in alcune Università europee o extra UE ma si laureano in atenei italiani, ma di questi da tempo fatico a trovare dei numeri per capire quanti siano.
Infine, tra i dati utili per valutare il fenomeno “pletora” quello del numero degli atenei, 38 in Italia, 27 in Spagna di cui 14 private, 16 in Francia, 30 in Germania.
Dei nostri 38 atenei 5 sono privati ai quali sono stati assegnati 255 posti, in proporzione molti di più di quelli a disposizione degli atenei pubblici. Forse per questo i laureati italiani all’estero sono sempre di meno.
Dopo tutti questi numeri fatico a indicare una causa della pletora, che preferisco chiamare difficoltà dei nuovi laureati a trovare un lavoro. Il problema reale e lo sarà più evidente nei prossimi anni se non si troveranno soluzioni per incentivare l’accesso alle cure degli italiani.
Nota: l'immagine è stata generata attraverso un programma di IA
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