A colloquio con il prof. Di Lenarda, critico sul metodo utilizzato per approvare le norme che non ha permesso di considerare tutti gli aspetti che i nuovi provvedimenti condizioneranno
Gli emendamenti inseriti ed approvati nel Decreto bollette, modificando le competenze dell’odontoiatra in tema di medicina estetica ed i requisiti per accedere ai concorsi pubblici, impattano anche sul mondo universitario. Per capire come l’Università si dovrà organizzare, e si sta organizzando, ho telefonato al presidente del Collegio dei Docenti il prof. Roberto Di Lenarda, nella foto, (nella foto) che appena inteso l’argomento della chiacchierata, cita il Presidente Sergio Mattarella.
“Prima di entrare nel merito dei contenuti dei provvedimenti sono molto critico verso la modalità con cui sono stati approvati”, ci dice. “Lo ha rilevato, in modo ben più autorevole, il Presidente Mattarella ai Presidenti di Camera e Sentato prendendo spunto proprio al Decreto bollette, sollevando la criticità degli emendamenti fuori tema, nel caso specifico poi certamente senza i caratteri di necessità ed urgenza, che snaturano la natura del provvedimento e rischiano, come in questo caso, di non essere adeguatamente soppesati”.
Prof. Di Lenarda che aggiunge. “Trovo che richiedere alla politica modifiche legislative di grande impatto e con conseguenze tutt’altro che adeguatamente approfondite, senza prevedere un’armonizzazione legislativa, sia un pericoloso errore che una democrazia matura come la nostra non dovrebbe fare, a maggior ragione in tema di salute pubblica”.
E siccome l’affermazione è decisamente forte, chiedo di chiarire.
La questione che più “scalda” il prof. Di Lenarda, anche per il suo ruolo di Rettore, riguarda il provvedimento che rende strutturale la possibilità di assunzione nel SSR degli specializzandi di area medica a partire dal terzo anno di contratto; si tratta di una norma, sensata ed accettabile in fase emergenziale (“senza dimenticare quanto diremo in seguito sulla storica (in)capacità di programmazione delle nostre Istituzioni”, precisa), ma assolutamente deleteria se applicata a regime.
Per chiarire il suo pensiero si rifà alla mozione inviata a MIUR e Ministero della Salute da parte della Conferenza Permanente delle Facoltà e delle Scuole di Medicina e Chirurgia e la Conferenza Permanente dei Collegi di Area Medica, ma anche al recente documento sul tema del CUN. Nel primo vengono rilevati problemi “per la corretta attuazione del percorso formativo degli assistenti in formazione delle Scuole di Specializzazione di area medica”, nel secondo, in modo ancora più specifico, si sottolinea come “l’adeguata e obbligatoria rotazione tra le strutture delle reti formative delle Scuole di Specializzazione accreditate sarà resa impossibile da una assunzione a tempo determinato”, ma anche come “il mancato completamento dei percorsi formativi non renderà autonomo nella sua professionalità specialistica il medico assunto a tempo determinato ancora in formazione con inevitabile riduzione della qualità della formazione e preparazione dei medici specialisti che nei prossimi decenni opereranno all’interno del nostro Servizio Sanitario Nazionale e, di conseguenza, della qualità dell’assistenza erogata ai cittadini”.
“Se la motivazione, sussurrata da alcuni sindacati medici dovrebbe essere quella di togliere all’Università la responsabilità della formazione specialistica con la giustificazione che alcune sedi universitarie non performerebbero adeguatamente o perché gli specializzandi verrebbero “sfruttati”, per il prof. Di Lenarda l’azione da intraprendere è identificare con chiarezza i presunti casi e nel caso chiudere quelle scuole, non distruggere un sistema che ha dimostrato di preparare medici e specialisti di alto livello.
“Peraltro”, continua, “non possiamo né dobbiamo scordarci che nei primi anni delle scorso decennio, le università (ed il prof Di Lenarda in prima persona come direttore del dipartimento di scienze mediche di UNITS dal 2012 al 2018 NdR) hanno ripetutamente chiesto alle regioni, alla Federazione degli ordini dei medici ed ai governi che si sono succeduti di permettere un aumento dei numeri degli iscrivibili a medicina e dei contratti di specializzazione, ricevendo sempre dei dinieghi. La storia di questi ultimi anni, purtroppo, ci ha dato drammaticamente ragione. Ma la soluzione che era razionale 10 anni fa (e che avrebbe evitato l’emergenza di questi anni) non lo è più oggi, men che meno se perseguita in questo modo”.Un provvedimento, dunque, dice il prof. Di Lenarda, che comporterà problemi “drammatici a livello formativo ed assistenziale nei prossimi anni”.
In parte meno severo, ma sempre critico, quando gli chiediamo di commentare l’abolizione dell’obbligo di specializzazione per partecipare ai concorsi da dirigente medico odontoiatra e di specialista ambulatoriale. Sul tema si era già espresso anche in questa recente video intervista.
“Io sono d’accordo che la laurea in odontoiatria, a maggior ragione nel momento in cui diventerà abilitante, quindi con l’obbligo di certificazione nominativa delle prestazioni erogate in prima persona da ogni neolaureato, possa essere considerata criterio di accesso adeguato per i concorsi del SSR. Ma abolendo l’obbligo di specializzazione, senza valorizzarne adeguatamente il titolo nei concorsi, si abbassa oggettivamente il livello formativo del personale e si rischia di creare un grande problema”.
E per ulteriormente spiegare a cosa si riferisce, ci ricorda quanto ci aveva già fatto notare sempre nella video intervista: un odontoiatra non specialista che viene assunto nel SSR rischia di non poter mai fare carriera o dirigere una struttura complessa o un dipartimento assistenziale in quanto è tuttora previsto per i dirigenti medici (da un’altra norma, non quella modificata con il Decreto bollette) l’obbligo di titolo di specialista.“E a quel punto sì che per gli odontoiatri la disaffezione per il SSR diventerebbe irreversibile con la perdita di ogni attrattività per i professionisti di livello e il conseguente irreversibile grande scadimento dell’offerta assistenziale pubblica”, dice il Presidente del Collegio.
Ma non basta. Altro problema rilevato dal prof. Di Lenarda è quello della formazione dei futuri odontoiatri e di come tutto ciò impatterà sull’offerta di odontoiatria pubblica, “argomento di cui tanti parlano spesso senza avere idea di cosa realmente serve per farla funzionare (prima e più del mero aumento di risorse)”, commenta.
“Con l’abolizione dell’obbligo del titolo di specialista avremo inevitabilmente meno iscritti alle scuole di specializzazione. Ciò sarà eclatante (e per certi versi benvenuto) in quelle scuole che faticano a proporre una formazione di qualità, magari con un numero alto di iscritti e scarsissima offerta assistenziale e a volte docenti presenti in clinica uno o massimo due giorni alla settimana, ma colpirà, anche se in misura molto minore, le sedi in cui gli studenti continueranno ad iscriversi per imparare, e non solo per avere il pezzo di carta necessario a lavorare nel SSR. E conseguentemente, la carenza di specializzandi comporterà una riduzione diretta del numero di prestazioni rivolte ai pazienti del SSR, ma anche grossi problemi per la formazione pratica obbligatoria degli studenti del 5° e 6° anno del corso di laurea in odontoiatria, visto che per precisa scelta condivisa con la CAO, gli odontoiatri in formazione specialistica avrebbero potuto svolgere il ruolo di tutor. Ciò determinerà, nuovamente, una diminuzione delle prestazioni erogate e un peggioramento del livello qualitativo dei nostri laureati”.
Prof. Di Lenarda come ultima considerazione sul tema rileva come l’operazione non favorisca neppure il Servizio pubblico. “Non mi risulta che i concorsi banditi per dirigenti odontoiatri oggi vadano deserti per mancanza di specialisti”.
“Per altro –dice- credo che sia il momento che il sistema si faccia carico di capire se al SSR sono più utili figure di dirigente medico odontoiatra dipendente o specialisti ambulatoriali esterni. Personalmente, sulla base della mia esperienza, ritengo che, nel doveroso rispetto di tutti coloro che sono già in servizio, ritengo sia necessario e non più procrastinabile orientare le politiche di reclutamento verso i dirigenti odontoiatri (come la mia regione, in modo virtuoso, ha iniziato a fare)”.
Gli altri argomenti affrontati nella chiacchierata sono quelli della possibilità di doppia iscrizione agli albi e della medicina estetica.
“Anche in questo caso contesto in primis il metodo. Ma mentre per quanto riguarda la possibilità della doppia iscrizione, considero questa norma sacrosanta, ritengo non corretto ampliare l’ambito di competenze dell’odontoiatra prima di modificarne il percorso formativo. E’ come se consentissero con un emendamento ad esempio alla legge sul mais transgenico, di permettere a tutti quelli che hanno la patente “B” di guidare l’autobus. Prima devi prevedere una formazione specifica e poi ampli la possibilità di utilizzo. Così si sarebbe dovuto fare attraverso un confronto trasparente tra MUR, Ministero della Salute e Ordine per ipotizzare il percorso e poi l’ampliamento dell’ambito professionale verso la medicina estetica. Sulla questione ci sono pareri del Consiglio Superiore di Sanità che sono stati sostanzialmente ignorati. E le reazioni a vari livelli lo stanno dimostrando”.
“Io sono d’accoro che la questione delle competenze in medicina estetica dovesse essere chiarita, ma qui si è ampliato l’ambito d’intervento in zone del volto che fino ad oggi non erano di competenza dell’odontoiatra e poi invece di fare chiarezza si è creata ulteriore confusione e incertezza. Cosa si intente ad esempio per mininvasività? In attesa di chiarimenti ministeriali o legislativi sarà il giudice a stabilirlo. E non sarà una passeggiata di salute per chi dovesse essere preso di mira”.
Ora ricordo al prof. Di Lenarda lo scopo della telefonata, capire come e se e i vari Atenei amplieranno il piano formativo anche a questi ambiti.
“E’ di tutta evidenza che nel momento in cui viene approvata e confermata una norma, noi implementeremo adeguatamente l’attività formativa. Ma la questione rimane. Non si possono cambiare le regole d’ingaggio con un emendamento, né modificare le competenze per una richiesta (per certi versi corporativa) senza porsi il problema della formazione. Prima bisogna creare le condizioni di sicurezza attraverso la formazione.Già oggi molte Università nel percorso di formazione dei futuri odontoiatri prevedono moduli di chirurgia plastica, ma una cosa è insegnare (doverosamente) ad un odontoiatra ad es. indicazioni, tecniche operative, complicanze di interventi ricostruttivi microvascolarizzati in pazienti neoplastici, altre è dargli la copertura legislativa per eseguirli. L’obiettivo quindi sarà di rendere consapevoli i professionisti delle indicazioni, controindicazioni, gestione corretta delle terapie in questione (quando capiremo di quali terapie stiamo parlando…). Detto ciò, allo stato attuale delle cose, personalmente, non avrò remore a scoraggiare interventi borderline, evitare di inseguire un mercato a volte di dubbia scientificità, invitando i nostri migliori studenti a investire piuttosto nel miglioramento delle proprie conoscenze e competenze propriamente odontoiatriche.E per chi, legittimamente, desidera ampliare le proprie competenze, come dico da vari anni, la soluzione è individuare un percorso di doppia laurea abbreviato in odontoiatria e medicina”.
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