Nel DiDomenica che esce di lunedì e che in una situazione normale non sarebbe mai uscito, perché ad uscire saremmo stati noi, ho deciso di accantonare lo scopo per cui è nato (commentare i fatti della settimana portando il punto di vista di chi non è coinvolto direttamente) per farne uno che definirei: di servizio.
Leggendo i forum e seguendo dibattiti in diretta web, sono molte le domande che vi ponete alle quali, vi sembra, non arrivino risposte “ufficiali”.
Molte di quelle risposte in realtà sono state già date, anche se poi possono cambiare con l’evoluzione della situazione. Perché la realtà è che anche la vostra professione, come la vita di tutti noi, deve adattarsi alle varie fasi di questa emergenza in continua evoluzione, ed il dopo non sarà definitivo ma evolutivo.
Allora ho provato ad elencare le domande più postate, rispondendo non con le mie opinioni che non contano nulla, ma con le notizie che abbiamo dato in queste settimane. Notizie frutto di documenti ufficiali, delle dichiarazioni di esponenti del “governo della professione” o di chi, sull’argomento, ne sa.
Quando riapriremo?
E’ la domanda della domande a cui nessuno può dare però una risposta. E non tanto perché è legata alla situazione sanitaria, in continua evoluzione, ma perché gli studi dentistici non sono mai stati chiusi, almeno per Decreto. Il DCPM del 22 marzo, ma anche in quello di venerdì scorso, vi ha indicato tra le professioni essenziali.
Quindi, credo, non ci sarà mai un Decreto in cui vi troverete citati tra le attività che potranno riaprire, perché di fatto non avete mai dovuto chiudere, in quanto attività sanitaria che deve poter garantire l’assistenza ai pazienti. Ovviamente, a differenza dei medici impegnati negli ospedali pubblici, come liberi professionisti potete decidere di farlo o non farlo. Le limitazioni, o meglio le indicazioni, sono invece deontologiche, poste dall’Ordine in accordo con i sindacati odontoiatrici, che all’inizio dell’emergenza vi hanno chiesto di limitare l’attività alle sole emergenze non differibili, se trattate con idonei strumenti di protezione.
Quali sono da considerare le emergenze odontoiatriche?
Volutamente, ci ha spiegato in varie interviste il presidente CAO Raffaele Iandolo, così come i presidenti dei principali Sindacati odontoiatrici e di varie Società scientifiche sentiti da Odontoiatria33, non sono state volute dare indicazioni, stilando per esempio un elenco di prestazioni essenziali come invece ha fatto l’ADA, ma si è scelto di demandare al singolo professionista la decisione di come comportarsi, valutato la situazione clinica del singolo paziente.
Come gestire le emergenze in sicurezza?
CAO e sindacati hanno da subito dato indicazioni su come gestire in sicurezza le emergenze (credo che cronologicamente il primo sia stata la CAO di Reggio Emilia, ma quelle istituzionale sono arrivate in un documento congiunto CAO, AIO ed ANDI, sottolineando che nel caso non fosse possibile farlo (gestirle in sicurezza), non si doveva accettare il paziente. Indicazioni incluse in un protocollo che SIdP ha poi stilato in collaborazione con le principali Società Scientifiche del settore, l’Ordine ed i sindacati odontoiatrici. Protocollo fatto proprio dal Ministero della Salute.
Quali DPI per la gestione del paziente in sicurezza?
Il protocollo indica che gli odontoiatri ed i collaboratori che vengono in contatto con i pazienti devono farlo con questi DPI: camice e cuffia monouso, occhiali protettivi, visiera, guanti monouso (e ove possibile copri-scarpe) ed ovviamente le mascherine. A questo link quelli indicati dall’ISS in caso di aerosol.
Ma quali mascherine?
La domanda su quale sia il tipo di mascherine che possano le garanzie di sicurezza agli operatori, ha generato dibattito ed anche scontro sindacale, che nonostante il momento critico non si è riusciti ad evitare.
Il documento SIdP indica nelle mascherine da utilizzare quelle chirurgiche, oltre ovviamente le FFP2 e FFP3.
Ai primi di marzo la Federazione degli Ordini e delle CAO lombarde in un documento indicano che la protezione “delle mucose orali e nasali può essere effettuata con mascherine chirurgiche o con facciali filtranti FFP2/FFP3”. “L’efficacia della mascherina chirurgica nel contenimento del rischio è documentata e l’uso almeno di questo dispositivo è tassativo”, riporta il documento delle CAO Lombarde.
Ma il documento SIdP ed anche quello della Federazione lombarda delle CAO, ma anche il DVR che ANDI ai primi di marzo ha inviato ai soci suggerendo di aggiornare con le indicazioni in tema di Coronavirus quello già predisposto dallo studio (molto citato in questi giorni sui social), esce quando ancora l’Italia era divisa in Zona rossa (alcune provincie lombarde e venete), gialla (quelle limitrofe a quelle), mentre le altre zone d’Italia erano “libere”.
Tutti questi documenti puntano a individuare il paziente potenzialmente “infetto” dagli altri, e per fare questo consiglia un triage telefonico e nel caso il paziente risultasse sintomatico al Covid-19 o proveniente dalle zone a rischio, si invita a non trattare il paziente.
Le indicazioni date in quei documenti sono per trattare le emergenze dei pazienti potenzialmente non portatori di contagio.
Successivamente, però, il Governo ha esteso a tutta Italia la zona gialla e di fatto reso ogni singolo cittadino potenzialmente portatore asintomatico del virus. Dopo quella decisione, nessun di quei documenti è stato aggiornato (almeno non mi sembra di averne visti), indicando quali sono eventualmente i nuovi protocolli da seguire ed i DPI da utilizzare in questa nuova fase.
La risposta arriva, però da fonti Istituzionali. Ad una richiesta precisa del SIASO, l’INAIL indica che per la “gestione delle attività che rivestono carattere d'urgenza, nel contatto con pazienti/assistiti”, dovranno prevedere l'utilizzo di presidi medici e/o dl dispositivi di protezione individuale (DPI), che variano in funzione della specifica mansione e del tipo di contatto assistenziale. “Qualora l'operatore sia esposto ad attività che determinano la produzione di aerosol -continua la risposta INAIL inviata anche al Ministero della Salute- sarà necessario un livello di protezione almeno pari o superiore a DPI FFP2, anche in considerazione dell'impossibilità di mantenere la distanza interpersonale di un metro”.
Anche il Ministero della Salute, il 30 marzo, ha emanato delle indicazioni sull’utilizzo delle mascherine. Anche in questo caso vengono indicati “I facciali filtranti (mascherine FFP2 e FFP3) sono utilizzati in ambiente ospedaliero e assistenziale per proteggere l’utilizzatore da agenti esterni (anche da trasmissione di infezioni da goccioline e aerosol)”. Certo non cita nello specifico i dentisti, ma difficilmente non si può sostenere che non siate una attività assistenziale che produce aerosol.
C’è però il problema dell’approvvigionamento. Come ben noto ad oggi le mascherine FFP2 e FFP3 sono difficilmente reperibili sul mercato, anche se ANCAD assicura che i depositi si stanno approvvigionando. Proprio per sopperire a questa carenza, il Decreto del 2 marzo 2020 (articolo 34 comma 3) consente agli operatori sanitari di “fare ricorso alle mascherine chirurgiche, quale dispositivo idoneo a proteggere gli operatori sanitari”, dispositivi certificati CE oppure, in questa fase di emergenza, dall’ISS.
Ma ovviamente tutto questo precisare e legiferare sui DPI, è un esercizio necessario per dare precise indicazioni nel caso di contestazioni medico legali o cause sul lavoro nel caso un dipendente o collaboratore si ammali di Covid-19 e possa dimostrare di essere stato contagiato in studio perchè non aveva a disposizione almeno mascherine FFP2.
Fortunatamente il rapporto tra dentista e le sue ASO è per quasi la totalità dei casi un rapporto sincero, basato sul rispetto reciproco, sulla collaborazione, e sono certo che se il dentista titolare dello studio, che prima ancora di essere un imprenditore è un medico, chiederà al proprio personale di assisterlo, solamente se ci saranno le garanzie e le condizioni per operare in sicurezza.
Ma tutto questo è quanto oggi si può indicare sulla base delle, poche, conoscenze scientifiche validate che si hanno sul virus. Aumentando le certezze la comunità scientifica potrà indicare con maggiore precisione gli strumenti che realmente serviranno in studio e per questo il consiglio più efficace è quello dato dal presidente CAO Raffaele Iandolo: “aspettate a comprare strumenti e macchinari per la sanificazione dello studio”.
Studio dentistico potenzialmente tra le attività più a rischio
Qui entriamo già nel post emergenza, nella Fase 2, quando il Governo consentirà a noi cittadini di uscire finalmente da casa. Stando all’ultimo Decreto dovrebbe essere il 4 maggio, ma saranno i dati sull’epidemia a decidere.
Per guidare il ritorno, graduale, alla normalità, il Governo ha istituito una Task force con il compito “di elaborare e proporre misure necessarie per la ripresa graduale nei diversi settori delle attività sociali, economiche e produttive, anche attraverso l’individuazione di nuovi modelli organizzativi e relazionali”.
Le attività, stando alle dichiarazioni di Franco Locatelli, presidente del Consiglio Superiore di Sanità, le attività saranno classificate in tre profili di rischio, basso, medio, alto. Per ogni profilo ci saranno regole e regole di comportamento differenti. Gli studi dentistici, il presidente Locatelli ha citato le ASO, saranno tra quelle più ad alto rischio.
Ma attenzione il rischio non è solo per il cittadino, la classificazione è riferita principalmente al rischio degli operatori di quel settore.
E per dare corretti protocolli operativi per il settore dentale, per garantire la vostra sicurezza e quella dei vostri pazienti, la Task Force farà riferimento a quanto gli indicherà il Tavolo sull’Odontoiatria attivato dal Ministero della Salute coordinato dal prof. Enrico Gherlone. Lo intervisteremo in settimana.
E qui ritorno allo spirito del DiDomenica
A fine febbraio, quando l’emergenza sembrava limitata in qualche provincia lombarda e veneta, il presidente CAO Raffaele Iandolo aveva fatto la mossa perfetta da fare per la professione: diffondere un comunicato stampa in cui si rassicuravano i pazienti che andare dal dentista era sicuro ma che gli studi rallentavano le attività, garantendo però le urgenze, perché i cittadini dovevano stare a casa per evitare il diffondersi del contagio.
Poi, come spesso accade nel settore, la giusta necessità della stampa di sentire pareri ha portato ad interpellare molti soggetti più o meno rappresentativi della professione che hanno portato i loro punti di vista, che spesso hanno più il fine di dare segnali alla “pancia della propria categoria” che informare i cittadini. Così ecco il proliferare di dichiarazioni contro i dentisti che continuavano ad operare (accusati dal sentito comune della categoria -che ha chiuso- di fare concorrenza sleale). Dimenticandosi, come ha ben ha ricordato il prof. Burioni nel suo video intervento al San Raffaele, che gli odontoiatri, in quanto medici, devono garantire le cure urgenti ai pazienti che hanno bisogno di cure.
Ma nelle dichiarazioni, cercando di fare capire la gravità del gesto (tenere aperto lo studio), ecco citare l’odontoiatria tra le attività più a rischio infezione. Senza pensare che quello potrà essere il messaggio che rimarrà nei cittadini anche quando riaprirete gli studi.
Il consiglio che mi permetto di dare è quello di abbandonare l’astio e diffidenza tra concorrenti e lavorate insieme per cominciare a creare quel clima che consentirà, quando gli studi saranno in grado di riaprire in sicurezza, di trasmettere sicurezze ai vostri pazienti in modo che possano tornare a considerare i vostri studi un luogo protetto, come lo è sempre stato e lo sarà anche domani nonostante il coronavirus continui ad annidarsi nella loro saliva.
Perché se oltre ai problemi economici che sicuramente limiteranno i cittadini nell’accedere alle cure ci saranno anche le paure, per il settore sarà veramente dura ripartire. E non perché non si trovano le mascherine o si dovranno usare le FFP invece di quelle chirurgiche.
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